Vincenzo Consolo, avendo provato sulla propria pelle la dura esperienza dell'emigrato, è stato sempre particolarmente sensibile al tema delle migrazioni. Così, non appena il mediterraneo cominciò a diventare il cimitero dei migranti del Sud del mondo, è stato uno dei primi a levare alta la sua voce contro l'indifferenza di tanti.
Oggi, per ricordare gli ultimi ignoti dispersi nelle acque che bagnano la nostra isola, ripropongo un suo articolo del 2007.
Migrazioni, la civiltà come
arte della fuga
di Vincenzo
Consolo
Addio città
un tempo fortunata, tu di belle rocche superbe, se del tutto Pallade non ti
avesse annientata, certo ancora oggi ti leveresti alta da terra. (Euripide: «Le
Troiane») Presto, padre mio, dunque: sali sulle mie spalle, io voglio portarti,
né questa sarà fatica per me. Comunque vadan le cose, insieme un solo pericolo
una sola salvezza avrem l'uno e l'altro. Il piccolo Iulio mi venga dietro,
discosta segua i miei passi la sposa (Virgilio: «Eneide»).
Questi versi di
Euripide e di Virgilio vogliamo dedicare ai fuggiaschi di ogni luogo, agli
scampati di ogni guerra, di ogni disastro, a ogni uomo costretto a lasciare la
propria città, il proprio paese e a emigrare altrove. Sono dedicati, i versi,
agli infelici che oggi approdano, quando non annegano in mare, sulle coste
dell'Europa mediterranea, approdano, attraverso lo stretto di Gibilterra, a
Punta Carmorimal, Tarifa, Algesiras, approdano, attraverso il canale di
Sicilia, nell'isola di Lampedusa, di Pantelleria, sulla costa di Mazara del
Vallo, Porto Empedocle, Pozzallo...
La storia del mondo è storia di emigrazione
di popoli - per necessità, per costrizione - da una regione a un'altra. Nel
nostro Mediterraneo, nella Grecia peninsulare, gli Achei lì emigrati nel XIV
secolo a.C. danno origine alla civiltà micenea che soppianta la civiltà
cretese, che a sua volta viene offuscata dalla migrazione dorica nel
Peloponneso. Con questi greci cominciò, nel XXII secolo a.C. la grande
espansione colonizzatrice nelle coste del Mediterraneo - in Cirenaica,
nell'Italia meridionale (Magna Grecia), in Sicilia, Francia, Spagna. La
colonizzazione greca in Sicilia, dove vi erano già i Siculi, i Sicani e gli
Elimi, avvenne con organizzate spedizioni di emigranti, di fratrie, comunità di
varie città - Megara, Corinto, Messane... - che sotto il comando di un ecista,
un capo, tentavano l'avventura in quel Nuovo Mondo che era per loro il
Mediterraneo occidentale. In Sicilia fondarono grandi città come Siracusa,
Gela, Selinunte, Agrigento, convissero con le popolazioni già esistenti,
assunsero spesso i loro miti e riti, stabilirono pacifici rapporti, per molto
tempo, con la fenicia Mozia e con l'elima Erice.
Ma non vogliamo qui certo fare
- non sapremmo farla - la storia dell'emigrazione nell'antichità. Vogliamo
soltanto dire che l'emigrazione è fra i segni più forti - oltre quelli delle
guerre, delle invasioni - della storia. Segno forte l'emigrazione, della storia
italiana moderna. «Dall'Unità d'Italia (1860) non meno di 26 milioni di
italiani hanno abbandonato definitivamente il nostro Paese. È un fenomeno che,
per vastità, costanza e caratteristiche, non trova riscontro nella storia
moderna di nessun altro popolo». Questo scrive Enriquez Spagnoletti, in un
numero speciale dedicato all'emigrazione, nella rivista Il Ponte, rivista
fondata da Piero Calamandrei. Sull'emigrazione nel Nuovo Mondo esiste,
sappiamo, una vasta letteratura storico-sociologica, documentaria, ma anche una
letteratura letteraria. Il racconto Dagli Appennini alle Ande, del libro Cuore
di Edmondo De Amicis, è il più famoso. E anche, dello stesso autore,
Sull'Oceano. Meno famoso è invece il poemetto Italy di Giovanni Pascoli, Sacro
all'Italia raminga ne è l'epigrafe. A Caprona, una sera di febbraio, gente
veniva, ed era già per l'erta, veniva su da Cincinnati, Ohio. Vi si narra, nel
poemetto, di una famigliola toscana, della Garfagnana, che ritorna dall'America
per la malattia della piccola Molly. Nella poesia compare - ed è la prima volta
nella letteratura italiana - il plurilinguismo: il garfagnino dei nomi, lo
slang della coppia e l'inglese della bambina. Non era allora solo nelle
Americhe l'emigrazione, essa avveniva anche, e soprattutto dal Meridione
d'Italia, dalla Sicilia, nel Magreb, in Tunisia particolarmente. Questa
emigrazione comincia nei primi anni dell'Ottocento, ed è di fuoriusciti
politici. Liberali, giacobini e carbonari, perseguitati dalla polizia
borbonica, si rifugiano in Algeria e in Tunisia. Scrive Pietro Colletta nella
sua Storia del reame di Napoli: «Erano quelli regni barbari i soli in questa
età civile che dessero cortese rifugio ai fuoriusciti». In Tunisia si fa esule
anche Garibaldi. La grossa ondata migratoria di bracciantato italiano in
Tunisia avvenne tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento per la crisi
economica che colpì le regioni meridionali. Si stabilirono, questi emigranti
sfuggiti alla miseria, alla Goletta, a Biserta, Susa, Monastir, Mahdia, nelle
campagne di Kelibia di Capo Bon, nelle regioni minerarie di Sfax e di Gafsa.
