07 febbraio 2015

SANGUE E SPERMA



Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.” Genesi 1,26-28. L'incontro generante del seme maschile con il liquido femminile assumerà fin dai primordi dell'umanità valenze mitiche, filosofiche e religiose, fino a divenire il cuore simbolico delle pratiche alchemiche. 

Raffaele K. Salinari

Masculin/Feminin
Il Medi­ter­ra­neo, «intriso di san­gue e di sperma», come lo defi­ni­sce nei suoi Dia­lo­ghi con Leucò Cesare Pavese, rimanda imme­dia­ta­mente all’idea gene­ra­tiva di entrambi que­sti liquidi, uno di ori­gine fem­mi­nile, il san­gue mestruale, l’altro maschile: lo sperma.
Ascen­dente mitico e cosmo­lo­gico di que­sta rela­zione è cer­ta­mente la nascita di Venere, che viene creata dallo sperma di Urano evi­rato da Giove. Il suo stesso nome, Afro­dite, deriva infatti da afros che signi­fica sia spuma del mare che liquido semi­nale; Afro­dite è, per que­sto, ana­dio­me­non, rina­sce cioè con­ti­nua­mente dalle bian­che spume del mare; Esiodo nella sua Teo­go­nia (vv. 188–90) dice: «Attorno alla bianca schiuma dell’immortale mem­bro tra­spor­tato verso il largo, per tanto tempo (pou­lùn chró­non), una fan­ciulla crebbe».
Sperma e anima
E dun­que la rela­zione tra il liquido semi­nale e la sua fun­zione ripro­dut­tiva è eve­nienza arcaica, pre­lo­gica, favo­losa, imma­gine fon­dante di una evi­denza scien­ti­fica che si affer­merà solo dopo due mil­lenni con lo stu­dio dell’embriologia moderna pas­sando attra­verso i pre­giu­dizi reli­giosi del cat­to­li­ce­simo e le sva­riate fun­zioni che a que­sto «san­gue puris­simo», come lo defi­ni­sce Dante, furono attri­buite nel corso dei secoli.
Per ren­dere l’idea della disputa dot­tri­nale attorno alla fun­zione dello sperma nell’atto della ripro­du­zione basti dire che, in pieno XVIII secolo, cento anni dopo Gali­leo, le lenti dei primi micro­scopi che già inda­ga­vano gli sper­ma­to­zoi — erano infatti stati sco­perti nel 1677 dall’olandese Anto­nie Van Leeu­we­n­hoek — si discu­teva ancora se l’anima di ogni nuovo essere umano fosse già stata creata, se esi­stesse cioè dall’inizio dei tempi per poter poi scen­dere all’interno di ogni corpo al momento stesso del con­ce­pi­mento, o fosse di volta in volta ema­nata da Dio e solo dopo infusa in ogni feto: «Prima si costrui­sce la casa, poi ci si abita», dice Sant’Agostino (354–430); in que­sto caso aprendo una ulte­riore que­stione di non poco momento ed ancora attua­lis­sima: a che punto dello svi­luppo embrio­nale que­sto avviene?
Ancor prima, gli scien­ziati del Siglo de Oro, allora stret­ta­mente sot­to­po­sti ai dik­tat dell’Inquisizione, si divi­de­vano tra il Santo di Ippona che pur con­vinto della seconda ipo­tesi ammet­teva can­di­da­mente: «Ignoro quando inci­piat homo in utero vivere», e l’idea crea­zio­ni­sta di Ori­gene di Ales­san­dria (185–254), ama­tis­simo e cita­tis­simo da Bor­ges per il prin­ci­pio della mol­ti­tu­dine dei mondi, che soste­neva invece come Dio avesse creato tutto l’universo e tutti gli uni­versi pos­si­bili dal e per l’eternità e dun­que anche le mol­te­plici anime che poi avreb­bero abbrac­ciato i loro corpi futuri.
L’idea del grande diret­tore del Dida­ska­leion ales­san­drino di una divi­nità che, ora­mai sepa­rata dalla sua Crea­zione, lasciava ai viventi il libero arbi­trio, si scon­trava così con quella ago­sti­niana soste­ni­trice della posi­zione che Dio con­ti­nuasse a creare il mondo ogni momento, inter­ve­nendo in ogni sin­golo istante nelle cose del Creato per insuf­flare una nuova anima nei corpi, ma solo al momento da Lui rite­nuto oppor­tuno: al qua­ran­te­simo giorno per i maschi ed al novan­te­simo per le fem­mine? Si chie­dono i medici dell’epoca. Il mistero della vita doveva comun­que per­ma­nere poi­ché «Ut non inve­niat homo opus quod ope­ra­tus est deus» dice ancora il Dot­tore della Chiesa.
