Franco Arminio
Caro Farinetti, il sud
non è un villaggio turistico
Ogni tanto c’è
qualcuno che pontifica sul Sud senza conoscerlo.
L’ultimo arrivato è l’imprenditore gastronomico
Farinetti che vagheggia di trasformare il Sud in
un grande villaggio turistico. A suo dire
l’unico ostacolo sarebbe la mafia. Questo imprenditore
ragione con la tipica logica dei colonizzatori. Un
territorio è un luogo da cui estrarre risorse.
Non conta niente chi lo abita, cosa pensa.
Il Sud italiano
è un luogo antico, fatto di tanti luoghi assai diversi
tra loro e di tante storie, bellissime
e bruttissime. C’è la Magna Grecia e la
modernità incivile, c’è stato Gava e c’è stato
Di Vittorio.
Il turismo è una risorsa importante e poco sfruttata. È incredibile che la Toscana da solo attira più turisti di tutta l’Italia che va da Napoli a Palermo. I meridionali devono certamente ricavare di più dalla bellezza dei loro luoghi, ma da qui all’idea del signor Farinetti c’è davvero un abisso.
Qualche giorno fa stavo sull’acropoli di Cuma. Non è bello vedere l’accesso all’antro della Sibilla sbarrato da una transenna, accesso sbarrato da due anni. Non è bello vedere che la segnaletica è affidata a un cartone e a un pennarello, ma se quel posto fosse dato a una multinazionale del turismo perderebbe completamente il suo fascino.
Se per entrare a Cuma
devi fare la fila che si fa per la Cappella Sistina, quel posto
perde tutta la sua magia. Se sull’acropoli ci stanno mille
persone piuttosto che dieci, di fatto quel posto
diventa invisibile. Lo stesso vale anche per luoghi
considerati minori.
Ad Aliano nei calanchi
si può fare un bellissimo festival paesologico,
però se ci porti cento pullman al giorno diventa un posto
inguardabile. Non sto proponendo di rinunciare
a un incremento del turismo, sto cercando di far
capire che non si può applicare al turismo la logica che
abbiamo applicato alla produzione industriale.
Pensate a Taranto e a Bagnoli. Due tra i posti
più belli del mondo trasformati in un inferno di
ferraglie.
Ora quello che
vorrebbe Farinetti è la
trasformazione del Sud in un immenso centro
commerciale pieno di ristoranti. Un’idea
inaccettabile sotto il profilo etico
e fallimentare sotto il profilo
imprenditoriale. Il Sud ha bisogno di rendere
più funzionali i suoi grandi attrattori, basti
pensare a Pompei. La sfida più bella è restaurare
i paesaggi distrutti, preservare quelli ancora
incontaminati. Quello che conta è non mettere
attività inquinanti sul Pollino o sulla
Murgia. Quello che conta è che il Parco del Cilento sia
un parco nel vero senso della parola. Non si può far passare
un elettrodotto sopra un’abbazia o mettere
pale eoliche a Sepino. Non si può trivellare
l’Adriatico o l’Irpinia per cercare petrolio.
Più che di un villaggio turistico abbiamo bisogno di assicurare condizioni dignitose a chi nel Sud ci vive. Abbiamo bisogno di scuole, di sanità e di trasporti, prima di tutto. Non solo le scuole non vanno chiuse, ma dovrebbero essere aperte tutto il giorno. Non solo non bisogna chiudere gli ospedali, ma bisogna potenziarli: la migrazione sanitaria è una delle vergogne più grandi dell’Italia. Non abbiamo bisogno del ponte sullo stretto, ma di sistemare la rete delle strade esistenti: a parte le autostrade, trovare un chilometro di asfalto senza buche è praticamente impossibile. Farinetti e altri imprenditori ingordi come lui pensano che la crisi e la fame di lavoro possa aprire la strada a operazioni di svendita dei nostri luoghi. Si sbagliano. Nel Sud non riusciranno a realizzare i loro paradisi di plastica.
L’adiacenza di fregi e sfregi, la compresenza dell’arcaico e della modernità ha bisogno di un governo attento dei territori e non di progetti avventurosi di imprenditori senza scrupolo. Un governo fatto di intimità e distanza, di sobrietà e immaginazione, di scrupolo e utopia.
Il Sud italiano non è un luogo da riempire di alberghi e piscine. Il Sud italiano può essere il luogo di un nuovo umanesimo, fuori dal binario necrofilo della produzione e del consumo. Ben vengano i turisti, ben vengano nuovi residenti, ben venga una nuova distribuzione di cittadini sui territori: non possiamo avere tre milioni di persone intorno a Napoli e un milione su tutta la dorsale appenninica.
Capisco che sono questioni troppo complesse per Farinetti e per i suoi amici che in fondo vorrebbero fare quello che non è riuscito a fare Berlusconi. Questa volta lo devono capire per bene tutti quanti: il Sud non è più una prateria per le scorribande di ladri locali e internazionali.
Abbiamo bisogno di un’economia solidale. I nostri giovani non devono fare tutti i camerieri. Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di insegnanti. Se fosse per Farinetti potremmo passare tranquillamente da Platone a Platini.
La vita è una faccenda colossale, non è una bancarella da piazzare dove più conviene. Noi che cerchiamo di abitare il Sud con gli occhi ben aperti, noi che abbiamo il coraggio di amarlo e anche di disprezzarlo quando serve,non accetteremo la rottamazione delle nostre terre e del nostro mare. Non daremo a nessuno il nostro paesaggio.
Bisogna alzare una diga altissima contro il liquame liberista che sta infangando tutto il pianeta. Farinetti si rassegni a gestire la sua piccola bottega, al Sud ci penserà chi lo sta vivendo con occhi nuovi.
Il Manifesto - 2 aprile 2014
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