Nel 1911 le statistiche davano una presenza italiana di 90.000 unità. Alla
Goletta, a Tunisi, in varie altre città dell'interno, v'erano popolosi
quartieri chiamati «Piccola Sicilia» o «Piccola Calabria». Si aprirono allora
scuole, istituti religiosi, orfanotrofi, ospedali italiani. La preponderante
presenza italiana in Tunisia, sia a livello popolare che imprenditoriale, fece
sì che la Francia si attivasse con la sua sperimentata diplomazia e con la sua
solida imprenditoria per giungere nel 1881 al trattato del Bardo e qualche anno
dopo alla Convenzione della Marsa, che stabilivano il protettorato francese
sulla Tunisia. La Francia cominciò così la politica di espansione economica e
culturale in Tunisia, aprendo scuole gratuite, diffondendo la lingua francese,
concedendo, su richiesta, agli stranieri residenti, la cittadinanza francese.
Frequentando le scuole gratuite francesi, il figlio di poveri emigranti
siciliani Mario Scalesi divenne francofono e scrisse in francese Les poèmes
d'un maudit, fu così il primo poeta francofono del Magreb. Anche sotto il
Protettorato l'emigrazione di lavoratori italiani in Tunisia continuò sempre
più. Ci furono vari episodi di naufragi, di perdite di vite umane
nell'attraversamento del Canale di Sicilia su mezzi di fortuna (vediamo come la
storia dell'emigrazione, nelle sue dinamiche, negli effetti, si ripete). Nel
1914 giunge a Tunisi il socialista Andrea Costa, in quel momento vice
presidente della Camera dei deputati. Visita le regioni dove vivono le comunità
italiane. Così dice ai rappresentanti dei lavoratori: «Ho percorso la Tunisia
da un capo all'altro, sono stato fra i minatori del sud e fra gli sterratori
delle strade nascenti, e ne ho ricavato il convincimento che i nostri
governanti si disonorano nella propria viltà, abbandonandovi alla vostra
sorte».
La fine degli anni Sessanta del secolo scorso, nell'Italia
dell'industrializzazione, del cosiddetto miracolo economico, della crisi del
mondo agricolo e insieme della nuova emigrazione di braccianti dal Sud verso il
Nord industriale, del Paese e dell'Europa, quella fine degli anni Sessanta
segna la data fatidica dell'inversione di rotta della corrente migratoria nel
Canale di Sicilia. Segna l'inizio di una storia parallela, speculare a quella
nostra. Di siberie, di campi di lavoro, di mondi concentrazionari, di
oppressione di popoli a causa di regimi totalitari o coloniali sono stati i
tempi da poco trascorsi. Tempi vale a dire in cui l'umanità, per tre quarti, è
stata prigioniera, incatenata all'infelicità. E le siberie hanno fatto sì che
il restante quarto dell'umanità, al di qua di mura o fili spinati, vivesse
felicemente, nello scialo dell'opulenza e dei consumi si alienasse. Ma
dissoltesi idolatrie e utopie, crollati i colonialismi, abbattute le mura, recisi
i fili spinati, sono arrivati i tempi delle fughe, degli esodi, da paesi di
mala sorte e mala storia, verso vagheggiati approdi di salvezza, di speranza.
