09 febbraio 2015

M. BENFANTE: RIUSCIRA' RENZI-GIUFA' A DISTRUGGERE LA SCUOLA?



La scuola italiana attende due date a fine febbraio: un incontro del PD sulla scuola il 22 febbraio e la presentazione di un decreto e un disegno di legge il 28 febbraio. Contro le proposte del Governo si annunciano mobilitazioni degli studenti. E intanto una proposta alternativa che parte davvero dal basso (la LIP – Legge di iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica, sottoscritta da 100.000 persone, che il 30 gennaio ha compiuto 10 anni) continua a essere ignorata dal Governo. In questa puntata di vivalascuola presentiamo un intervento di Marcello Belfante sulla Buona Scuola di Renzi apparso sul numero 24 della rivista di educazione e intervento sociale Gli Asini, che ringraziamo per la gentile concessione. Segue un punto della situazione sulla “riforma“.


Riuscirà Renzi-Giufà a distruggere la scuola?
di Marcello Benfante


Per molti anni ho auspicato che la scuola fosse demolita. Da sinistra, per così dire, se l’indicazione direzionale ha ancora un senso (ma ormai la mano sinistra sa perfettamente cosa fa la destra, essendo intente entrambe allo stesso sincronico lavoro).
Distrutta, essendo irriformabile, e poi ricostruita su nuove basi, più democratiche e libertarie. Più sane e forti. Più eque e plurali.
Ed ecco adesso che, come in certi inquietanti racconti fantastici, il sogno diventa realtà, convertendosi in incubo. Gli incubi, si sa, si avverano sempre.
E ora infatti si stanno avverando, anche oltre ogni immaginabile catastrofismo, assumendo la faccia lessa, anodina e apparentemente innocua, quindi infida, di una caricatura di Tony Blair che imita Mister Bean (di cui il nostro premier ricorda le fattezze con allarmante somiglianza, come ha sottolineato satiricamente la stampa inglese).
Ma con la sua aria da tonto e insieme da furbo, la faccia da grullo e l’occhio scaltro, Renzi è una maschera della politica che ricorda invece Giufà, il più famoso tra i personaggi delle tradizioni popolari siciliane. Solo che Giufà, questo islamico archetipo della schizofrenia plebea, è noto per pensarne una e farne cento, con la sua calamitosa stravaganza ipercinetica.
Renzi invece, il Giufà alla rovescia, ossia il Giufà convertito al gesuitismo, su cento che ne dice riesce a farne soltanto una (almeno per ora). Basta e avanza, è vero, ma il rapporto invertito svela con l’esattezza di una formula matematica la vera natura di questo leader rampante e pseudo-pragmatico: un comunicatore di frottole e un venditore di fumo, in quest’arte ciarliera forse inferiore solo a Berlusconi, di cui è l’emulo ripulito e reso presentabile.
Tra dense cortine di fumo, senza arrosto ma non senza fiamme, improvvisamente e finalmente si è tornati a parlare di scuola, non come lamentazione, ma in termini propositivi. E questa potrebbe essere una buona notizia, sebbene i propositi, maldestramente celati, a leggere tra le righe inquietino un po’.
Forse l’unica buona notizia, a essere sinceri. O ingenui. Giacché invece, molto probabilmente, come in certi giochi di prestidigitazione, si parla soltanto allo scopo di distogliere l’attenzione dal trucco che le mani (di cui sopra) stanno compiendo ai danni dell’allocco che presta ascolto e si distrae.
Ma quante belle parole!
Al centro del dibattito torna dunque la “buona” scuola che Matteo Renzi e il ministro Stefania Giannini vorrebbero. La quale discenderebbe da un “patto”, parola vetero testamentaria o proto-americana che forse sta a indicare una condiscendenza del pantocratore. Da quale trattativa sia nata questa sacra alleanza resta infatti un mistero (come spesso accade per le trattative nostrane).
Tuttavia, Renzi vuole mettere un accento nuovo nella sua comunicazione: la scuola è “il cuore di tutto” (come la Sicilia di Goethe è la “chiave” di tutto) e occorre perseguire una “bellezza educativa”.
Questo riferimento alla bellezza è notevole. Ammettiamolo, ancorché con riserva e con qualche sospetto d’inganno. Soprattutto perché sembrerebbe indicare una mentalità più aperta alla polivalente esperienza pedagogica.
