Finchè vivrò non mi stancherò di leggere e rileggere i Quaderni e le lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Oltre a costituire una indiscutibile testimonianza della sua grandezza umana rimangono una miniera ancora, in gran parte, da scoprire.
Oggi vi propongo una lettera, inviata alla cognata, dal carcere fascista. (fv)
19 maggio 1930
Carissima Tatiana,
ho
ricevuto tue lettere e cartoline. Mi ha fatto nuovamente sorridere la
curiosa concezione che tu hai della mia situazione carceraria. Non so se
tu hai letto le opere di Hegel, che ha scritto «il delinquente aver diritto
alla sua pena». Su per giú tu immagini me come uno che insistentemente
rivendica il diritto di soffrire, di essere martirizzato, di non essere
defraudato neanche di un minuto secondo e di una sfumatura della sua
pena. Io sarei un nuovo Gandhy, che vuole testimoniare dinanzi ai superi
e agli inferi i tormenti del popolo indiano, un nuovo Geremia o Elia o
non so chi altro profeta d’Israello che andava in piazza a mangiare cose
immonde per offrirsi in olocausto al dio della vendetta, ecc. ecc. Non
so come ti sei fatta questa concezione, che è molto ingenua nei tuoi
rapporti personali e abbastanza ingiusta nei tuoi rapporti verso di me,
ingiusta e inconsiderata. Ti ho detto che io sono eminentemente pratico;
io penso che non capisci ciò che io voglia dire con questa espressione,
perché non fai nessuno sforzo per metterti nelle mie condizioni
(probabilmente quindi io ti dovrò apparire come un commediante o che so
io). La mia praticità consiste in questo: nel sapere che a battere la
testa contro il muro è la testa a rompersi e non il muro. Molto
elementare, come vedi, eppure molto difficile a capire per chi non ha
mai dovuto pensare di poter sbattere la testa contro il muro, ma ha
sentito dire che basta dire: apriti Sesamo! perché il muro si apra. Il
tuo atteggiamento è inconsapevolmente crudele; tu vedi uno legato
(veramente non lo vedi legato e non sai rappresentarti il legame) che
non vuol muoversi perché non può muoversi. Tu pensi che non si muove
perché non vuole (non vedi che, per aver voluto muoversi, i legami gli
hanno già rotto le carni) e allora giú a sollecitarlo con delle punte di
fuoco. Cosa ottieni? Lo fai contorcere e ai legami che già lo
dissanguano aggiungi le bruciature. – Questo quadro orripilante da
romanzo d’appendice sull’Inquisizione di Spagna penso bene che non ti
persuaderà e che tu continuerai; e siccome i bottoni di fuoco sono
anch’essi puramente metaforici, avverrà che io continuerò a seguire la
mia «pratica», di non sfondare le muraglie a colpi di testa (che mi
duole già abbastanza per sopportare simili sports) e di mettere da parte
quei problemi per risolvere i quali mancano gli elementi
indispensabili. Questa è la mia forza, la mia sola forza e proprio
questa tu mi vorresti togliere. D’altronde è una forza che non si può
dare ad altri, purtroppo; la si può perdere, non la si può regalare né
trasmettere. Tu, penso, non hai riflettuto abbastanza al caso mio e non
sai scomporlo nei suoi elementi. Io sono sottoposto a vari regimi
carcerari: c’è il regime carcerario costituito dalle quattro mura, dalla
grata, dalla bocca di lupo, ecc. ecc.; – era già stato da me
preventivato e come probabilità subordinata, perché la probabilità
primaria dal 1921 al novembre 1926, non era il carcere, ma il perdere la
vita. Quello che da me non era stato preventivato era l’altro carcere,
che si è aggiunto al primo ed è costituito dall’essere tagliato fuori
non solo dalla vita sociale, ma anche dalla vita famigliare ecc. ecc.
Potevo
preventivare i colpi degli avversari che combattevo, non potevo
preventivare che dei colpi mi sarebbero arrivati anche da altre parti,
da dove meno potevo sospettarli (colpi metaforici, s’intende, ma anche
il codice divide i reati in atti e omissioni; cioè anche le omissioni
sono colpe o colpi). Ecco tutto. Ma ci sei tu, dirai tu. È vero, tu sei
molto buona e ti voglio molto bene. Ma queste non sono cose in cui valga
la sostituzione di persona e poi, ancora, la cosa è molto, molto
complicata e difficile a spiegarsi completamente (anche per la quistione
delle muraglie non metaforiche). Io, a dire il vero, non sono molto
sentimentale e non sono le quistioni sentimentali che mi tormentano. Non
che sia insensibile (non voglio posare da cinico o da blasé); piuttosto
anche le quistioni sentimentali mi si presentano, le vivo, in
combinazione con altri elementi (ideologici, filosofici, politici, ecc.)
cosí che non saprei dire fin dove arriva il sentimento e dove
incomincia invece uno degli altri elementi, non saprei dire forse
neppure di quale di tutti questi elementi precisamente si tratti, tanto
essi sono unificati in un tutto inscindibile e di una vita unica. Forse
questa è una forza; forse è anche una debolezza, perché porta ad
analizzare gli altri allo stesso modo e quindi forse a trarre
conclusioni errate. Ma non continuo, perché sto scrivendo una
dissertazione e a quanto pare è meglio non scrivere nulla che scrivere
delle dissertazioni.
Carissima
Tatiana, non preoccuparti tanto delle magliette; quelle che ho mi
possono fare aspettare quelle che mi manderai. Non mandarmi il termos
oppure, mandamelo solo dopo aver avuto alla direzione la certezza che
mi sarà consegnato; per averlo in magazzino, è meglio non averlo. La
signora Pina abita proprio in via Montebello 7, non credo che debba
venire per ora, anzi lo escludo. Ti manderò fuori un altro po’ di libri e
due camicie sbrindellate. – Scrivi a mia madre salutandola da parte mia
e assicurandola che sto abbastanza bene.
Ti abbraccio teneramente.
Antonio
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