Quest’ultima ipo­tesi aveva delle con­se­guenze capi­tali, ad esem­pio, sul trat­ta­mento oste­trico, dato che solo nel momento in cui l’anima entrava nel corpo esso veniva con­si­de­rato com­pleto e dun­que degno di pro­te­zione e di cura. La disputa inve­stiva così il ruolo del liquido semi­nale per un suo sup­po­sto ruolo di «potenza in atto» poi­ché poteva forse rac­chiu­dere in sé tutto l’insieme della nuova crea­tura, sia il suo corpo che la sua anima. Iro­nia del destino, Ori­gene, si dice per poter inse­gnare anche ad allieve donne senza destare dice­rie, o per altri motivi a noi sco­no­sciuti, pare si evi­rasse, esclu­den­dosi in que­sto modo da quella crea­zione di cui tanto aveva discet­tato nel suo De Prin­ci­piis.
Le ori­gini: Ari­sto­tele e Galeno
Noi risa­li­remo allora il filo del tempo sino all’antichità pre e pro­to­cri­stiana, per con­fron­tarci in pri­mis con colui il quale ha trat­tato com­piu­ta­mente dello sperma sia dal punto di vista filo­so­fico che empi­rico: l’immancabile Ari­sto­tele. A que­sto spe­cia­lis­simo «distil­lato del san­gue» lo Sta­gi­rita rivolse il suo acuto spi­rito di osser­va­zione. Oltre ad indi­vi­duare la lun­ghezza otti­male del pene in ere­zione, dai dieci ai venti cen­ti­me­tri durante l’eiaculazione per non raf­fred­dare troppo lo sperma o, al con­tra­rio, sur­ri­scal­darlo, ren­den­dolo così in entrambi i casi inef­fi­ciente, e a decre­tare il numero mas­simo delle sue emis­sioni, sette, per le sette cavità ute­rine atte a rice­vere il feto, Ari­sto­tele aveva anche ela­bo­rato una serie di osser­va­zioni sulla sua fun­zione riproduttiva.
L’evidenza empi­rica che un nuovo essere traesse ori­gine da un altro della stessa spe­cie rispon­deva ad un prin­ci­pio gene­rale della sua Meta­fi­sica per cui, nel suo De gene­ra­tione et cor­rup­tione, sostiene che tutte le cose ten­dono alla loro con­ser­va­zione: «Poi­ché in tutte le cose la natura desi­dera sem­pre il meglio, e l’essere è meglio del non essere… e poi­ché è impos­si­bile che que­sto possa veri­fi­carsi in ogni cosa, per il fatto di tro­varsi troppo lon­tano dal suo prin­ci­pio, in altro modo Dio ha recato a com­pi­mento que­sto desi­de­rio, dispo­nendo che la gene­ra­zione sia continua».
A par­tire da que­sto postu­lato Ari­sto­tele arriva nel De anima a soste­nere: «La cosa più natu­rale, negli essere per­fetti e non muti­lati… è di fare un’altra cosa simile a se stessi… per poter par­te­ci­pare quanto pos­sono di ciò che è immor­tale e divino». L’affermazione ari­sto­te­lica che un prin­ci­pio divino è rac­chiuso nello sperma come «seme umano» è alla base di quella con­ce­zione fina­li­stica del mondo, assunta anche dagli Stoici, che domina la fisica e la medi­cina anti­che in con­trap­po­si­zione al mec­ca­ni­ci­smo democriteo.
A que­sto punto dob­biamo dare un occhio all’anatomia antica degli appa­rati ripro­dut­tivi per dire che, secondo Ari­sto­tele, i testi­coli non erano il luogo depu­tato alla pro­du­zione dello sperma essedo, secondo lui, solo dei pesi che ser­vi­vano a man­te­nere in ten­sione i con­dotti semi­nali, «come quelli dei telai fanno con la tela».
Chec­ché ne pen­sasse lo Sta­gi­rita, Galeno (129–199) era invece con­vinto che i testi­coli fos­sero gli organi di pro­du­zione del liquido semi­nale. Il medico di Per­gamo, nelle sue osser­va­zioni, aggiunge nel De semine il par­ti­co­lare di un liquido «inter­me­dio tra lo sperma e l’acqua del sudore, che il maschio avverte talora distil­lare al con­tatto della fem­mina, e la fem­mina al con­tatto del maschio». Il per­ga­mese, ripreso quasi un mil­len­nio dopo da Avi­cenna, si rife­ri­sce al liquido pro­sta­tico nell’uomo ed a quello pro­dotto dalle ghian­dole del Bar­to­lino nella donna.