E quelle di Renzi sono per l’appunto belle parole. Va da sé che con le belle parole si possono fare dei bei discorsi. Raramente altro. Di belle parole è lastricata la restaurazione. Tuttavia resta la necessità di uscire dalle retoriche della scuola. Dalle sue brutte parole.
E Renzi ci prova. Come no. Basta precari, afferma (una parola! Per quanto bella). E poi: giudicare gli insegnanti per merito e non più per anzianità, premiandoli, come si fa con gli animali addestrati, con uno zuccherino in busta paga.
Per la cronaca, bisognerebbe dire che gli stipendi degli insegnanti sono bloccati da un bel pezzo, sebbene gli insegnati nel frattempo siano diventati più anziani e molti di loro si trovino ormai nella prospettiva poco allettante di dover trascorrere la loro vecchiaia in cattedra.
Ma questa sarebbe polemica spicciola (in tutti i sensi). Sul giudicare gli insegnanti o il loro operato c’è invece un antico dibattito. Un’antica ossessione meritocratica, per un verso destinata a fare un buco nell’acqua, per l’altro a perpetrare piccoli misfatti, premiando proprio i peggiori.
La bellezza dell’insegnare e dell’apprendere
In breve, chiunque abbia una conoscenza non superficiale della scuola ed esamini la questione con onestà intellettuale dovrà addivenire alla conclusione che giudicare oggettivamente un insegnante è pressoché impossibile. Tutto ciò che può essere oggetto di valutazione è solo ciò che è misurabile, ossia che può essere ricondotto a una determinata quantità, che può essere inserito in curriculum, che può tradursi in titoli, incarichi, in ore di presenza o di impegno. Non poco, in verità, e comunque quasi tutto già oggi retribuito in modo specifico (il che fa temere che in futuro non lo sarà più se non nella forma del ricattatorio scattino stipendiale).
Ma al tempo stesso, niente di essenziale. Essendo l’essenziale tutt’altro (“invisibile agli occhi”, direbbe Saint-Exupéry, sebbene raramente a quelli degli alunni).
Ciò che davvero conta è la capacità di fascinazione e fabulazione di un insegnante. La sua inventiva e il suo umorismo. L’ironia e l’autoironia. La sua capacità di creare curiosità. Anche inquietudine. Perfino scandalo, diceva Pasolini.
Una capacità incalcolabile e non tabulabile (ma che tutti abbiamo personalmente intuito da alunni). E a dirla tutta nemmeno sempre verificabile nel breve periodo, essendo talvolta destinata a fruttificare in un futuro imprevedibile, a restare per un tempo più o meno lungo in incubazione.
La bellezza dell’insegnare e dell’apprendere, che è sempre un processo reciproco, sta proprio in questa apparente gratuità e leggerezza.
Ma il fatto è che la scuola, per lo più, è un santommaso che crede solo nel misurabile, nella quantità e quasi mai nella qualità. E ciò spiega la sua passione per i numeri. Non quelli della matematica, s’intende, bensì quelli dei voti.
C’è una scuola eterna (così come c’è un fascismo eterno o un eterno barocco dello spirito, per esempio) che permane imperturbabilmente nozionista, mnemonica, grammaticale. Insomma normativa e vetero-positivista. E ovviamente discriminatoria. Ma questo è un altro discorso.
L’investimento per la scuola: tutto al risparmio
Se vogliamo restare ai numeri, in soldoni (o meglio in soldini), Renzi propone (o si dovrebbe dire pattuisce) sessanta euro in tre anni agli insegnanti migliori. Che in gran parte recupererebbe dalle tasche degli insegnanti non meritevoli, castigati a non godere di alcuna progressione.
La questione potrebbe sembrare, a questo punto, meramente sindacale e anche miserrima.
Tuttavia il nocciolo tematico è un altro. E riguarda la politica scolastica. Quella che viene detta la “riforma” della scuola con una parola vecchia che Renzi, in questo caso, non ama, ma di cui abusa in forma iperbolica in altri ambiti (persino l’elargizione degli 80 euro ai redditi bassi viene spacciata per riforma).
L’esiguità del premio parrebbe infatti indicare con tutta evidenza un intento del governo al risparmio, che non fa ben sperare. Renzi infatti partiva da altre premesse. Altre (belle) parole.
