La pubblicazione dei
taccuini (i «Quaderni neri») del filosofo dimostrano che il suo
filonazismo non fu un semplice accodamento opportunistico al regime,
ma un'adesione sincera e totale motivata da un antisemitismo
radicale. T. W. Adorno aveva ragione!
La Shoah è
«l’autoannientamento degli ebrei». Questa tesi di Heidegger
affiora nel nuovo volume dei Quaderni neri, curato da Peter
Trawny, che sta per essere pubblicato in Germania dall’editore
Klostermann (Gesamtausgabe 97, Anmerkungen I-V). Si tratta
delle Note risalenti al periodo cruciale che va dal 1942 al
1948. Fa parte del volume, di 560 pagine, anche il quaderno del
1945/46, che sembrava fosse andato perduto e che è stato recuperato
la scorsa primavera.
Gli ultimi anni del
conflitto planetario, la sconfitta della Germania, la presenza
delle forze alleate sul suolo tedesco sono gli eventi che fanno da
sfondo a quella che, anche altrove, Heidegger chiama «storia
dell’Essere», il cammino della filosofia in grado di aprire un
varco per la salvezza dell’Occidente. Dopo il 1945 il cammino non
si interrompe, ma si ripiega su di sé, fra tornanti e vie traverse.
Heidegger non smette di cercare l’«altro inizio», l’alba
dell’Europa, sebbene orientarsi sia divenuto quasi impossibile.
Le macerie della Germania
attestano, senza equivoci, il fallimento della missione affidata al
popolo tedesco. Insieme a questo naufragio epocale Heidegger vive
anche il proprio tracollo accademico: l’ex rettore di Friburgo nel
1946 viene interdetto dall’insegnamento.
I Quaderni
Il volume 97 dei Quaderni
neri offre, dunque, una prospettiva inedita sul pensiero di
Heidegger. Tanto più che, come quelli già pubblicati, coniuga
riflessione filosofica e analisi puntuale degli avvenimenti storici.
Ma questo volume è destinato a lasciare il segno soprattutto perché cancella un luogo comune della filosofia del Novecento: il «silenzio di Heidegger» dopo Auschwitz. Se gli ebrei hanno un ruolo di primo piano nei precedenti Quaderni neri, che vanno dal 1931 al 1941, se la «questione ebraica» è strettamente connessa alla questione dell’essere — come ho cercato di mostrare nel mio libro recente — non può sorprendere che Heidegger parli della Shoah e la consideri sia sotto l’aspetto filosofico sia sotto quello politico.
Selbstvernichtung, autoannientamento, è la parola chiave: gli ebrei si sarebbero autoannientati. Nessuno potrebbe allora essere chiamato in causa, se non gli ebrei stessi. Già nei quaderni del 1940 e del 1941, quando viene avanzata l’esigenza di una «purificazione dell’Essere», fa la sua inquietante comparsa il termine «autoannientamento».
Rigoroso e coerente,
Heidegger non fa che trarre la conclusione da tutto quel che ha detto
in precedenza. Gli ebrei sono gli agenti della modernità; ne hanno
diffuso i mali. Hanno deturpato lo «spirito» dell’Occidente,
minandolo dall’interno. Complici della metafisica, hanno portato
ovunque l’accelerazione della tecnica. L’accusa non potrebbe
essere più grave.
Solo la Germania, grazie alla ferrea coesione del suo popolo, avrebbe potuto arginare gli effetti devastanti della tecnica. Ecco perché il conflitto planetario è stato anzitutto la guerra dei tedeschi contro gli ebrei. Se questi ultimi sono stati annientati nei lager, è per via di quel dispositivo, di quell’ingranaggio che, complottando per il dominio del mondo, hanno ovunque promosso e favorito. Il nesso fra tecnica e Shoah non deve sfuggire. Ed è proprio Heidegger ad avervi fatto allusione altrove. Che cos’è infatti Auschwitz se non l’industrializzazione della morte, la «fabbricazione dei cadaveri»?
In linea con il suo
antisemitismo metafisico, Heidegger vede dunque nello sterminio
un «autoannientamento». La Judenschaft, la «comunità degli
ebrei» — scrive nel 1942 — «è nell’epoca dell’Occidente
cristiano, cioè della metafisica, il principio di distruzione».
Poco più avanti aggiunge: «Solo quando quel che è essenzialmente
“ebraico”, in senso metafisico, lotta contro quel che è ebraico,
viene raggiunto il culmine dell’autoannientamento nella storia».
La Shoah avrebbe
allora un ruolo decisivo nella storia dell’Essere, perché
coinciderebbe con il «sommo compimento della tecnica» che, dopo
aver usurato ogni cosa, consuma se stessa. In tal senso lo sterminio
degli ebrei rappresenterebbe quel momento apocalittico in cui ciò
che distrugge finisce per autodistruggersi. Culmine
«dell’autoannientamento nella storia», la Shoah rende quindi
possibile la «purificazione dell’Essere».
