Renzi chiarisce che
non ci sono soldi per la scuola. Altro che
istruzione come priorità nazionale! Mentre non c'è problema a
trovare fondi per gli F35 e per una nuova spedizione militare
(Libia), per quanto riguarda la scuola tutto è lasciato alle scelte
individuali dei cittadini. Come diceva Totò: arrangiatevi!
Nadia Urbinati
Per la scuola non
basta uno slogan
Il Presidente del Consiglio lancia l’ambizioso progetto “la buona scuola”. Lo fa alla fine di una consultazione con i diretti interessati (alunni, docenti e famiglie) che egli stesso ha giudicato un evento unico, non solo nel nostro Paese. In una recente puntata di Piazzapulita si è avuto modo di capire che le cose non stanno proprio in questi termini: l’ascolto è stato pilotato e molti temi concreti che le scuole statali hanno urgente bisogno di discutere e risolvere non hanno avuto centralità, anche perché poco attraenti.
In effetti, parlare della
mancanza cronica di carta igienica nelle scuole statali di ogni
ordine e grado, sapere che i genitori si autotassano ormai
abitualmente per coprire le spese ordinarie degli istituti
frequentati dai loro figli che lo Stato non copre: tutta questa
concretezza non consente di fare spot attraenti sulla buona scuola
del futuro. Tuttavia questi sono i problemi. Che non svaniscono con
gli slogan: “Sì, serve la carta igienica, ma fateci sognare”.
Semmai, si potrebbe dire al presidente Renzi che i sogni li
dovrebbero poter fare le scuole, non il governo. E vi è di che
dubitare che questi provvedimenti ben propagandati vi riescano.
Prima di tutto perché lo Stato ha dichiarato di non potere coprire le spese delle sue scuole. È come se dicesse: non possiamo garantire i diritti civili perché non abbiamo soldi a sufficienza per sostenere i tribunali. Non ci sono fondi a sufficienza. Ma se lo Stato (e i suoi organi amministrativi) finanziasse solo le sue scuole, come la Costituzione gli comanda, i soldi non sarebbero un problema così emergenziale.
A fine gennaio l’Espresso
ha dedicato al depauperamento della scuola statale un’inchiesta ben
fatta. Eccone il senso: “Settecento milioni l’anno di denaro
pubblico vanno ad aiutare gli istituti paritari, mentre lo Stato non
ha soldi neppure per rendere sicure le aule. Un flusso che parte dal
ministero dell’Istruzione, dalle Regioni e dai Comuni e finisce
senza controlli ad enti privati di scarsa qualità o dove i
professori ricevono stipendi da fame”. Governatori e sindaci,
continua l’Espresso, alimentano un fiume carsico di denaro pubblico
per le private, un federalismo scolastico che si somma alla
sovvenzione ministeriale.
L’articolo 33 della
Costituzione è raggirato, e non da oggi, con l’escamotage degli
aiuti alle famiglie. La Costituzione sembra non avere forza, sembra
parlare la lingua dei sogni, ma non di quelli che piacciono a chi la
dovrebbe attuare.
E il progetto detto “buona scuola” non cambia questo trend privatistico, ma lo legittima, lo regolamenta e lo stabilizza. Lo ha confermato proprio il presidente del Consiglio in conferenza stampa: «In futuro chiederemo autonomia anche dal punto di vista economico, così che una parte della dichiarazione dei redditi possa andare a una singola scuola». Ovvero, chi non ha figli si sentirà libero di non dare alcun contributo alla scuola pubblica, trattata come la religione o i partiti politici: oggetto di libera scelta individuale.
Benché la scuola sia un
bene pubblico, non privato che si può scegliere o non scegliere. La
logica che guida questo progetto è opinabile: prima di tutto perché
associa la tassazione per beni pubblici al consenso individuale —
questo è esattamente quanto dagli anni Settanta sono andati
predicando i teorici liberisti; questa è stata la filosofia che ha
guidato i governi Reagan. E il reaganomics è la direzione di marcia
del nostro governo sulla scuola statale.
Lo Stato si impegna a istituire e sostenere scuole di ogni ordine e grado: lo Stato, non i singoli secondo la loro personale preferenza e decisione. È evidente che il governo cerca di vendere il prodotto appellandosi all’autonomia scolastica. Ma legare il destino della scuola statale alle preferenze individuali non è una condizione di autonomia ma di assoluta dipendenza dal privato.
È stupefacente come non
si crei un dibattito serio e ragionato su temi così rilevanti, come
le rivendicazioni della minoranza nel Pd non sappiano tradursi in
contro-proposte che incalzino la maggioranza con argomenti efficaci.
La dialettica sarebbe di aiuto al governo che potrebbe voler
accettare la sfida della discussione e migliorare la sua proposta.
In questo momento, i
cittadini restano fuori del palazzo, inascoltati e fortemente
critici. Organizzano convegni, lanciano petizioni, firmano documenti,
ma la loro voce non ha risonanza. Non hanno rappresentanti nei
partiti e non hanno nel Parlamento un interlocutore. Politica
costituita e opinione dei cittadini marciano su binari paralleli.
La Repubblica – 25 febbraio 2015
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