25 febbraio 2015

AL CINEMA SELMA



Esce nelle sale Selma, il primo film sulla figura di Martin Luther King. Un film attualissimo e non solo per gli Stati Uniti.

Giulia D'Agnolo Vallan

Una marcia del 1965 che parla al presente
Una folla di afroa­me­ri­cani bru­ta­liz­zati sel­vag­gia­mente dalla poli­zia, la lotta con­tro la discri­mi­na­zione raz­ziale nel diritto di accesso al voto, la sporca realtà della trat­ta­tiva poli­tica, un lea­der visio­na­rio che però tra­diva la moglie, un pre­si­dente che dice: «Non c’è un pro­blema dei neri, un pro­blema del Sud e un pro­blema del Nord. C’è un pro­blema dell’America»…..Selma è un film ambien­tato nel 1965 ma che parla del 2015.
Infatti, il limite dell’intelligente, ele­gante, ambi­zioso, a tratti emo­zio­nante, lavoro di Ava DuVer­nay, pro­dotto dalla Plan B di Brad Pitt (che l’anno scorso ci aveva dato 12 anni schiavo) è forse pro­prio quello di voler imbri­gliare così stret­ta­mente lo spi­rito del (nostro) tempo da toglier­gli il respiro. Un anno dopo «il caso Steve McQueen», nel pieno di un’altra cam­pa­gna Oscar, Selma arriva accom­pa­gnato anche lui da un’aura (extra­fil­mica) di cal­co­lata ine­vi­ta­bi­lità , e da qual­che con­tro­ver­sia sulla fedeltà storica.
In un per­fetto incon­tro tra giu­stezza poe­tica e timing, dopo che la sce­neg­gia­tura dell’inglese Paul Webb era già pas­sata per le mani, di Ste­phen Frears, Michael Mann e Lee Daniels, è stato affi­dato a una donna afroa­me­ri­cana il com­pito di diri­gere il primo film mai rea­liz­zato su Mar­tin Luther King. Grandi lea­der del movi­mento come Mal­colm X (Spike Lee, 1992) e Med­gar Evers (Ghost of Mis­sis­sipi di Rob Rei­ner, 1996,) sono già stati sog­getti di bio­pic hol­ly­woo­diani; e la sto­ria della lotta per i diritti civili è stata trat­tata in film diver­sis­simi tra loro, come L’odio esplode a Dal­las di Roger Cor­man (1962), Mis­sis­sippi Bur­ning di Alan Par­ker (1988), e, solo l’anno scorso, The Butler, di Lee Daniels.
Lo stesso King è apparso spesso come per­so­nag­gio, al cinema e in tv : da The Pri­vate Files of Edgar J. Hoo­ver di Larry Cohen , a Crazy in Ala­bama di Anto­nio Ban­de­ras, a Alì di Michael Mann, fino a un epi­so­dio di Twi­light Zone e parec­chi di Satur­day Night Live. Ma Selma è il primo film incen­trato inte­ra­mente sulla sua figura.
Non si tratta, come suc­cede spesso con un per­so­nag­gio di que­sta sta­tura, di una bio/agiografia pano­ra­mica: Selma (che ha un bud­get da 20 milioni di dol­lari e negli Stati uniti è distri­buito dalla Para­mount) si con­cen­tra su un epi­so­dio spe­ci­fico, la mar­cia da Selma a Mont­go­mery che, nel marzo del 1965, rese pos­si­bile una legge fede­rale, il Voting Rights Act, intesa a pro­teg­gere il diritto al voto di tutti i cit­ta­dini Usa, a pre­scin­dere dal colore della pelle.
L’attore inglese David Oye­lowo è Mar­tin Luther King, Tom Wil­kin­son (inglese anche lui) la sua nemesi, Lyn­don John­son; sem­pre dall’Inghilterra, Car­men Ejogo è Coretta Scott King e Tim Roth il gover­na­tore raz­zi­sta George Wal­lace; men­tre Dylan Baker inter­preta un visci­dis­simo Edgar J. Hoo­ver e Oprah Win­frey (anche co-produttrice) Annie Lee Coper, un’infermiera che perse il lavoro dopo aver ten­tato più volte, e invano, di iscri­versi alle liste elet­to­rali.
Fon­da­men­tale, die­tro alla mac­china da presa, è il lavoro del diret­tore della foto­gra­fia Bra­d­ford Young, l’occhio più colto ed elet­triz­zante del nuovo black cinema (Mother of George, Pariah, Restless e, già al fianco di Du Ver­nay, per Middle of Nowhere ) che porta alla luce e al taglio delle inqua­dra­ture la pro­spet­tiva storico/culturale pro­fonda del suo mae­stro alla Howard Uni­ver­sity, Haile Gerima.
Costruito su infi­nite sfu­ma­ture di nero, intorno ai volti dei per­so­naggi foto­gra­fati come se fos­sero paes­saggi, al con­torno delle loro teste, alle silhouet­tes scure dei corpi con­tro la luce bianca di una fine­stra o i fari di un’auto della poli­zia che li pic­chierà a san­gue, Selma ha la stoffa mae­stosa di un kolos­sal inti­mi­sta, un senso di scala e tempo epico che sfugge cla­mo­ro­sa­mente a pro­du­zioni molto più gran­diose, «alla» Exo­dus. Come Lin­coln e House of Cards, il film di DuVer­ney (che è stata per anni una nota publi­cist hol­ly­woo­diana) inve­ste sull’attuale fasci­na­zione per il pro­cesso poli­tico, nei suoi det­ta­gli meno idea­li­stici.
La spre­giu­di­ca­tezza stra­te­gica di King (piut­to­sto che la sua dimen­sione di lea­der cari­sma­tico) è infatti al cuore del film, gio­cato intorno a un ser­rato duetto tra lui e John­son, in cui il pre­si­dente vor­rebbe dare prio­rità alla sua guerra con­tro la povertà , met­tendo in secondo piano la legge sul voto, e King lo costringe ad agire diver­sa­mente orga­niz­zando – a bene­fi­cio dei media nazio­nali — una mani­fe­sta­zione paci­fica sotto il naso di uno sce­riffo raz­zi­sta che, ine­vi­ta­bil­mente, la farà finire nel sangue.
Tra­smesse dalla Abc, il 7 marzo 1965, inter­rom­pendo la messa in onda di Il pro­cesso di Norim­berga, le imma­gini dei poli­ziotti dell’Alabama che pic­chia­vano fero­ce­mente una folla inerme di afroa­me­ri­cani sull’Edmund Pet­tus Bridge misero alle strette la Casa Bianca e il Con­gresso. Quella dome­nica la mar­cia si fermò a Selma.

