Riproponiamo di seguito una essenziale recensione dell'ultimo libro di Angelo D'Orsi su Antonio Gramsci.
D’Orsi sfata il mito di un Gramsci quasi liberale
Non da oggi, qui da noi, la storia delle dottrine politiche è anche un campo di battaglia che sconfina spesso nell’attualità. E, a volte, si colora pure di tinte gialle o noir. Ecco perché Antonio Gramsci, sul quale si appuntano inesauribili polemiche e querelle, e pure «misteri», sparizioni e «oggetti smarriti», val bene una nuova seria ricognizione che preferisce nettamente la storia documentaria a quella indiziaria (e nulla vuole spartire con una sorta di detective story).
Angelo d’Orsi, profondo conoscitore del pensiero del padre teorico del comunismo italiano, ha curato un’esaustiva Inchiesta su Gramsci (Accademia University Press, pp. 219, €18), raccogliendo i testi di 26 specialisti, per cercare di mettere alcuni punti fermi nel dibattito storiografico. Che è complesso – innanzitutto per la natura plurima e «problematica» dei testi gramsciani (articoli per la stampa, materiale carcerario e documenti di partito, per di più spesso non integralmente suoi) – ma da cui andrebbero rigorosamente espunti i «corpi estranei» del revisionismo e dell’opinionismo, responsabili della diffusione di una sequela di «leggende metropolitane» (tra le quali gli studiosi coinvolti indicano quella di un Gramsci sulfureo cattivo maestro, il sospetto intorno a un Piero Sraffa agente sotto copertura del Comintern, se non direttamente di Stalin, e la dicotomia tra un Gramsci buono e un Togliatti malvagio).
L’obiettivo del volume collettaneo – in cui tutto il corpus gramsciano è passato sotto la lente di ingrandimento (dalle interpretazioni postmoderniste alla larghissima ricezione internazionale, sino alla linguistica) – è anche quello di rigettare ai mittenti il tentativo, reputato inaccettabile, di un’ermeneutica liberale del marxista eterodosso Gramsci, che mirerebbe a svuotarne la carica irriducibilmente critica e alternativa. Come pure quello di sgombrare il campo dalla tesi del Quaderno o dei (due) Quaderni di «fuoriuscita dal comunismo» fatti sparire, anche se a Franco Lo Piparo, suo principale alfiere, pur nel dissenso fermo e totale, viene concesso l’onore intellettuale delle armi (e un intervento all’interno del libro).
LA STAMPA, 30 dicembre 2014
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