La spesa per la scuola era intesa come “investimento per l’Italia”, essendo la scuola un fattore centrale del sistema nazionale, il luogo deputato in cui si elabora il futuro del paese.
Naturalmente, si può ritenere necessario ridurre la spesa per i docenti allo scopo di potenziare altre emergenze della scuola nel suo insieme. Ma non certo in una logica premiale e di incentivazione della crescita professionale degli insegnanti, delle loro “nuove opportunità” di carriera.
Una caserma di vetro: brutta e burocratica
Il premier Renzi e il ministro Giannini si impegnano a costruire una “scuola di vetro (che in termini retorici fa subito pensare a una rischiosa fragilità) in primo luogo meno burocratica. Proposito giustissimo, anzi assolutamente indispensabile per la stessa sopravvivenza della scuola.
Si tratterebbe, dicono, di “individuare le cento procedure burocratiche più gravose per la scuola. Per abolirle tutte”.
E questa sarebbe già una vera rivoluzione. Non sufficiente però. Stefania Giannini, che (ahinoi) è una glottologa, dovrebbe cominciare dal linguaggio stesso della scuola, cioè da quel grottesco buro-didattichese che riduce tutta la vita (e la “bellezza”) pedagogica a schematismi tecnico-automatici (e sedicenti scientifici).
Eliminata, con il rasoio di Occam, tutta questa barba ideologica, inutile quando non perniciosa, si potrà mettere mano a una vera sburocratizzazione della scuola.
Ma, a mio avviso, il dinamico duo Renzi-Giannini non va in questa direzione quando pensa a modalità funeste, già sperimentate e fallite, come la “formazione continua obbligatoria” dei docenti, in una logica un po’ da caserma (tutt’altro che bella e antiburocratica) che come al solito penalizzerebbe proprio quei soggetti che più si aggiornano con esperienze vere e non mediate da logiche clientelari.
Per di più, questa inutile formazione coatta, quasi sempre centrata sui discorsi di lana caprina della più vacua docimologia, aumenterebbe lo spreco delle risorse, già magrissime, e quindi accelererebbe il disastro strutturale, soprattutto in situazioni allo stremo, che mancano di tutto e di tutto hanno bisogno, eccetto che di esperti tecnocrati.
La cultura è la grande assente
Bisognerebbe invece dare più entusiasmo alla scuola con una più libera circolazione di idee, di sperimentazioni, di ricerca, di dialogo. Insomma di cultura (che paradossalmente è la grande assente della vita scolastica).
Il rischio è che anche stavolta i provvedimenti di semplificazione burocratica si rivelino delle superfetazioni burocratiche in un circolo vizioso di autoproduzione.
Pur parlando spesso un linguaggio vecchio, che fa rima con il codice autoreferenziale della scuola, Renzi e Giannini, con le loro grottesche promesse-minacce di “coding” e “digital makers”, sembrerebbero proporsi di innovare un mondo anchilosato con un’audace scommessa: eliminare lo scandalo del precariato. Se la prospettiva è di lungo termine (vent’anni, cioè un tempo praticamente inverificabile in termini politici), ben più ravvicinato è il primo provvedimento sanatorio: un piano straordinario per assumere centocinquantamila docenti entro il settembre 2015.
Ecco un potenziale fatto (bello) su cui si potrebbe fondare un discorso concreto.
Ma dopo aver udito le minacce di licenziamento degli insegnanti reprobi, ancorché ipocritamente paludate, del ministro Giannini, non dovrebbero sussistere più dubbi sulla natura antidemocratica e illibertaria della “riforma” renziana.
Che è in perfetta continuità con quella del ministro Gelmini, di cui anzi è l’audace perfezionamento, reso possibile dal patto (il vero patto) trasversale della compagine governativa.
La scuola “è il cuore di tutto“: sì, di un progetto reazionario
Lo scopo è evidentemente lo smantellamento dell’istruzione pubblica, inteso come momento strategico del generale smantellamento dello stato sociale (e perfino di quello di diritto, per molti versi).
E dovrebbe essere anche chiaro, almeno a chi conserva un briciolo d’intelletto, il senso dell’accanimento simbolico contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Lo scopo vero di tutta questa manovra piuttosto losca è il taglio di una spesa ritenuta non necessaria (mentre si celebra, a parole, la centralità sistemica della scuola).
