Francesco Erbani
Il suono del silenzio
che si ascolta nei libri
«Taci , a meno che il
tuo parlare sia meglio del silenzio»: è la traduzione non proprio
letterale di « Aut tace, aut loquere meliora silentio » ,
l'iscrizione che Salvator Rosa regge con una mano nell'autoritratto
che il pittore realizzò a metà del Seicento e che ora è alla
National Gallery di Londra. Il silenzio compete con la parola. Non è
solo il niente, non è il contrario del rumore né il grado zero
della comunicazione. È mancanza e rinuncia, ma anche il "non
detto" ha la propria capacità comunicativa.
E la letteratura ha
elaborato nei secoli una esauriente gamma di significati che al
silenzio si possono attribuire e che riscattano un'immagine
apparentemente priva di senso, bensì ricchissima di sfumature, di
implicazioni culturali ed emotive. Bice Mortara Garavelli, linguista,
studiosa di grammatica (l'ha insegnata per tanti anni all'Università
di Torino) ha composto una galleria di silenzi traendoli da un
repertorio che va dai tragici greci fino a Carlo Levi, da Dante,
Ariosto e Manzoni a Elsa Morante, a Primo Levi, a Lalla Romano.
Mortara Garavelli si è
occupata di retorica e si è spinta a ricostruire una storia della
punteggiatura, seguita da un prontuario dedicato al punto, alla
virgola, al punto e virgola e ai due punti: a dispetto di una
presunta aridità della questione, l'ultima edizione disponibile,
quella del 2012, avvisa che con essa si è giunti alla quindicesima
ristampa.
L'antologia sul silenzio
potrebbe allungarsi a volontà, ma intanto dà la misura della
frequenza del cimento di autori di diverso carattere con una funzione
del linguaggio e della comunicazione che non è solo assenza. O che
all'assenza fornisce un valore. Partendo dalle ultime prove ecco che
cosa dice Mario Brunello, grande violoncellista, in un libro che
intitola proprio al Silenzio (il Mulino), degli esperimenti di un
altro grande musicista, John Cage, il quale volle che una volta
terminata l'esecuzione della sua opera 4,33, il pianista restasse in
silenzio esattamente per quattro minuti e trentatré secondi:
«L'intento di Cage era ridefinire il concetto tra suono e silenzio e
ricondurre i due elementi a una parità di fronte all'arte musicale».
La parità, o quasi, fra
il suono e il silenzio nel linguaggio musicale ha ampia cittadinanza,
come ce l'ha in architettura quella fra il pieno e il vuoto. In
musica o in architettura il silenzio e il vuoto hanno un'evidenza. In
letteratura per definire il silenzio occorre ricorrere al suo
contrario, la parola. L'Innominato dei Promessi sposi vede il
silenzio accompagnarsi alle tenebre e in coppia, il silenzio e le
tenebre, aprono il varco a una morte spaventosa. Il silenzio e la
notte sono affiancati nella Gerusalemme liberata . Nel V dell'Inferno
Dante esprime il buio in quanto «d'ogne luce muto», perseguendo la
trasposizione da una sensazione della vista a una dell'udito già
presente nel I dell'Inferno: la selva oscura è un luogo «dove ‘l
sol tace».
Fu il teologo e vescovo
Gregorio Nazianzeno (III secolo) a elevare il silenzio al rango della
parola ingiungendo a chi parla di esser sicuro che quel che sta
dicendo è certamente meglio del silenzio stesso. Quasi che il
silenzio fosse la condizione naturale alla quale si può derogare
solo se ci sono cose molto importanti per interromperlo. Per Ariosto,
racconta Mortara Garavelli, il silenzio diventa persona.
Nel quattordicesimo canto
dell' Orlando furioso l'arcangelo Michele è inviato sulla terra alla
ricerca del silenzio, «quel nimico di parole». Il primo luogo verso
il quale si dirige è un convento «dove sono i parlari in modo
esclusi, / che ‘l Silenzio, ove cantano i salteri, /ove dormeno,
ove hanno la pietanza, / e finalmente è scritto in ogni stanza ».
Ma ormai nei conventi, per somma delusione dell'arcangelo, il
silenzio «non v'abita più, fuor che in iscritto». Dalla ricerca si
appura che dove c'è discordia non c'è silenzio, e che il silenzio,
un tempo fiancheggiatore di filosofi e di santi, ora «fece alle
sceleragini tragitto».
L'esperienza quotidiana,
alla quale può attingere la letteratura, mostra che in silenzio si
comunicano tante cose, spesso più efficacemente che parlando. Lo
attesta Giovanni Boccaccio nella novella del Decameron in cui nar- ra
l'amore straziato di Ellisabetta, alla quale i fratelli uccidono
l'amante. È stato Cesare Segre, rileva Mortara Garavelli, a mettere
in evidenza come i prolungati silenzi della donna, cadenzati dal
pianto, esprimano dolore con «repressa eloquenza». Di contro, i
silenzi dei fratelli sono opprimenti, non vogliono convincere, ma
reprimere.
Un balzo di secoli e
d'atmosfera porta Mortara Garavelli all' Esame di coscienza di un
letterato di Renato Serra, nelle cui pagine il silenzio, insieme alla
ristrettezza di orizzonti, pare dominare l'intera generazione che va
in guerra (in quella stessa guerra dove Renato Serra trova la morte
nel 1915). Da Serra al mondo contadino di Carlo Levi, il quale
racconta le «terre zitte e solennemente silenziose» di Lucania. O,
ancora, alla Napoli di Anna Maria Ortese, dove «il rumore fitto di
chiacchierii, di richiami, di risate, o solo di suoni meccanici» non
riesce a coprire il fatto che «latente e orribile vi si avvertiva il
silenzio».
La galleria di Silenzi
d'autore è ancora molto estesa. Ma è sull'indicibile per
definizione che può chiudersi questa breve rassegna. Ad Auschwitz,
scrive Primo Levi in Se questo è un uomo , «per la prima volta ci
siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere
questa offesa, la demolizione di un uomo».
La Repubblica – 7
febbraio 2015
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