09 febbraio 2015

PANAGULIS E PASOLINI

Un'emblematica foto del colpo di stato dei colonneli in Grecia, 1967


Alexandros Panagulis (1939 - 1976) e Pier Paolo Pasolini (1922 - 1975) furono legati da una profonda amicizia. Qui di seguito alcuni testi che lo documentano.

Pier Paolo Pasolini
Panagulis (*)


Questa volta no. Non deve succedere.
Siamo sopravvissuti ormai tante volte a cose simili.
Ma eravamo ragazzi: il diavolo ci tentava.
Essere dalla parte degli uccisi significava sperare.
Una fucilazione aumentava la vitalità: si cantava.
I martiri erano comodi: il PCI non era in crisi.
La garrota e il cappio erano buoni argomenti
dovuti alla stupidità del nemico.
Ma ora non siamo più ragazzi.
L'URSS è uno stato piccolo-borghese.
Non ci sono più speranze; non ci sono buone ragioni per sopravvivere.
L'avere ragione non rende più innocentemente ricattatori.
Non vogliamo fare alcun uso della morte di Panagulis.
Vogliamo che Panagulis non muoia, come il ragazzo Meneceo.
Gli Dei dicono che occorre un sacrificio umano
per la buona riuscita di qualcosa che riguarda l'intera città?
E il ragazzo indicato per il sacrificio, lo accetta?
Niente affatto, niente affatto. L'Inferno non è reale.
Tu, Meneceo, resterai qui con noi. La tua sete di morte
non deve essere accontentata. I tiranni non dovranno commettere
questo errore, e noi non dobbiamo sfruttarlo.
Dobbiamo piangere la tua morte prima che tu muoia.
Perché? Perché i duemila veri comunisti impiccati a Praga
non hanno più nulla da dire: e quindi nessuno ne dice nulla.
Perché Panagulis non vale sei milioni di Ebrei
del cui silenzio tutti approfittiamo per non parlarne.
E' andata a finire che il ragazzo Meneceo è morto;
Tebe ha vinto; e al potere è restato chi c'era.
Siamo impotenti, è vero. Ma le parole valgono pure qualcosa.
Se tu morirai, noi ammazzeremo. Sceglieremo una vittoria significativa:
che non vuole morire, conoscendo la dolcezza di prima della rivoluzione! (1)
Non ci limiteremo ai digiuni come Danilo Dolci.
Sono passati i tempi dei bivacchi coi morti o dei digiuni.
Se non nei fatti, almeno nelle intenzioni, è l'ora della violenza.
Della violenza, aggiungo, senza speranza, arida, impaziente.
Ci hanno deluso tutti: chi ha torto e chi ha ragione.
Tuttavia siamo con chi ha ragione: ma senza illuderci.
Amici che non sventolate bandiere, ma siete diventati seri
come gente che rimugina senza dolore l'idea del suicidio,
non ci sono argomenti: l'unico argomento
è negli occhi neri di Panagulis, che rinuncia alla vita.
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(*) La poesia fu pubblicata per la prima volta in "Il Tempo" del 30 novembre 1968, con notevoli varianti e intitolata Panagulis: questa volta no. Vi si leggono numerose varianti. Ora è in Trasumanar e organizzar (pubblicato da Garzanti nel 1971). 
(1) Al contrario di Meneceo che non aveva una lira, benché figlio dello zio del Re. Quando si è al verde e si possiede solo ciò che si ha addosso, allora si è eroi: Euripide lo sapeva, e sapeva anche che mai nessuno avrebbe riso delle sue tirate retoriche attribuite agli eroi- ragazzi che volevano obbedire all'oracolo e morire. Nelle Fenicie di Euripide, Meneceo è il giovane eroe, figlio di Creonte, che decide di sacrificarsi perché solo così, secondo una profezia di Tiresia, Tebe si salverà.

*   *   *

Alekos Panagulis dal carcere di Boyati, Grecia, ottobre 1970, Vi scrivo da un carcere in Grecia (Rizzoli,1974). Uno stralcio dall'Introduzione di Pasolini al libro di Panagulis.

"Scrivo con la speranza che il contenuto di questa mia lettera raggiunga ogni uomo che considera suo dovere indignarsi contro il crimine e contemporaneamente lottare per la sua abolizione. Scrivo affinché la solidarietà dell' opinione pubblica mondiale alla lotta del nostro popolo per la Libertà, la Democrazia, la Giustizia ed il Progresso, si faccia più concreta".
Pasolini scrisse una Introduzione al libro di Panagulis: qui di seguito, alcuni passaggi di tale Intoduzione.

«[...] Panagulis è stato trasformato in poeta attraverso la tortura [...] La grande poesia di Panagulis è quella che si è espressa attraverso la sua azione, o meglio, attraverso il suo corpo. Col suo corpo come strumento, egli ha scritto poemi non solo perfetti, ma altissimi. [...]
Si tratta nel caso di Panagulis di una "scrittura" o "parola" atroce. Le sevizie, gli anni di prigionia dentro un cubo di cemento, i polsi stretti giorno e notte dalle manette, eccetera; ma anche - per quella forza vitale o gioia che c'è sempre in ogni espressività altamente riuscita- anche l'irrisione dei carnefici, gli spavaldi tentativi di fuga, le trionfanti evasioni, le guasconate, l'irriducibile calcolo dell'estremismo, l'accettazione provocatoria (e sublime) della morte [...]. 
[...] Questo è il grande poema che ha "scritto" Panagulis col suo corpo. Che egli sia ora anche poeta che scrive con gli strumenti della letteratura retorica e testimoniale - è quasi in più. E' una sua nuova vittoria [...] Nella sua lotta per la libertà (cioè la democrazia formale) a essere fortemente e oggettivamente razionale è stato proprio il suo irrazionalismo. La sua ispirazione nel difendere una conditio sine qua non tanto ovvia quanto assoluta.
[...] Chi ha vissuto i giorni della Resistenza in Italia conosce questa forma di irriducibile certezza, che rende tutto prezioso quello che tocca. La fede, o idea fissa, fondata su una logica non dialettica, di Panagulis, è una di quelle "forme" di esistenza e di lotta che è la storia stessa a modellare in una perfezione elementare con le sue proprie mani».
 
 
 Omaggio di Ernesto Treccani a Panagulis
 
 
 
 

A sua volta Panagulis dedicò una poesia bellissima  a Pasolini, subito dopo il suo orrendo assassinio.


Alexandros Panagulis
A Pier Paolo Pasolini


Voce umana 
Vestita di bellezza 
Era quella che ci davi 
Umana e bella 
Anche se duramente accusava


Amore semplice umano 
La tua vita 
Amore e paura per l’uomo 
Per il progresso fede 
E lo sviluppo insopportabile per te


V’erano momenti in cui ascoltando 
Le parole scorrere dalle tua labbra 
Riudivo i versi di Rimbaud 
“Sono nato troppo presto o troppo tardi? 
Cosa sto a fare qui? 
Ah, tutti voi, 
pregate Iddio per l’infelice”


No Pier Paolo 
Non sei nato né presto né tardi 
Ma peccato che tu sia partito 
Mentre la verità si combatte 
Mentre tanti si scontrano 
Senza sapere perché 
Senza sapere dove vanno


Mentre le religioni cambiano faccia 
E le ideologie diventano religioni 
E molti vestono paraocchi di nuovo 
Tu non dovevi andar via.
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Da: AA.VV., Dedicato a Pier Paolo Pasolini, Gammalibri, Milano 1976, già nel n. 7 della rivista letteraria «Salvo imprevisti» (per gentile concessione di Gammalibri, Milano).

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