Ecco in che senso la scuola è il “cuore di tutto”. Nel senso che la sua distruzione è un momento indispensabile nel processo autoritario di centralizzazione del potere e di drastico ridimensionamento della spesa pubblica a carico e danno dei cittadini.
Il progetto, che millanta un’improbabile (per non dire impossibile) eliminazione in tempi brevi del precariato, peraltro giustamente intimata dall’Unione Europea, si rivela palesemente un tentativo di precarizzazione dell’intera scuola, della scuola tout court.
Così come l’impraticabile valutazione meritocratica degli insegnanti si dimostra un modo subdolo per cercare di controllare ogni forma di pensiero dissidente, non allineato, in aperta violazione dei diritti costituzionali degli insegnanti e soprattutto degli alunni, ben oltre la sostanziale abrogazione dell’articolo 33.
Insegnanti coartati, licenziabili, manovrabili sono la migliore garanzia per la trasformazione della scuola in un organo di trasmissione del consenso acritico.
La questione della scuola diventa allora la chiave per interpretare tutta la strategia reazionaria del governo Renzi, che attraversa l’intero corpo delle istituzioni nazionali.
Meditate, gente, meditate”, raccomandava un vecchio slogan pubblicitario. Che era solo uno slogan, certo. Né più né meno che la gran parte di quel che Renzi dice, ma ben più inoffensivo.
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MATERIALI
La “Buona Scuola” di Renzi: il punto della situazione
La preoccupante identificazione del Partito con lo Stato
La scuola attende due date a fine febbraio: un incontro del PD sulla scuola il 22 febbraio e la presentazione di un decreto e un disegno di legge il 28 febbraio: la traduzione in legge del documento “La Buona Scuola“, di cui qui Vincenzo Pascuzzi sintetizza l’iter attraverso dei link. Contro le proposte del Governo si annunciano mobilitazioni degli studenti. E intanto una proposta alternativa che parte davvero dal basso (la LIP - Legge di iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica, sottoscritta da 100.000 persone, che il 30 gennaio ha compiuto 10 anni) continua a essere ignorata dal Governo.
L’annuncio il Presidente del Consiglio Matteo Renzi lo aveva dato in sedi di partito: prima davanti ai militanti del Pd, e poi in una lettera agli iscritti del partito:
La vera riforma che rimette in moto l’Italia è quella che tiene insieme la sfida educativa – partendo dalla scuola (iniziate a segnarvi questa data: 22 febbraio, Roma).
E si prosegue allo stesso modo, nonostante le denunce e le proteste:
Ormai la cosiddetta “Buona scuola” è diventata un affare tutto interno al partito di Governo, altro che riforma scritta con il Paese intero.
È quanto dichiara Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, in riferimento all’iniziativa “I #1000xLABUONASCUOLA” promossa dal Partito Democratico.
Cara democratica, caro democratico, il Dipartimento Scuola del PD nazionale chiede a 1.000 persone che hanno a cuore la scuola di dare il proprio contributo affinché la Buona Scuola sia davvero la prima riforma che nasce dal basso. Cosa fanno i #1000XLABUONASCUOLA?
Sono gli ambasciatori della Buona Scuola sul territorio. Sono testimoni del cambiamento e attivatori di innovazione. Seguiranno i lavori delle commissioni parlamentari e offriranno il loro supporto attraverso la Community su Facebook.
Chi può far parte della Community #1000XLABUONASCUOLA?
Persone iscritte o simpatizzanti del PD che hanno davvero a cuore la scuola. Quindi, docenti, studenti, personale Ata, amministratori locali, genitori, esperti che siano pronti a farsi coinvolgere e abbiano voglia di costruire un Paese migliore partendo dall’istruzione.
Come lavoreranno i Mille?
Il lavoro dei Mille sarà in costante collegamento con il Dipartimento Scuola della Direzione nazionale del PD e con i parlamentari del PD.
Due le piattaforme di lavoro: il gruppo Facebook #1000XLABUONASCUOLA e una pagina web all’interno del sito nazionale del PD.
E’, quindi, indispensabile che ciascuno abbia un profilo Facebook attivo e una mail.
E’ tale l’identificazione tra Governo e Partito che la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini per mantenere il ministero è dovuta passare da Scelta Civica al Partito Democratico.