Egli ci informa che que­sto liquido maschile è pro­dotto da un organo che, essedo posto più innanzi degli altri venne chia­mata da Ero­filo, pro­state. Per Galeno la fun­zione del liquido pro­sta­tico è tri­plice: oltre che ad ecci­tare il coito, suscita il pia­cere e lubri­fica il canale uri­na­rio, attra­verso il quale avviene così una eia­cu­la­zione più efficiente.
Que­sta neces­sità di un fiotto ben diretto e sotto giu­sta pres­sione, dice Galeno, era dovuta all’idea che la matrice durante il coito si aprisse per rice­vere lo sperma e poi si chiu­desse per non lasciarlo uscire: «Al momento del coito la matrice si spinge verso l’orifizio della vulva, quasi si fac­cia innanzi mossa dal desi­de­rio di attrarre a sé lo sperma… il collo della matrice, infatti, è di carne musco­losa, quasi fosse car­ti­la­gi­neo, e vi sono rughe l’una sopra l’altra… in esso vi è un con­dotto oppo­sto all’orifizio esterno della vulva: per mezzo di quello deglu­ti­sce lo sperma».
Da parte di ricer­ca­tori che, sprov­vi­sti di ogni mezzo stru­men­tale, scor­ge­vano solo ciò che la dis­se­zione met­teva loro sotto gli occhi, non si pos­sono pre­ten­dere ipo­tesi fisio­lo­gi­che più defi­nite; se poi le para­go­niamo a quelle di deri­va­zione stret­ta­mente ari­sto­te­lica, la scuola di Galeno segna un indub­bio passo avanti. Vedremo in seguito come, per que­sto medico dell’antichità, esi­stesse anche uno «sperma mulie­bre», con fun­zioni impor­tanti nella riproduzione.
Per Galeno infine, come per Abu Bakr Moham­mad Ibn Zaka­riya al-Razi (865–930), il liquido semi­nale aveva anche un ruolo nell’erezione, sti­mo­lata, oltre che dalle «ven­to­sità forti, recate nei corpi caver­nosi dallo spi­rito desi­de­ra­tivo gros­so­lano», dalla «mor­da­cità» dello sperma sui canali seminali.
Seme virile, seme muliebre
Ora­mai radi­cata la teo­ria di Galeno che i testi­coli aves­sero una fun­zione fon­da­men­tale nella pre­pa­ra­zione del seme virile, dob­biamo ora cer­care di capire di cosa fosse com­po­sto per gli anti­chi que­sto liquido, non avendo essi nes­suna idea né dello sper­ma­to­zoo, né della cito­lo­gia degli orga­ni­smi viventi. Tor­niamo per un momento ad Ari­sto­tele per il quale lo sperma è «un escre­mento utile dell’ultimo ali­mento». In que­sto modo lo Sta­gi­rita ricon­du­ceva il ruolo del liquido semi­nale a quello della nutri­zione poi­ché, ancor prima di chie­dersi in che modo un essere vivente si forma, si era con­cen­trato sul suo accrescimento.
E allora, per quale pro­cesso avviene la nutri­zione e l’accrescimento della nuova crea­tura umana? I fisio­logi anti­chi, pro­ce­dendo anche su que­sto argo­mento dalle sue idee, distin­gue­vano tre o quat­tro «dige­stioni» attra­verso le quali il cibo inge­rito deve pas­sare, prima per essere assi­mi­lato, poi per tra­sfor­marsi in sperma.
La prima di que­ste avviene nella bocca, prima dige­stio fit in ore, con l’aiuto della sali­va­zione, e ter­mina nell’intestino con la for­ma­zione della «massa tisa­na­ria» o chilo. A que­sta segue la seconda, che avviene nel fegato, in cui il chilo si tra­muta in san­gue. Que­sto non è ancora un liquido per­fetto, ma «pieno di impu­rità»: esso ha dun­que biso­gno di una terza dige­stione. Que­sta avviene attra­verso il potere fil­trante dei reni che assor­bono l’«acquosità» super­flua facendo sì che esso final­mente si rac­colga nel «talamo del cuore» come dice Ari­sto­tele. Da qui, o dal fegato secondo Galeno, par­tono le «arte­rie quiete» che hanno il com­pito di vei­co­lare il nutri­mento, dive­nuto nel frat­tempo «san­gue grosso», per tutto il corpo.
Ma, per essere assi­mi­lato, que­sto «san­gue grosso» ha biso­gno di una ulte­riore dige­stione che per Galeno ed Avi­cenna si com­pie nelle vene, dove esso depone le ultime impu­rità. Puri­fi­cato così di tutte le «super­fluità» e fat­tosi «sot­tile», que­sto san­gue comin­cia a «distil­lare dalle vene nelle mem­bra» sin­ché si coa­gula e si «fissa» in ognuna di esse dando nutri­mento al corpo.
