18 febbraio 2015

PROMOSSI E BOCCIATI IN CASA EINAUDI



 Raccolti in volume i pareri di lettura dei consulenti della Einaudi fra il 1941 e il 1991.

Simonetta Fiori

Visto si stampi (o si cestini). Promossi e bocciati in casa Einaudi


Un cantiere aperto, forse tra i maggiori nella storia culturale del Novecento. Riusciamo a entrarvi grazie a cento giudici molto particolari, ossia i consulenti della casa editrice Einaudi che tra il 1941 e il 1991 hanno promosso o bocciato le letture degli italiani colti. Chi sono questi forgiatori di immaginari e firmamenti intellettuali? Per la letteratura, Calvino e Fruttero, Natalia Ginzburg e Lucentini, Davico Bonino e Manganelli. Per la storia, Venturi e Vivanti, Romano e Carlo Ginzburg. Per gli studi psicologici e l’etnologia, Musatti e De Martino. E ancora, Argan e Contini, Caffè e Ripellino, Jesi e Segre. E il mitico Bobi Bazlen, principe dei suggeritori editoriali. L’elenco continua, ma è meglio fermarsi qui.

Le loro voci stridule, gravi o divertite risuonano in Centolettori, la raccolta dei pareri di lettura che la casa editrice manda in libreria per la cura di Tommaso Munari. «Giudizi in presa diretta », li definisce Ernesto Franco nell’introduzione, commenti a caldo insofferenti alla prudente cerimonia, sfoghi e divertissement che animano il gran teatro della lettura. C’è chi stronca con veemenza e chi affida il killeraggio a una filastrocca o a un testo drammaturgico.



Come Italo Calvino che fa fuori il nuovo romanzetto di James Purdy in rima baciata: «Poco perdi se ritardi / e ti perdi i Purdy tardi». O Lucentini che redige in francese un dialogo tra il pensoso Custance e un annoiatissimo lettore. Al Calvino fustigatore non manca mai il buon umore e dopo aver infilzato il pornografo Pierre Klossowsky confessa di essersi divertito parecchio: «Porcherie con molto sense of humour».

Non mancano le cantonate. Fragorose. Delio Cantimori eccelle nel genere. La prima volta fu con Mediterraneo di Braudel, liquidato come il «Via col vento della storiografia». Poi è la volta di Adorno e del suo Minima Moralia , «opera faisandée» rivolta a «liceali impazienti». Non è da meno Sergio Solmi, che regala al Borges di Finzioni l’epiteto di «grande dilettante» («ma non in senso spregiativo»): da pubblicare certo, ma niente al confronto di un Poe o di un Kafka. Ma la palma forse spetta a Bobbi Bazlen che sull’ Uomo senza qualità verga la sua sentenza di morte in quattro punti. «Troppo lungo». «Troppo frammentario », «Troppo lento (o noioso, o difficile, o come vuoi chiamarlo)». «E troppo austriaco».

Talvolta botte da orbi. Tra Bobbio, Balbo e Cantimori per la filosofia. Ma il tono di Bobbio può farsi supplice quando è costretto a digerire Operai e capitale di Tronti: detesta «quel genere di letteratura» e non esita a dirsi «imbarazzato» e «prevenuto ». L’agonia di Natale di Franco Fortini mette zizzania tra Pavese e la Ginzburg: «antipatico ma notevole», secondo lo scrittore torinese, «lumacoso» e «senza sugo» per Natalia, che se s’annoia lo dichiara senza giri di parole.

Come Cesare Cases che rovescia il monumento di Brecht da «canzonettista» e sospetta di «aridità» un caposaldo quale Massa e potere. No, nessuno dei cento lettori è sospettabile di timidezza né di timore reverenziale. Così il solito Bazlen mette in guardia dalle «banalità adamantine» di Walter Benjamin (sta parlando dell’ Angelus Novus).

E a Manganelli bastano un paio di metafore per seppellire il futuro Nobel Lessing: «La sua pagina sa di virtuosa varichina, i suoi periodi vanno in giro con le calze a penzoloni». Le cose si complicano quando il parere è richiesto su amici e colleghi.

Il più attento è Elio Vittorini alle prese con Bianco veliero di Calvino: gli sembra «macchiettistico e infantile», insomma una «bambocciata». Pubblicarlo? Massì, è uno scrittore noto, la responsabilità ricade su di lui. «Tuttavia Calvino è anche un amico. Non dobbiamo dirgli che fa male a sé stesso pubblicando un libro simile?». Il più severo è Primo Levi con il Gadda dei saggi scientifici: «piattamente didattici, noiosi e sanno di farina d’altrui sacco». Usciranno altrove.

Oltre che storia culturale, Centolettori è anche una lezione di stile: talvolta solo in trenta righe riassunto e critica, valutazione editoriale e soprattutto senso culturale. Per chi solitamente scrive di libri, un invito all’umiltà: i recensori ne sanno molto di più degli autori recensiti, mai un gorgheggio o un aggettivo sparato a vuoto. Comunque un atto di memoria: così era l’editoria italiana, così la cultura aperta al mondo senza genuflessioni. Da acquistare subito, Centolettori (che richiama la collana Centopagine di Calvino). Per tirarsi su nei momenti bui.

La Repubblica – 31 gennaio 2015

Centolettori
A cura di Tommaso Munari
Einaudi, 2014
euro 20

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