In politica le bugie non funzionano“. Ma adesso evidentemente sì
E dire che su chi cambia partito Matteo Renzi aveva espresso idee diverse.
Chi cambia partito fa una “scelta rispettabile” ma deve avere il coraggio di dimettersi dal Parlamento. Parola di Matteo Renzi, lo stesso Matteo Renzi che tre anni dopo aver pronunciato quelle frasi incassa con soddisfazione l’arrivo nel PD di 8 parlamentari di Scelta Civica. Renzi quelle cose le disse in tv, a “Porta a Porta”. Era il 22 febbraio 2011.
Come altro aveva fatto pensare annunciando la “Buona Scuola“:
Propongo che per un anno tutta Italia – destra, sinistra, nord, sud – discuta di come insieme vogliamo rifare la scuola, perché non la può rifare Renzi o il ministro: o la rifà una comunità o sarà l’ennesima riforma calata dall’alto“.
Dello stesso tono le dichiarazioni della ministra:
La differenza sostanziale ad oggi è nel metodo.
e del sottosegretario:
Per la prima volta una riforma della scuola che non viene calata sulla testa di insegnanti e famiglie ma che mette al centro dialogo e ascolto come elementi imprescindibili per costruire una scuola moderna e che funzioni.
Come pure di Francesca Puglisi:
Lo avevamo promesso: mai più riforme calate dall’alto sulla testa di insegnanti, personale scolastico, studenti e famiglie.
Perché non si tiene conto allora del fatto che la scuola ha bocciato la “Buona Scuola” di Renzi?
E se il Governo si identifica con il Partito, il Partito si identifica con l’Uomo
Come commenta Pasquale Almirante:
Generalmente, da che ci ricordiamo, tutte le riforme della scuola hanno preso il nome dei vari ministri: da Gelmini a Casati, da Fioroni a Gentile (con le dovute differenze di caratura certamente), mentre da qualche annetto a questa parte, anche le semplici o più complesse presunzioni di riforma prendono il nome del nostro premier e tutto è riformato da Matteo.

Viene quasi voglia di chiamarlo “Dux”, il grande Dux, ma nel Pd questa parola non è gradita, come il termine: “stalinista”, benché lui tutto veda e dovunque provveda e se gli ricordano le promesse mancate “fa orecchie da mercante”, come quella di visitare le scuole coi professori, gli alunni, il personale, il dirigente.
E’ il caso di domandarsi, con Marina Boscaino:
La Buona Scuola è davvero “la nostra scuola”?
Peregrine e impopolari le proposte, confuse e contraddittorie le dichiarazioni
Prima siamo rimasti sbalorditi dal contenuto delle proposte governative espresse nel documento “La Buona Scuola“: assunzioni dovute in seguito a una condanna della Corte Europea spacciate per iniziativa del Governo; eliminazione di qualsiasi tipo di aumenti stipendiali (contratti, scatti) in cambio di un futuro “premio” per i docenti meritevoli“; lavoro aggiuntivo (“banca delle ore“) per supplenze di colleghi assenti non retribuite; maggiori poteri al dirigente scolastico e gestione di tipo aziendalistico della scuola, ecc.
Poi rimaniamo sbalorditi delle affermazioni provenienti dall’ambiente governativo.
Ad esempio quelle che la ministra Giannini ha rilasciato al Corriere della Sera sulla riforma degli stipendi dei docenti.
In merito all’abolizione degli scatti stipendiali e l’avvio di una progressione legata al “merito“, proposta sonoramente bocciata da tutte le scuole d’Italia e dalla stessa consultazione gestita dal Governo (bocciatura che ha costretto a una riformulazione della riforma degli scatti stipendiali con un sistema misto tra anzianità e merito), la ministra ha affermato che la proposta presente nel testo “La Buona scuola” era “provocatoria.
Sulla valutazione dei docenti si affollano i criteri: la ministra parla di frequenza obbligatoria di corsi di aggiornamento (che comporterebbero un inevitabile esborso o per il sistema o per il singolo docente, il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone che gli studenti diano i voti ai loro docenti.
Poi si susseguono affermazioni e intenti discordanti tra gli esponenti del Partito Democratico e la ministra Giannini, a partire dal curriculum personalizzabile alle superiori e la percentuali di alunni stranieri per classe. Contraddittorie anche le affermazioni relative all’insegnamento di una materia in Inglese alla scuola primaria.
