21 febbraio 2015

LEOPARDI E PASOLINI




In un saggio pubblicato quattro anni fa - Vedi:http://cesim-marineo.blogspot.it/2012/02/lingua-e-potere-in-p-p-pasolini.html - abbiamo ricordato una affermazione di Pasolini a cui pochi, finora, hanno prestato attenzione:  "l'unico antenato spirituale che conta è Marx e il suo dolce, irto, leopardiano figlio, Gramsci". Nello stesso saggio abbiamo indicato il poeta di Casarsa come un precursore della decrescita teorizzata da S. Latouche. 
Non potevamo ignorare, pertanto, l'articolo seguente apparso ieri su il manifesto:

Il poeta del disincanto

Saggi. «Pasolini. L'insensata modernità», a cura di Piero Bevilacqua, per Jaca Book. Le intuizioni folgoranti dell'intellettuale sulla dissoluzione di un'epoca



Cosa lega, tanto da azzar­darne un con­fronto, Gia­como Leo­pardi e Pier Paolo Paso­lini? Ce lo spiega Piero Bevi­lac­qua nel pic­colo libro a sua cura: Paso­lini. L’insensata moder­nità, edito nella col­lana «I pre­cur­sori della decre­scita», diretta da Serge Latou­che (Jaca Book, pp.63, 9 euro).
La spie­ga­zione (ma il testo costringe a riflet­tere su molte altre que­stioni aperte di que­sto secolo) sta nelle prime pagine del libro. Dice l’autore: «Credo che accada per la seconda volta, nella sto­ria della let­te­ra­tura ita­liana, per lo meno in età con­tem­po­ra­nea, che un poeta si eriga a nega­tore radi­cale dei con­vin­ci­menti domi­nanti della pro­pria epoca. Un eroe soli­ta­rio che fac­cia il con­tro­canto distrut­tivo dei miti e delle illu­sioni che ali­men­tano l’immaginario dei pro­pri con­tem­po­ra­nei. Uno dei pochi intel­let­tuali – come è stato detto – a non mani­fe­stare la ben­ché minima fede nel pro­gresso».
Non spet­te­rebbe a me, che non sono un cri­tico let­te­ra­rio, fare la recen­sione di que­sto libro se non fosse per­ché il «con­fronto» tra i due con­te­sta­tori radi­cali non ver­tesse, nel testo, sulla feroce cri­tica anti­pro­gres­si­sta che ani­mava i due poeti, tra loro pur assai diversi. Ci sono molti aspetti, descritti nel libro, che riman­dano alle que­stioni dei nostri giorni e che ancora appa­iono irrisolti.

Di Leo­pardi è noto come la fonte del suo atteg­gia­mento poe­tico risa­lisse alla delu­sione pro­dotta dal disin­canto del mondo: «L’arido vero», che avanza con la scienza e la tec­nica, distrugge l’universo dei miti, dis­solve in nulla «le favole anti­che», le illu­sioni dell’infanzia, la poe­tica delle cose vis­sute con la verità dei sentimenti.
Il poeta «friu­lano» (in realtà Paso­lini era nato a Bolo­gna), fonda anch’egli la sua cri­tica anti­pro­gres­si­sta sulla per­dita del sacro, della reli­gio­sità del mondo antico, della dimen­sione sim­bo­lica. Ma men­tre Leo­pardi con­si­dera gli uomini, nel con­te­sto più ampio della vita cosmica, un irri­le­vante acci­dente della natura, Paso­lini, dice Bevi­lac­qua, è «un uomo immerso nel suo tempo, è al cen­tro del ring con i suoi guan­toni», è un com­bat­tente, un comu­ni­sta. E qui si entra nel vivo delle que­stioni di oggi. Paso­lini non può con­di­vi­dere la visione deso­lata della vita umana di Leo­pardi, non ha la sua stessa solida pre­pa­ra­zione filo­so­fica per soste­nere il con­flitto e, soprat­tutto non può avere la mede­sima coe­renza teo­rica.
La con­trad­di­zione di Paso­lini si fa lace­rante: «Deve volere l’avanzata sociale dei lavo­ra­tori, ma è costretto a rile­vare che quel pro­cesso si incarna in feno­meni di deca­di­mento antro­po­lo­gico del mondo da lui amato, di svuo­ta­mento di mora­lità e signi­fi­cato della vita stessa». Così, il pes­si­mi­smo di Paso­lini si fa via via più intran­si­gente fino alla dichia­ra­zione, qual­che giorno prima della sua morte, che «in realtà il mondo non migliora mai. L’idea del miglio­ra­mento del mondo è una di quelle idee-alibi con cui si con­so­lano le coscienze infe­lici o le coscienze ottuse». Pur aggiun­gendo, subito dopo, che «il mondo può peg­gio­rare, que­sto sì. È per que­sto che biso­gna lot­tare con­ti­nua­mente Non è vero che non si torna indie­tro. Si torna anche indie­tro. Ci sono state mille restau­ra­zioni nel mondo». È una rifles­sione amara la sua, oggi da tenere bene a mente.

Siamo grati a Bevi­lac­qua di averci ricor­dato que­ste ultime rifles­sioni cui era appro­dato Paso­lini i giorni pre­ce­denti la sua morte. Quanto que­ste siano attuali, lo stesso autore ce lo descrive pren­dendo a modello quanto è avve­nuto (e tut­tora avviene) in Ita­lia – e, in varia misura, in tanti altri paesi d’Europa e del mondo – negli anni della Grande Reces­sione, tra il 2008 e il 2014 di svi­luppo neo­li­be­ri­sta: nuovo lavoro schia­vile, allun­ga­mento della gior­nata lavo­ra­tiva, sac­cheg­gio della natura, distru­zione di legami di soli­da­rietà e per­fino – ricorda l’autore – il furto del sonno che nella «società della fretta» è pas­sato pro­gres­si­va­mente dalle 10 ore alle 8 ore, fino alle sei ore e mezza. Dor­miamo di meno, ma in com­penso con­su­miamo di più.
Le parole chiave con le quali la moder­nità aveva annun­ciato il pro­prio avvento — popolo, sog­getto, Stato, benes­sere, pro­gresso — si sono let­te­ral­mente dis­solte. Per Leo­pardi, essa coin­ci­deva bef­far­da­mente con «le magni­fi­che sorti e pro­gres­sive» del «secol superbo e sciocco»; per Paso­lini, il suo avvento era costato l’estinzione delle luc­ciole che per lui costi­tui­vano la «inu­tile bel­lezza» senza fini e senza scopi e pro­prio per que­sto più inti­ma­mente sacra.
Non credo che quello di Bevi­lac­qua, nello scri­vere que­sto libro, sia stato un eser­ci­zio di ordine teo­rico e cul­tu­rale, tan­to­meno filo­lo­gico, quanto piut­to­sto un ritor­nare alle radici di un per­corso fatto che oggi ci appare quasi natu­rale e che, invece, avrebbe potuto pren­dere un’altra dire­zione, oltre­ché for­nirci indi­ret­ta­mente punti di rife­ri­mento di lavoro poli­tico.
Dovremmo ripar­tire dalla sacra­lità dei rap­porti umani e con la natura; quella sacra­lità che, diven­tati moderni, abbiamo get­tato nel reper­to­rio delle cose inu­tili, insieme alle luc­ciole sim­bolo di una «bel­lezza improduttiva».


da  http://ilmanifesto.info/il-poeta-del-disincanto/

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