Un saggio di Paolo
Bonetti ricostruisce le vicende del liberalsocialismo da Gobetti a
Pannunzio, passando per il costituzionalismo di Bobbio. Un libro
interessante di cui proponiamo due recensioni.
Minoranze laiche
sconfitte con onore
Prevale il pessimismo nelle pagine finali della Breve storia del liberalismo di sinistra. Da Gobetti a Bobbio (Liberilibri, pagine 217, euro 16), in cui Paolo Bonetti ha riassunto con sapienza e passione le vicende dell’antifascismo laico che cercò di coniugare difesa dei diritti individuali e apertura alle istanze sociali.
Ne risulta un Pantheon di
padri nobili molto variegato, in cui l’autore colloca anche figure
tutto sommato più prossime al socialismo democratico (Carlo
Rosselli, Guido Calogero, lo stesso Norberto Bobbio) che al
liberalismo vero e proprio. Ma tutti, da Piero Gobetti a Mario
Pannunzio passando per Giovanni Amendola (che molto di sinistra in
realtà non era), finirono sconfitti, sia pure con onore, nel
tentativo coraggioso di tradurre le loro idee in azione politica.
Del resto ormai si
tratta di filoni culturali consegnati alla storia, oggi privi di
eredi credibili, per cui stupisce che il Partito d’Azione —
realtà effimera ed altamente eterogenea, sparita da quasi 70 anni —
continui ad attirarsi strali acuminati come quelli che Dino
Cofrancesco, esagerando un po’, gli rivolge nella postfazione, una
sorta di cortese controcanto critico, che conclude il saggio di
Bonetti.
Giancristiano
Desiderio
Ecco il peccato
originale della sinistra liberale
Sono famosi - giustamente
famosi - i giudizi che Benedetto Croce espresse sull'astrattezza e
inconcludenza del Partito d'Azione. Considerando la volontà degli
azionisti di conciliare l'inconciliabile, Croce definì il Pd'A un
ircocervo ossia un animale inesistente.
Un'altra volta
valutandone l'incapacità politica di agire disse: «Gli azionisti
non sanno cosa vogliono ma lo vogliono subito». Il filosofo fu molto
paziente con gli azionisti ma ci fu un momento in cui sbottò. Fu
nell'aprile del '44, quando si stava passando dal primo al secondo
governo Badoglio, da un esecutivo regio a uno politico: in gioco
c'era l'abdicazione del re e la «continuità dello Stato».
Tutto, secondo i buoni
auspici di Croce che da filosofo si fece politico, andava per il
verso giusto, quando il Pd'A con la sua «mistica della purezza»,
chiese a Croce di assumere direttamente la presidenza del Consiglio
al posto di Badoglio. A quel punto Croce, da buon filosofo, perse la
calma, e ad Adolfo Omodeo, Alberto Tarchiani e al suo stesso genero
Raimondo Craveri gliene cantò quattro e cosi annotò nei suoi
Taccuini: «Ho respinto l'offerta dicendo tutto quanto si poteva
dire, e credo che alla fine sono trasceso nelle mie parole, gridando
che preferivo macchiarmi d'impurità pur di mettere insieme un
ministero, anziché restare statua di purità accanto alle purissime
statue di marmo del Partito d'azione, perché quel che qui si
giocava, era la serietà dell'Italia».
Nei giudizi di Croce si
vede già tutto il destino di quel partito di intellettuali e
professori che nacque dall'unione del gruppo di Giustizia e Libertà
con i rappresentanti liberalsocialisti: niente fu più inadatto
all'azione come il Partito d'Azione. Ora Paolo Bonetti con il libro
Breve storia del liberalismo di sinistra. Da Gobetti a Bobbio , edito
da Liberilibri, racconta con maestria proprio quel destino che andò
incontro a una storia di fallimenti.
Bonetti, che ha una
concezione crociana del liberalismo e, direi, della stessa condizione
umana, non ricostruisce per filo e per segno la storia del Pd'A -
perché non è questo il suo scopo - ma dedica il lavoro alla
individuazione del pensiero e dell'azione di un liberalismo di
sinistra o di una sinistra liberale «che non può essere confusa con
quella marxista, comunista o socialista».