Perché non si tiene conto del fatto che la scuola ha bocciato la “Buona Scuola” di Renzi?
Fallimento de La Buona Scuola di Renzi: le scuseNonostante le prime esultazioni del PD (Francesca Puglisi) e della ministra Stefania Giannini (ma tra gente di scuola meglio evitare rozza pubblicità), non ha dubbi in merito al fallimento del piano governativo denominato La Buona Scuola (qui se ne può ripercorrere la cronaca attraverso una serie di link raccolti da Vincenzo Pascuzzi) uno dei suoi più convinti sostenitori, Stefano Stefanel:
La Buona scuola come proposta di mobilitazione nazionale per arrivare ad una nuova normativa condivisa è proprio fallita.
Responsabili secondo Stefanel sono:
l’aggressività di coloro che in nome del diritto allo studio e della difesa della Costituzione bocciano sempre tutto e l’oggettiva debolezza del fronte renziano messo a difesa della proposta.
Si è poi assistito allo sconcertante spettacolo del Partito Democratico da cui si sono levate le voci più critiche sulla proposta.
Ci si domanda cosa sarebbe servito al fronte renziano per non essere debole, visto che ha avuto a disposizione tutte le scuole d’Italia, la struttura del Ministero e degli Uffici scolastici regionali, l’apparato nazionale del Partito Democratico, spot radiotelevisivi e una massiccia campagna sulla carta stampata.
Fallimento de La Buona Scuola di Renzi: le causeI punti più deboli de La Buona Scuola sono state le sue proposte, a partire proprio da quello più urlato: il merito. Come osserva Anna Maria Bellesia
La carriera prospettata era solo un portfolio di crediti didattici, formativi e professionali. Dal punto di vista stipendiale, era una semplice progressione economica saltuaria, addirittura inferiore agli scatti di anzianità. La ridicola misura del compenso era tale da inficiare alla base qualsiasi serio discorso sul merito. Essendo poi la quota di “bravi” fissata al 66%, nella scuola si sarebbero scatenaticontroproducenti meccanismi competitivi e un peggioramento delle relazioni. Niente di tutto questo avrebbe dato “dignità” alla professione docente, già troppo avvilita.
I risultati della consultazione on line presentati il 15 dicembre indicano una strada diversa da quella delineata dal Miur. E il Governo dovrà tenerne conto.
Bocciato il merito a punti. Nonostante la scarsa partecipazione alla consultazione on line, le risposte sono comunque significative. Alla domanda: “A cosa serve la valutazione del docente?”, ben il 90% ha risposto “Costruire percorsi di miglioramento”.
Alla domanda: “La valutazione deve modificare la retribuzione?”, l’81% ha risposto che il merito deve contribuire alla crescita stipendiale dei docenti. Però il 46% dà la preferenza ad un sistema misto fra anzianità e merito. Percentuale che sale al 56% fra i docenti. Con la precisazione che “il merito non deve intaccare la collegialità di lavoro”. Nella scuola, i meccanismi competitivi sono da evitare. La scuola offre un servizio di istruzione, formazione, educazione, si ispira ai valori enunciati nella Costituzione, non è una azienda.
Da dove ripartire allora per trovare condivisione su quale sia il merito del docente? L’indicazione giusta la troviamo, guarda caso, nelle risposte date alla domanda: Cosa definisce un buon docente?”. La quasi totalità ha risposto: “La qualità del lavoro in classe”. In subordine troviamo: “La capacità di collaborare con i colleghi” e “La capacità di migliorare la qualità della scuola”. L’impegno in altre attività funzionali o progettuali viene di gran lunga dopo. È evidente dunque che il sistema dei crediti “a punti”, come inizialmente proposto, dovrà essere profondamente rivisto.
A fine consultazione, anche Andrea Gavosto della Fondazione Agnelli critica il piano del Governo sul merito: meccanismo inattuabile, nessuna reale progressione di carriere, compensi irrisori. Anche Paolo Sestito, ex presidente dell’Invalsi. E Francesca Puglisi rivaluta l’anzianità:
La consultazione sulla Buona scuola conferma che va riconosciuto il merito dei docenti. Questo va coniugato però con l`anzianità di servizio. Del resto, in tutti i paesi europei l`esperienza è un valore, il problema è che in Italia ad oggi è l`unico elemento di progressione.
