16 gennaio 2014

RICORDARE JAN PALACH




Christian Raimo - Jan Palach si diede fuoco per amore della libertà

Quarantacinque anni fa, il 16 gennaio 1969, moriva Jan Palach, studente di filosofia all’Università di Praga, che si diede fuoco alla maniera dei monaci buddisti in Piazza San Venceslao per protestare contro l’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle forze del Patto di Varsavia. Il funerale di Palach si trasformò in una protesta di massa. Un mese dopo, il 25 febbraio 1969, un altro studente, Jan Zajíc, seguì il suo esempio e si diede fuoco sempre a piazza San Venceslao. Ad aprile a darsi fuoco fu un altro studente Evžen Plocek, nella città di Jihlava.
Tra i colleghi di corso di Jan Palach all’università c’era la giovane Agnieszka Holland, di origine polacca, che sarebbe diventata una grande regista, e che un anno fa ha girato per il canale televisivo HBO una miniserie sui fatti della Primavera di Praga. Il film della Holland, Burning Bush, ricostruisce la battaglia della madre di Jan e di una giovane avvocatessa contro i tentativi di delegittimare il significato politico del suicidio. Un membro del Comitato Comunista Centrale cecoslovacco, Vilem Novy, sostenne che Palach volesse fare uso di un liquido innocuo sostituito all’ultimo minuto dai suoi amici coinvolti in un complotto anti-comunista intenzionato a screditare il governo cecoslovacco.

Quindici anni fa, per il trentesimo anniversario, Bernardo Valli scrisse su “Repubblica” un bell’articolo commemorativo.
“Un tranviere fu il testimone più meticoloso dell’immolazione. La sua attenzione fu attirata da un ragazzo ai piedi della scalinata, davanti al museo nazionale, in piazza Venceslao: si stupì nel vedere che si inzuppava gli abiti con il contenuto di una lattina bianca: appena si accorse che aveva acceso con gesto rapido un fiammifero fu abbagliato da una vampata. L’ urlo di dolore e il corpo in preda alle fiamme che si contorceva sul selciato paralizzarono la folla: una folla fitta a quell’ora sulla piazza più vasta della città, la piazza che i carri armati sovietici avevano presidiato a lungo nell’estate. Mille sguardi rimasero puntati immobili, esterrefatti, sulla torcia umana. Il primo a muoversi fu il bravo tranviere che aveva seguito fin dall’inizio le strane, veloci mosse di Jan: si tolse il cappotto e lo gettò sul giovane per spegnere le fiamme. L’udì gridare: “La lettera, salvi la lettera”. E non capì quel che volesse dire. Ci volle un po’ di tempo prima di capire che Jan Palach si era sacrificato “per scuotere la coscienza del popolo”, per spezzare il clima di rassegnazione che imprigionava la gente in una resistenza puramente morale, intima, destinata a riassorbirsi col tempo, con la routine quotidiana e i suoi inevitabili compromessi. La speranza poteva essere riposta soltanto in eventuali remoti avvenimenti esterni, indipendenti dalla volontà della gente di Boemia, Moravia e Slovacchia. Il gesto di Jan Palach era contro questa situazione stagnante e affliggente. Non era un suicidio per disperazione, non era una resa definitiva, portata alle estreme conseguenze: era un’azione offensiva”.
Trovate l’integrale qui.




2 commenti:

  1. Ti volevo ringraziare èer aver ricordato "questo ragazzo" della mia generazione. Quei momentio da noi vissuti in prima persona ci hanno segnato profondamente . Fu una vera rivoluzione quella boema (definita di velluto). Allora capimmo cosa significava menzogna, ipocrisia e sopratutto la "non verità". Avremo ancora due pagine su questo fatto, ricche di ricordi personali. Ti basti pensare che pur di eliminare "l'imbarazzante" Polach trovarono la scusa che la enorme quantità di fiori che la gente portava "inquinavano la città" e allora la gente passava davanti e si ritirava il suo fiore...grazie s.o.

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    1. Questa volta sono io che ringrazio te, Onofrio, per questo bel commento! Come vedi, anche se restiamo distanti, qualche punto d'incontro ogni tanto lo troviamo.

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