Siamo felici questa mattina di ospitare un bel pezzo di un amico fraterno, Nicolò Messina, conosciuto tanti anni fa al Centro Studi di Danilo Dolci.
Nicolò da più di 30 anni vive e lavora in Spagna. Ha insegnato e insegna lingua e letteratura italiana nelle principali università spagnole ed è giustamente considerato uno dei maggiori studiosi internazionali di Vincenzo Consolo.
E' un piacere e un onore per il nostro piccolo blog pubblicare quanto, con sempre maggiore frequenza, ci invia:
Pregiudizi
e stigmatizzazioni
I pregiudizi, si sa, sono duri a morire. Ne sappiamo
qualcosa i siciliani, gli italiani. Soprattutto quelli della diaspora, sparsi oltre
il territorio dove siamo nati, nella stessa penisola, ma anche spesso fuori
dell’Italia. «Mafiosi!», «Berlusconiani!».
Quale miglior modo di superarli, del conoscere gli altri
da noi? Imparandone la lingua, leggendone le culture, viaggiando per
incontrarli e dialogarci direttamente, per viverne da vicino le vite? È
l’invito di Leila Guerriero, che da qualche tempo firma ogni mercoledì una
rubrica su El País: argentina, ma dal cognome, come no?, tanto italiano
(della diaspora?), e battagliero.
[nm]
Ad ogni paese le sue stigmate
Leila Guerriero
El País, 2 aprile 2014
Nel 2002, nella Patagonia argentina, qualcuno mi disse:
«Voi, al Nord, non potete uscire per strada, perché vi ammazzano». “Il Nord”
era Buenos Aires e quella persona parlava di questa città, in cui io mi muovo
senza eccessive precauzioni, come di un posto in cui sarebbe conveniente usare
un giubbotto antiproiettile. È strano come vediamo le cose da lontano. Leggendo
in questo giornale un articolo su El Salvador e le sue maras [o marabuntas
‘cricche criminali’] – barrio [‘quartiere’] 18, la mara
Salvatrucha – mi sono chiesta che cosa so di El Salvador all’infuori dei
nomi delle sue bande. Molto poco. Sareste in grado di citare il nome di sette
scrittori salvadoregni; sapete se nella capitale ci sono edifici alti o un
centro storico? Ci sono cinema a Managua [Nicaragua]? Che fa la gente la
domenica in Guatemala? Nessuno a Caracas dà appuntamento a un amico per prenderci
insieme un caffè, in questa città dove pare che ci siano soltanto
manifestazioni? I tratti marcati si fanno un po’ meno grezzi, se fuoriusciamo
dal Centro-America (tanto per dire, Medellín ha fatto rima con violenza, ma
oggi è messa in relazione anche con il design), ma non si assottigliano nei
Caraibi: che sappiamo di Haiti all’infuori della povertà; cosa della Repubblica
Domenicana? Da lontano non si vedono i saloni della colonia Guerrero, a Città
del Messico, dove gli anziani ballano danzón con vestiti che danno loro
l’apparenza di boccioli sgualciti: soltanto il problema narco. Da
lontano non si vede il fermento studentesco del quartiere La Candelaria, a
Bogotà: si vede soltanto il conflitto armato. Ci sono caos e orrore
dappertutto, ma dappertutto anche la gente esce di casa, mangia, lavora: vive.
I paesi sono molto di più delle proprie maggiori piaghe. Nel corso del 2013 si
è parlato molto, in Spagna, del marchio paese che consiste, suppongo, in tratti
marcati, un mazzolino brioso di luoghi comuni. Ma certe volte sono tratti marcati
che si possono scegliere; altre, un cappio che stringe, una corda che impicca,
il marchio di stigmate da scarica elettrica.
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