Ma si raggiunge questo
culmine? Si autoannienta l’ebraismo mondiale ad Auschwitz? Al
termine non dovrebbero esserci vincitori e vinti — categorie ancora
metafisiche. Piuttosto l’Ebreo è la fine che deve semplicemente
finire; solo così può emergere l’«altro inizio» e intravedersi
il nuovo mattino europeo.
Quando Heidegger scrive, nel 1942, le officine hitleriane della morte funzionano a ritmo serrato. Eppure, dopo la guerra, il «culmine dell’autoannientamento» non sembra raggiunto. Gli agenti della macchinazione — malgrado i milioni di morti — potrebbero persino apparire vittoriosi. Allora costituirebbero un pericolo immane per i tedeschi, perché li trascinerebbero nel loro «ingranaggio di morte».
Dopo il 1945 Heidegger osserva: gli «elementi estranei» continuano a deturpare la «nostra defraudata essenza». E si interroga sui tedeschi, sulla «facilità con cui si lasciano sedurre dagli stranieri», sulla loro «incapacità politica», sulla «radicalità con cui compiono anche gli errori più eclatanti».
In fondo la posizione di
Heidegger non è dissimile da quella di Carl Schmitt e di molti
altri tedeschi che si sentono sconfitti, ma solo militarmente e solo
in forma temporanea. Gli ebrei, eliminati dal corpo della nazione,
vengono avvertiti come una presenza spettrale e ingombrante.
Nel volume 97 dei Quaderni neri compare, a questo proposito, una lunga annotazione di Heidegger che farà certo discutere. L’occasione è offerta dai volantini distribuiti alla popolazione tedesca dal comando alleato, nei quali, sotto le foto dei lager liberati, è scritto: «Queste azioni infami sono colpa vostra!».
Nel volume 97 dei Quaderni neri compare, a questo proposito, una lunga annotazione di Heidegger che farà certo discutere. L’occasione è offerta dai volantini distribuiti alla popolazione tedesca dal comando alleato, nei quali, sotto le foto dei lager liberati, è scritto: «Queste azioni infami sono colpa vostra!».
Heidegger replica: «Il mancato riconoscimento di questo destino (il destino del popolo tedesco), l’averci repressi nel nostro volere il mondo, non sarebbe forse, una “colpa”, e una “colpa collettiva” ancor più essenziale, la cui enormità non può essere misurata all’orrore delle “camere a gas”, una colpa più terribile di tutti i “crimini” ufficialmente “stigmatizzabili”, della quale nessuno si scuserà nel futuro?
Si intuisce già ora che
il popolo e la terra tedeschi non sono che un solo campo di
concentramento (ein einziges Kz) — quale il mondo non ha ancora
visto e che il mondo non vuole vedere — un non-volere ben più
volente e consenziente della nostra assenza di volontà verso
l’inselvatichirsi del nazionalsocialismo».
Gli alleati non hanno
compreso la missione dei tedeschi e li hanno fermati nel loro
progetto planetario. Questo crimine sarebbe ben più grave di tutti
gli altri crimini, questa colpa non avrebbe termini di paragone,
neppure con le «camere a gas» (espressione inserita tra
virgolette!). Per la storia dell’Essere il vero incommensurabile
misfatto è quello compiuto contro il popolo tedesco che avrebbe
dovuto salvare l’Occidente.
Ma Heidegger non crede che sia tutto finito — proprio perché il «culmine dell’autoannientamento» non è stato raggiunto. C’è ancora un futuro per la Germania, e per l’Europa guidata dal popolo tedesco. Si moltiplicano allora gli interrogativi. Heidegger pensava a un Quarto Reich? E perché, a metà degli anni Settanta, ha progettato la pubblicazione dei Quaderni neri? Che cosa si aspettava dall’Europa in cui noi oggi viviamo?
Certo sarebbe semplice — come sembra suggerire Emanuele Severino — lasciare da parte i Quaderni neri. Ma a vietarlo è lo stesso Heidegger. Qui non si tratta infatti di documenti storici (come nel caso aperto decenni fa da Victor Farías), bensì degli scritti stessi del filosofo, strettamente connessi con il resto della sua opera.
Si può capire allora
l’esigenza di rileggere ad esempio Essere e tempo —
come ha fatto al convegno di Parigi il giovane filosofo israeliano
Cédric Cohen-Skalli, paragonando Heidegger a Walter Benjamin. Il che
non vuol dire, come pretenderebbero alcuni, proscrivere o bandire
Heidegger, ma confrontarsi con la complessità della sua riflessione
in modo aperto e critico. Sarebbe questa forse, per la filosofia,
l’occasione per pensare nella sua profondità abissale la Shoah.
Il Corriere della sera –
8 febbraio 2015
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