Per scelta di King, e prima che scop­pias­sero altre vio­lenze, i dimo­stranti si fer­ma­rono al ponte anche due giorni dopo. Al terzo ten­ta­tivo, e gra­zie alla sen­tenza di un giu­dice, la mani­fe­sta­zione ebbe final­mente il suo corso fino a Mont­go­mery. Entro ago­sto John­son avrebbe fir­mato la nuova legge. Insieme a King, John­son, Hoo­ver, Wal­lace, DuVer­nay arric­chi­sce la tex­ture del suo film popo­lan­dolo di altri pro­ta­go­ni­sti del movi­mento, come il futuro amba­scia­tore all’Onu e sin­daco di Atlanta Andrew Young (allora un mem­bro della Sou­thern Chri­stian Lea­der­ship Con­fe­rence), il depu­tato della Geor­gia John Robert Lewis (allora dello Stu­dent Non­vio­lent Coor­di­na­ting Com­mit­tee) e Ame­lia Boy­ton, la lea­der degli atti­vi­sti di Selma che invitò King in città.
Le donne, in gene­rale, sem­brano più impor­tanti, rispetto alla sto­rio­gra­fia uffi­ciale, a par­tire da Coretta Scott King. Ed è pro­prio sul dato sto­rio­gra­fico che Selma sta sol­le­vando delle cri­ti­che, prima fra tutti quella di aver trat­tato con ecces­siva durezza Lyn­don John­son. In difesa del pre­si­dente sono scesi suoi ex col­la­bo­ra­tori come George Cali­fano, o il diret­tore della LYon­don John­son Library Mark Upde­grove e lo sto­rico Gary May: John­son sarebbe stato un alleato di King e non un avver­sa­rio, come invece appare nel film.

Il manifesto – 12 febbraio 2015

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