LA MODERNITA' PERVERSA DELLO STATO ISLAMICO
di Slavoj Zizek
LE RECENTI vicissitudini del fondamentalismo islamico confermano la vecchia intuizione di Walter Benjamin, e cioè che «ogni ascesa del fascismo testimonia di una rivoluzione fallita»: l’ascesa del fascismo rappresenta il fallimento della sinistra, ma al contempo testimonia di un potenziale rivoluzionario, un malcontento che la sinistra non è stata in grado di mobilitare. Non vale lo stesso per il cosiddetto «islamofascismo» di oggi? L’ascesa dell’islamismo radicale non è forse in perfetta correlazione con la scomparsa della sinistra laica nei paesi musulmani? Quando, nella primavera del 2009, i Taliban si impadronirono della valle dello Swat in Pakistan, il New York Times riferì che essi avevano architettato «una rivolta di classe sfruttando le profonde divisioni tra un gruppo ristretto di ricchi proprietari terrieri e i loro fittavoli senza terra».
Se «approfittandosi» della situazione dei contadini i Taliban hanno
fatto «salire l’allarme circa i rischi che corre un Paese come il
Pakistan, in gran parte ancora feudale», cosa impedisce ai
liberal-democratici in Pakistan e negli Stati Uniti di «approfittare »
della stessa situazione aiutando i fittavoli senza terra? La triste
implicazione di tutto questo è che le forze feudali in Pakistan sono le
«naturali alleate» della democrazia liberale…
Che dire allora dei valori fondamentali del liberalismo? Che ne è della
libertà, dell’uguaglianza, ecc.? Il paradosso è che il liberalismo
stesso non è abbastanza forte da preservarli dall’attacco del
fondamentalismo. Il fondamentalismo è una reazione — una reazione falsa e
mistificante, ovviamente — a un difetto reale del liberalismo, ed è per
questo che il primo è sempre, di nuovo, generato dal secondo.
Abbandonato al proprio destino, il liberalismo va incontro alla propria
distruzione — la sola cosa che può salvare i suoi valori fondamentali è
il rinnovamento della sinistra. Affinché questa tradizione fondamentale
possa sopravvivere, il liberalismo ha bisogno dell’aiuto fraterno della
sinistra radicale. Questo è il solo modo di sconfiggere il
fondamentalismo, di minare il terreno su cui esso poggia.
È un’osservazione di senso comune che lo Stato Islamico sia solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di risvegli anticoloniali (stiamo assistendo alla riconfigurazione dei confini tracciati arbitrariamente dalle grandi potenze dopo la Prima guerra mondiale), e allo stesso tempo un nuovo capitolo della resistenza ai tentativi del capitale globale di minare il potere degli Statinazione. A provocare tanto timore e sgomento è invece un altro tratto del regime dello Stato Islamico: le dichiarazioni delle autorità dell’Is indicano chiaramente che, a loro giudizio, l’obiettivo principale del potere statale non è il benessere della popolazione (sanità, lotta alla denutrizione ecc.) — ciò che realmente conta è la vita religiosa, che ogni aspetto della vita pubblica si conformi ai precetti religiosi. È per questo che l’Is rimane più o meno indifferente alle catastrofi umanitarie che avvengono all’interno dei suoi confini — il suo motto è «occupati della religione e il benessere provvederà a sé stesso». Qui appare lo scarto tra l’idea di potere praticato dall’Is e il concetto, occidentale e moderno, di «biopotere», di potere che regola la vita: il califfato dell’Is rifiuta totalmente la nozione di biopotere.
È un’osservazione di senso comune che lo Stato Islamico sia solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di risvegli anticoloniali (stiamo assistendo alla riconfigurazione dei confini tracciati arbitrariamente dalle grandi potenze dopo la Prima guerra mondiale), e allo stesso tempo un nuovo capitolo della resistenza ai tentativi del capitale globale di minare il potere degli Statinazione. A provocare tanto timore e sgomento è invece un altro tratto del regime dello Stato Islamico: le dichiarazioni delle autorità dell’Is indicano chiaramente che, a loro giudizio, l’obiettivo principale del potere statale non è il benessere della popolazione (sanità, lotta alla denutrizione ecc.) — ciò che realmente conta è la vita religiosa, che ogni aspetto della vita pubblica si conformi ai precetti religiosi. È per questo che l’Is rimane più o meno indifferente alle catastrofi umanitarie che avvengono all’interno dei suoi confini — il suo motto è «occupati della religione e il benessere provvederà a sé stesso». Qui appare lo scarto tra l’idea di potere praticato dall’Is e il concetto, occidentale e moderno, di «biopotere», di potere che regola la vita: il califfato dell’Is rifiuta totalmente la nozione di biopotere.
Ciò dimostra che l’Is è un fenomeno premoderno, un disperato tentativo di rimettere indietro le lancette del progresso storico? La resistenza al capitalismo globale non può ricevere impulso dal recupero di tradizioni premoderne, dalla difesa di forme di vita particolari — per il semplice motivo che un ritorno alle tradizioni premoderne è impossibile, considerato che la resistenza alla globalizzazione presuppone l’esistenza della globalizzazione stessa: chi si oppone alla globalizzazione in nome delle tradizioni che essa starebbe minacciando lo fa in una forma che è già moderna, parla già il linguaggio della modernità. Se il contenuto di queste restaurazioni è antico, la loro forma è ultramoderna.
Allora, anziché considerare l’Is come un caso estremo di resistenza alla
modernizzazione, dovremmo semmai concepirlo come un caso di
modernizzazione perversa. La nota fotografia che ritrae Al Baghdadi,
leader dell’Is, con uno scintillante orologio svizzero al polso, è in
questo senso emblematica: l’Is è ben organizzato in fatto di propaganda
sul web e di operazioni finanziarie, ecc., malgrado faccia ricorso a
queste pratiche ultramoderne per diffondere e imporre una visione
ideologicopolitica che (più che conservatrice) appare come un disperato
tentativo di stabilire chiare delimitazioni gerarchiche, in primo luogo
quelle che disciplinano la religione, l’istruzione e la sessualità
(regolamentazione strettamente asimmetrica della differenza sessuale,
interdizione dell’istruzione laica…).
Tuttavia, anche quest’immagine di organizzazione fondamentalista
severamente disciplinata e regolata non è priva di ambiguità:
l’oppressione religiosa non è forse (più che) integrata dalla condotta
delle unità militari locali dell’Is? Mentre l’ideologia ufficiale dello
Stato Islamico fustiga il permissivismo occidentale, nella loro prassi
quotidiana i reparti dell’Is compiono delle vere e proprie orge
carnevalesche (stupri di gruppo, torture e uccisioni, rapine ai danni
degli infedeli). La radicalità senza precedenti dell’Is riposa in questa
brutalità ostentata, mostrata apertamente.
Questo articolo di Slavoj Zizek è tratto dal suo libro L’Islam e la modernità. Riflessioni blasfeme Ponte alle Grazie pagg. 92 euro 9.
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