Si tratta di un universo
o, meglio, un arcipelago in cui Bonetti fa rientrare il socialismo
liberale di Carlo Rosselli e il liberalsocialismo di Guido Calogero e
Aldo Capitini, la democrazia repubblicana di Ugo La Malfa, il gruppo
del Mondo di Mario Pannunzio, il primo Partito radicale e «taluni
aspetti del radicalismo pannelliano».
Un'intera tradizione
liberale riformatrice che trova nel costituzionalismo e riformismo di
Norberto Bobbio la sua sintesi e, forse - se Bonetti mi fa passare il
giudizio - anche la sua fine. Non a caso il giudizio più implacabile
sull'azionismo è di Bobbio: «Gli intellettuali del Pd'A non avevano
alcuna conoscenza della società civile. Non capivano ciò che nasce
spontaneamente dall' homo oeconomicus.
Comunisti e socialisti,
in parte anche gli azionisti, credevano invece all'economia di piano,
mentre in Italia è avvenuto qualcosa di sorprendente che ancora
adesso abbiamo sotto gli occhi: si formò sin d'allora e si sviluppò
rapidamente in seguito un tessuto di piccole imprese che nascono per
puro interesse economico». In questa storia, però, il Pd'A, anche
se ebbe vita breve, riuscì a dettare le regole del gioco e alla
sinistra liberale diede il suo stesso timbro che è poi il suo vizio
d'origine: la pretesa di fondare teoreticamente la politica. È in
questo moralismo di fondo o in questa «mistica della purezza» che
la sinistra liberale corre sempre il rischio di trasformarsi in
sinistra illiberale e scivolare nel giacobinismo (come è avvenuto
puntualmente nel ventennio berlusconiano).
La ricostruzione segue
due linee: una è quella Gobetti-Rosselli-Calogero che mettendo
insieme liberalismo e socialismo - l'ircocervo - vorrebbe mantenere
il costituzionalismo liberale e rivoltare come un calzino economia e
società al limite del comunismo; l'altra è quella Amendola-La
Malfa- Il Mondo che conserva il capitalismo liberale e aspira a
riformarlo qua e là secondo casi, forze e possibilità.
Un po' scherzando e un
po' forzando potremmo dire che ci troviamo di fronte alla sinistra e
alla destra di Croce e Paolo Bonetti, da par suo, nell'ambito del
liberalismo di sinistra siede alla destra del padre. Il libro,
infatti, non è solo la ricognizione delle idee politiche
liberalsocialiste e liberaldemocratiche ma anche una lettura della
storia politica dell'Italia repubblicana in cui a più riprese
l'autore si chiede perché non si sia mai riusciti a dar corpo a quel
partito liberale dei ceti medi che già Giovanni Amendola aveva
indicato come obiettivo necessario da perseguire per rinnovare il
liberalismo italiano.
In particolare, Bonetti
si pone questo interrogativo nelle pagine più riuscite del libro che
sono dedicate alle battaglie del Mondo di Pannunzio che pur
esprimendo, al contrario dello spirito azionista, una fede tanto
antifascista quanto anticomunista, non ebbe di certo l'occasione di
creare una forza politica borghese come vagheggiata da Amendola e
dovette accontentarsi «con risultati sempre deludenti» del
centro-sinistra.
A conclusione del libro
di Paolo Bonetti c'è una sorpresa: la postfazione che Dino
Cofrancesco ha scritto - come dice lui stesso - pensando a Vincenzo
Cuoco. È un contraltare o una controstoria della Breve storia del
liberalismo di sinistra giacché Confrancesco individua nell'autore
del Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 «la vera
genesi del liberalismo napoletano» e l'antidoto del giacobinismo e
di ogni intellettualismo perché capovolge l'assunto azionista che
ragiona come quel calzolaio che avendo fatto al suo cliente delle
scarpe più corte del piede pretendeva accorciare il piede piuttosto
che fare delle buone scarpe. Visto il buon risultato del libro, diamo
all'editore un consiglio: far scrivere a Dino Cofrancesco una Breve
storia del liberalismo di destra che avrà una postfazione di Paolo
Bonetti scritta pensando a Benedetto Croce.
Il Giornale – 25 gennaio 2015
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