Ecco come il comunista Pasolini scrisse di Jan Palech il 15 febbraio del 1969:
PIER PAOLO PASOLINI
Praga: una atroce libertà
Sui muri della città in cui vivo in questi giorni - Padova - è riapparsa una scritta che non vedevo più da molti anni, almeno dal '56: "Abbasso i rossi". Padova è una città dove non per niente il cattolicesimo è pesato. La gente è come sfuggente per una profonda timidezza; i lineamenti dei visi - forti, popolari - sfumano in una specie di desiderio di non essere; o di esserci appena: o di esserci per quel tanto che non dia disturbo; massicci ospiti, chiari di pelle e spenti di sguardi, un mondo profondamente istituito, ma profondamente inospitale. Non credo però che solo a Padova siano riapparse scritte del tipo "Abbasso i rossi", e lo spirito "civico" si sia rimesso in moto. Queste scritte e questo spirito hanno fatto la loro riapparizione in seguito al suicidio di Jan Palach. Se io dovessi, ora, dare un giudizio razionale-realistico su tale suicidio, non potrei dunque che dare un giudizio cinicamente negativo. Userei, però, in tal caso, come metro di giudizio, l'utilità e l'opportunità. Mi chiederei: "É stato utile e opportuno che Jan si sia dato fuoco?". E mi risponderei: "No: non è stato utile e opportuno. Infatti che cosa ha ottenuto? Cortei di socialdemocratici, di liberali e di reazionari hanno percorso le città dell'Europa occidentale; e i muri di queste città si sono riempiti di vecchie iscrizioni anticomuniste". Ma io non uso il metro dell'utilità e dell'opportunità. Se Jan avesse fatto questi calcoli, forse avrebbe salvato la sua vita; ma non sarebbe stato libero di esprimersi. Anche se nel suo caso la libertà di esprimersi è stata atroce.
Egli ha attuato, invece, implacabilmente la propria volontà suicida e la propria disperazione. Ha portato a termine fino in fondo la sua decisione follemente idealistica. Ha scritto fino all'ultima riga il suo terribile poema.
Se poi egli è stato strumentalizzato, tanto peggio per chi lo ha strumentalizzato. Doveva forse umiliare il proprio idealismo, patteggiando con le varie, possibili opinioni pubbliche, che avrebbero giudicato il suo gesto e lo avrebbero fatto, inevitabilmente, in modo volgare?
Coloro che hanno strumentalizzato questo ragazzo, non si sono posti (o per eterna stupidità o per malafede), la semplice domanda: "In che ambiente, in che modo è vissuto questo ragazzo per raggiungere un grado di idealismo così alto da uccidersi come ha fatto?". A una simile domanda avrebbero dovuto rispondersi: "In un mondo rosso". E questo avrebbe messo in crisi i loro cortei e i loro cartelli.
Voglio dire: per un bonzo, uccidersi con il fuoco, rientra in una idea del mondo: è - mi si perdoni l'espressione - una tecnica religiosa; la sua mente non è mai stata tanto lontana da una simile soluzione da non concepirla. In un mondo non più religioso, non più arcaico, non più contadino, tale idea è, al contrario, inconcepibile. Per concepirla, e appropriarsene, bisogna essere spinti da una volontà ideale altrettanto inconcepibile che quella religiosa del bonzo. Ma mentre per il bonzo la borghesia occidentale - benpensante, conservatrice, oppure socialdemocratica, oppure semplicemente fascista - opera una discriminazione razziale (atroce) e su di lui si commuove relativamente riconoscendo invece in un ragazzo cecoslovacco - bianco, di cultura occidentale, colto, razionale, cittadino di un mondo industrializzato - un fratello, rimane, da una parte, oggettivamente, molto più costernata, e dall'altra si affretta subito a esternare tale sua costernazione.
Risulta quindi evidente l'ingiustizia razzistica della borghesia che non fa per i bonzi quello che fa per un giovane studente boemo. Jan ha protestato, dandosi fuoco, contro il potere sovietico. Ha avuto tutte le ragioni di fare una simile protesta (anche se è intollerabile l'idea del suo suicidio: che ognuno di noi cerca, con tutte le sue forze, di non pensare e di non immaginare). Tuttavia, oggettivamente, la sua protesta non è anticomunista. Dimostra, al contrario, a quale grado di idealismo possa giungere un giovane comunista, nato e cresciuto in un mondo comunista. Idealismo che gli ha permesso di compiere un gesto degno di un eroe antico; di un santo vietnamita moderno.
Da Tempo settimanale, n. 7 a. XXXI, 15 febbraio 1969
Due cari amici, Bernardo Puleio e Enrique Irazoqui, tramite FB ieri mi hanno inviato due commenti diversi che trascrivo di seguito:
RispondiEliminaBernardo Puleio: allucinante immaginare che sia il gesto di un giovane idealista comunista cresciuto in una società "arcaica" antiborghese. Piuttosto parlerei di disperato gesto stoico: il suicidio come atto di libertà contro la tirannide dei regimi comunisti. Tutt'altra la storia dei comunisti eretici italiani: da Pasolini al manifesto
Enrique Irazoqui: Che meraviglia!
Per quanto mi riguarda ci tengo a precisare che ho ritenuto opportuno riproporre l'articolo di PPP non tanto perchè considero esemplare il suo ragionamento (che, per la verità. nel caso in questione, mi sembra meno chiaro e lucido del solito) sia per ragioni filologiche sia per mostrare che non tutti i comunisti del tempo chiusero gli occhi di fronte alla tragedia cecoslovacca.
Mi scuso per il refuso contenuto nella parte finale del mio precedente commento...
RispondiEliminaIncredibilmente bello e un po al contrario di quello che ritiene Francesco, considero la posizione di Pasolini di fronte alla tragedia di Jan come abbastanza lucida, chiara, incisiva e molto organica. Saluti da Praga da Tomas Matras
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