Più ne sappiamo della “Buona Scuola” più l’incubo peggiora
Supplenze senza retribuzione. Il Governo si attende un risparmio stimato in 350 milioni di euro dall’eliminazione delle supplenze brevi nelle scuole. Per supplenze brevi, il Ministero intende quelle fino a 30 giorni che costano 1 milione e 800 mila contratti distribuiti su circa 112.000 diversi supplenti ogni anno, concentrati soprattutto nell’infanzia e primaria.
Sull’organico funzionale, da settembre 2015, dovrebbero essere assunti circa 80.000 docenti che avranno il compito di fare supplenze e di occuparsi dell’ampliamento dell’offerta formativa.
Ma poiché il numero di assunti nell’organico funzionale non coprirà il fabbisogno annuale di supplenze brevi, a supporto, le linee guida “La Buona Scuola” anticipano la volontà di istituire la cosiddetta “banca delle ore” che prevede il recupero dei giorni di vacanza dei docenti sotto forma di supplenze non retribuite.
Corsi di recupero senza retribuzione. Secondo alcune indiscrezioni che trapelano, sul decreto legge della “Buona Scuola” ci sarebbe anche la novità che, a partire dal prossimo anno scolastico, i corsi idei delle scuole secondarie di secondo grado saranno effettuati dai docenti della stessa scuola, ma senza alcuna retribuzione accessoria. In sostanza i corsi di recupero rientrerebbero tra le attività d’insegnamento già stipendiate. Questo significherebbe che l’art.10 dell’O.M. 92/2007 verrebbe ad essere di fatto abrogato, determinando che gli interventi didattico-educativi di sostegno e recupero, rivolti agli studenti in difficoltà, non costituiranno più un’ attività aggiuntiva di insegnamento ma piuttosto un’attività curricolare.
Con un tratto di penna verrebbe eliminata la retribuzione oraria di 50 euro lorde, prevista dal contratto scuola e riferita ai docenti che svolgono ore aggiuntive di corsi di recupero.
E se una voce è fuori dal coro, tutti addosso: in Presa Diretta
La puntata di Presa Diretta dell’8 febbraio ha dato finalmente un quadro realistico della scuola italiana: dalla situazione dell’edilizia e della sicurezza alla realtà del precariato; dall’esplicita dichiarazione della “Buona Scuola” secondo cui lo Stato non intende farsi carico della scuola, con conseguente erogazione di risorse irrisorie per le stesse, alla abolizione degli scatti della retribuzione dei docenti, ferma al contratto del 2007; dalle modalità “blindate” della consultazione sul documento di Renzi alla alternativa della LIP – Legge di iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica.
Ebbene, il risultato è stato un intervento massiccio del giro di sottosegretari, onorevoli e senatori del PD contro la trasmissione, che per una volta dà spazio a quello che abitualmente non si sente dire. Come commenta Anna Maria Bellesia:
L’impressione è che fra la Politica e la Scuola reale, così come fra la Politica e il Paese reale, ci sia una pericolosissima distanza, uno scollamento forse insanabile.
Non ci rimane che concludere, con Lucio Ficara:
Altro che buona scuola, quella raccontata ieri a “Presadiretta”. Dopo “Presadirettaci vorrebbe una presa d’atto da parte del governo Renzi e di chi nel nostro Parlamento si occupa di scuola.
Intanto c’è una Legge per una buona scuola per la Repubblica (LIP) che è stata scritta davvero dal basso
La LIP è una Legge di iniziativa popolare Per una Buona Scuola per la Repubblica (qui una storia, qui il sito) sottoscritta da più di 100.000 persone, che da luglio è stata presentata come disegno di legge in Senato e a settembre alla Camera. Finalmente una vera e propria proposta formalizzata dal mondo della scuola, sostenuta da organizzazioni di insegnanti e dall’Unione degli Studenti, e non il solito “no” che tutti hanno sempre rimproverato a chi si opponeva a una politica di tagli chiamata “riforma“. Un disegno di legge che il Governo continua a ignorare.
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LA SETTIMANA SCOLASTICA
I record dell’Italia
Tanti abbandoni, pochi laureati. Dal Rapporto Eurispes “Italia 2015” emerge che il numero di alunni che lasciano la scuola prima dei 16 anni non sono “consoni a uno Stato avanzato“: mentre nel nostro Paese siamo fermi al 17%, in Croazia, Slovenia e Repubblica Ceca non si va oltre il 5,4%. Male anche sul fronte laureati: tra i cittadini tra i 30 e i 34 anni solo il 22,4% ha conseguito la laurea, contro una media UE del 36,5%. Dito puntato sui tagli.