Ed è il presente - un presente cominciato già da parecchi anni - un atroce
tempo di espatri, di fughe drammatiche, di pressioni alle frontiere del dorato
nostro «primo» mondo, di movimento di masse di diseredati, di offesi, di
oltraggiati. Da ogni Est e da ogni Sud del mondo, da afriche dal cuore sempre
più di tenebra, da sudameriche di crudeltà pinochettiane si muovono oggi i
popoli dei battelli, dei gommoni, delle navi-carrette, dei containers, delle
autocisterne, carovane di scampati a guerre, pulizie etniche, genocidi, fame,
malattie. Fugge tutta questa umanità dolente ed è preda ancora dei criminali
del traffico, di vite umane, sparisce spesso nei fondali dei mari, nelle sabbie
infuocate dei deserti, come detriti di una immane risacca finisce sopra scogli,
spiagge desolate o anche fra i vacanzieri stesi al sole per abbronzarsi. Non
vogliamo andare lontano, non vogliamo dire del muro di acciaio eretto al
confine tra il Messico e gli Stati Uniti, ma dire di qua, del confine d'acqua
che separa l'Europa da ogni Sud del mondo, dire del Mediterraneo e della bella
Italia, del suo Adriatico e del suo Canale di Sicilia. Tante e tante volto le
carrette di mare provenienti dall'Albania, dalla Tunisia o dalla Libia,
carrette stracariche di disperati, si sono trasformate in bare di ferro nei
fondali del mare, bare di centinaia di uomini, di donne, di bambini, a cui,
come all'eliotiano Phlebas il Fenicio, «una corrente sottomarina / spolpò
l'ossa in dolci sussurri». E finiscono anche i corpi degli annegati nelle reti
dei pescatori siciliani... E si potrebbe continuare con le cronache di tragedie
quotidiane, di una tragedia epocale che riguarda i migranti, le non-persone che
cercano di entrare nella vecchia Italia, nella vecchia Europa della moneta
unica, delle banche e degli affari. Vecchia soprattutto l'Italia per una
popolazione di vecchi. «Ci troviamo oggi tra un mare di catarro e un mare di
sperma» ha detto icasticamente il poeta Andrea Zanzotto. E la frase-metafora
vuole dire di quanto ciechi noi siamo a voler continuare a sguazzare nel nostro
mare di catarro e a voler scansare quel mare di vitalità che è arricchimento:
fisiologico economico, culturale, umano... Scansare o eludere quell'incontro o
incrocio di etnie, di lingue, di religioni, di memorie, di culture, incrocio
che è stato da sempre il segno del cammino della civiltà. Respingiamo
l'emigrazione dal terzo o quarto mondo erigendo confini d'acciaio con leggi e
decreti, come la vergognosa legge italiana sull'emigrazione che porta il nome
dei deputati di estrema destra Bossi e Fini, insorgendo con nuovi e nefasti
nazionalismi, con stupidi e volgari localismi, con la xenofobia e il razzismo,
con la cieca criminalizzazione del diseredato, del diverso, del clandestino. A
partire dal 1968, sono tunisini, algerini, marocchini che approdano sulle coste
italiane. Approdano soprattutto in Sicilia, a Trapani, si stanziano a Mazara
del Vallo, il porto dove erano approdati i loro antenati musulmani per la
conquista della Sicilia. In una notte di giugno dell'827 d.C., una piccola
flotta di Musulmani (Arabi, Mesopotamici, Egiziani, Siriani, Libici, Magrebini,
Spagnoli), al comando del dotto giurista settantenne Asad Ibn al-Furàt, partita
dalla fortezza di Susa, attraversato il braccio di mare di poco più di cento
chilometri, sbarcava in un piccolo porto della Sicilia: Mazara. Da Mazara
quindi partiva la conquista di tutta l'isola, da occidente fino a oriente, fino
alla bizantina e inespugnabile Siracusa, dove si concludeva dopo ben
settantacinque anni. I Musulmani in Sicilia, dopo le depredazioni e le
espoliazioni dei Romani, dopo l'estremo abbandono dei Bizantini, l'accentramento
del potere nelle mani della Chiesa, dei monasteri, i Musulmani trovano una
terra povera, desertica, se pure ricca di risorse. Ma con i Musulmani comincia
per la Sicilia una sorta di rinascimento. Rifiorisce l'agricoltura, la pesca,
l'artigianato, il commercio, l'arte. Ma il miracolo più grande che si opera
durante la dominazione musulmana è lo spirito di tolleranza, la convivenza tra
popoli di cultura, razza, religione diverse. Questa tolleranza, questo
sincretismo culturale erediteranno poi i Normanni, sotto i quali si realizza
veramente la società ideale, quella società in cui ogni cultura, ogni etnia
vive nel rispetto di quella degli altri. Il grande storico dell'800 Michele
Amari ci ha lasciato La storia dei Musulmani di Sicilia , scritta, dice Vittorini,
«con la seduzione del cuore». Il ritorno infelice è il titolo del saggio del
sociologo Antonino Cusumano, in cui tratta dell'emigrazione magrebina in
Sicilia, a partire dal 1968, come sopra dicevamo.
Sono passati quarant'anni
dall'inizio di questo fenomeno migratorio. Da allora, nessuna previsione,
nessuna progettazione, nessun accordo fra governi, fino a giungere
all'emigrazione massiccia, inarrestabile di disperati che fuggono dalla fame e
dalle guerre, emigrazione che si è cercato di arginare con metodi duri,
drastici, violando anche quelli che sono i diritti fondamentali dell'uomo. Di
fronte a episodi di contenzione di questi disperati in gabbie infuocate, di
detenzione nei cosiddetti Centri di Permanenza Temporanea, che sono dei veri e
propri lager, di fronte a ribellioni, fughe, scontri con le forze dell'ordine,
scioperi della fame e gesti di autolesionismo, si rimane esterrefatti. Ci
tornano allora in mente le parole che Braudel riferiva a un'epoca passata: «In
tutto il Mediterraneo l'uomo è cacciato, rinchiuso, venduto, torturato e vi
conosce tutte le miserie, gli orrori e le santità degli universi
concentrazionari».
L’UNITA 18 settembre 2007
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