Più di metà lavoratori con contratti scaduti. L’Istat ha reso noto che a dicembre i dipendenti a cui il contratto è scaduto sono diventati il 55,5% del totale, pari a 7,1 milioni (2,9 milioni solo nel pubblico impiego) e vanno ricondotti a 37 categorie distinte, di cui ben 15 relative alla Pubblica Amministrazione. L’Istituto nazionale di statistica ha sottolineato che i tempi per vedersi ‘aggiornare‘ il contratto sono saliti a 37,3 mesi, ovvero oltre tre anni (a dicembre del 2013 erano invece 32,2 mesi).
Retribuzioni ferme, anzi in calo. “Nella media del 2014 la retribuzione oraria è cresciuta dell’1,3% rispetto all’anno precedente”, si tratta del minimo storico, ovvero della variazione più bassa dal 1982, anno d’inizio delle serie. E anche nell’ultimissimo periodo la situazione si è confermata stagnante: “a dicembre le retribuzioni contrattuali orarie registrano un incremento tendenziale dell’1,3% per i dipendenti del settore privato e una variazione nulla per quelli della pubblica amministrazione”.
Peggio di tutti stanno i dipendenti pubblici. Si conferma il ‘Conto annuale’ pubblicato dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, dal quale si evince che uno stipendio medio di uno “statale” è pari a 34.505. Tra i comparti, quello della scuola è messo peggio degli altri: accusando un anno di più di blocco contrattuale, che congela lo stipendio ai valori del 2009, e la mancata assegnazione dell’indennità di vacanza contrattuale, sospesa almeno fino al 2018, lo scorso anno i docenti e il personale Ata della scuola hanno avuto in media solo 29.468, addirittura 80 euro in meno dell’anno precedente (-0,3%). E sempre nella scuola lo stesso saldo negativo si era registrato l’anno prima, ancora più vistoso (-2,6%).
Alle scuole private un fiume di soldi pubblici. Settecento milioni l’anno di denaro pubblico vanno ad aiutare gli istituti paritari, quelli che per lo più sono “un ritrovo di somari” (parola di Mila Spicola). Mentre lo Stato non ha soldi neppure per rendere sicure le aule. Un flusso che parte dal ministero dell’Istruzione, dalle Regioni e dai Comuni e finisce senza controlli a enti privati di scarsa qualità o dove i professori ricevono stipendi da fame.
Lo Stato alle scuole: si autocancella i debiti! Non brilla per correttezza la decisione del Miur di annullare d’imperio i debiti maturati verso le scuole. Si tratta di scuole che negli anni 2007/2009 avevano pagato le supplenze utilizzando risorse proprie in attesa che arrivassero i fondi del Miur. In realtà non sempre il Miur ha onorato gli impegni, anzi in molti a casi ha fatto un discorso molto semplice alle scuole interessate: “Se avete pagato le supplenze con i vostri soldi è perché li avevate, quindi non vi dobbiamo restituire proprio nulla”.
Adesso il Miur è arrivato addirittura a mettere nero su bianco e ha inviato alle scuole una lettera in cui sta chiaramente scritto:
Si auspica che con progressiva e ragionata programmazione i residui attivi possano essere radiati nell’ambito della autonoma gestione amministrativo contabile e nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente, tramite mirate delibere dei consigli di istituto.
Ciò al fine di rendere i bilanci delle scuole più coerenti con la effettiva situazione finanziaria e anche per consentire all’Amministrazione una analisi più dettagliata e orientata a soddisfare le esigenze effettive, predisponendo gli interventi finanziari più idonei”.
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La LIP – Legge di iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica
Questo è il sito della LIP e questo è il profilo facebook Adotta la LIP. In questo video ne parla Anna Angelucci.

Qui si può leggere il pdf della tabella comparativa, tra la “Buona Scuola” di Renzi e  la “Legge di iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica“.
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Da Gelmini a Giannini
Bilancio degli anni scolastici 2008-2009, 2009-2010, 2010-2011, 2011-2012, 2012-2013.










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