Ma non tutto il «san­gue sot­tile» si fissa negli organi; quello che rimane viene sot­to­po­sto ad una quinta dige­stione, quinta come la quint’essenza, dive­nendo pro­prio nei testi­coli e nei vasi sper­ma­tici il seme atto ad ali­men­tare la gene­ra­zione; «quasi ali­mento che di mensa lieve», dice Dante che, nel canto XXV del Pur­ga­to­rio (vv. 37–39), lo defi­ni­sce ancora «san­gue per­fetto», ora­mai tra­sfor­man­dosi da rosso a bianco ad opera dello spi­rito (pneuma).
Qui la sim­bo­lica erme­tica è evi­dente, e rien­tra in quel com­plesso sistema di ana­lo­gie e rimandi che il mondo medioe­vale ha svi­lup­pato al mas­simo grado par­tendo dal neo­pla­to­ni­smo e dall’idea dello spi­rito ari­sto­te­lico come ele­mento di unione tra forma e mate­ria. La Grande Opera parte dal Nero (Nigredo), colore della Prima Mate­ria in putre­fa­zione e dun­que dal «san­gue grosso», per poi arri­vare alla fase Rossa (Rubedo), quella del «san­gue sot­tile» ed infine all’Opera al Bianco (Albedo) che cor­ri­sponde alla tra­smu­ta­zione del san­gue in sperma.
Anche lo «sperma mulie­bre» verrà sot­to­po­sto alle stesse dige­stioni prima di poter eser­ci­tare il suo ruolo ripro­dut­tivo. Il corpo umano è così una for­nace alche­mica, un ata­nor, e lo sperma, sia virile che mulie­bre, la sua Pie­tra Filosofale.
E dun­que, per com­pren­dere appieno que­sta fase fon­da­men­tale della tra­smu­ta­zione del san­gue in sperma ad opera dello spi­rito, dob­biamo accen­nare alle con­ce­zioni filo­so­fi­che dei pre­so­cra­tici come Empe­do­cle, Leu­cippo e Demo­crito che, con impo­sta­zioni diverse, ave­vano una visione mec­ca­ni­ci­sta dell’accrescimento cor­po­reo.
Empe­do­cle, in par­ti­co­lare, soste­neva che gli ele­menti con­trari si attrag­gono e da que­sto sca­tu­ri­sce l’accrescimento. Egli era con­vinto che nulla nascesse o morisse ma che gli ele­menti prin­ci­pali, i quat­tro rizo­mata o radici, si ricom­bi­nas­sero peren­ne­mente; non nati (ἀγένητα) ed eter­na­mente uguali (ἠνεκὲς αἰὲν ὁμοῖα), essi diven­gono (γίγνεται) ogni cosa: fuoco (πῦρ), aria (αἰθήρ), terra (γαῖα), acqua (ὕδωρ). Da ciò nasce­vano e mori­vano i corpi.
Pur avendo una visione mistica molto spic­cata, il filo­sofo di Agri­gento mostrava così un certa con­ce­zione fisica della gene­ra­zione, che non chia­mava in causa prin­cipi supe­riori ma solo il gioco tra i quat­tro ele­menti e le due forze che li ani­ma­vano: l’Odio e l’Amore: «Ma un’altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nes­suna delle cose mor­tali, né fine alcuna di morte fune­sta, ma solo c’è mesco­lanza e sepa­ra­zione di cose mesco­late, ma il nome di nascita, per que­ste cose, è usato dagli uomini».
Con­tro que­sta con­ce­zione Ari­sto­tele sostiene invece che gli ele­menti con­trari non si uni­scono ma si divi­dono e che, dun­que, affin­ché un corpo possa nascere e cre­scere, debba agire lo «spi­rito» (pneuma) come ponte tra mate­ria e forma. Qui entra in gioco la con­ce­zione fina­li­stica del mondo, cioè ordi­nato da un Prin­ci­pio tra­scen­dente o imma­nente alla natura, a seconda delle con­ce­zioni filo­so­fi­che, ma pur sem­pre supe­riore.
Per gli Stoici, ad esem­pio, que­sto Prin­ci­pio è nel mondo, è l’anima mundi stessa, per Pla­tone ed Ari­sto­tele è il Motore Immo­bile che pre­siede alla rego­la­zione del tutto. Ma è pro­prio a que­sto punto che le con­ce­zioni tra i due grandi filo­sofi diver­gono: per lo Sta­gi­rita il Prin­ci­pio agi­sce sulla mate­ria infor­man­dola di sé attra­verso la fun­zione dello spi­rito, men­tre per Pla­tone esso rimane sepa­rato ed agi­sce attra­verso un Demiurgo «senza il quale è impos­si­bile che ogni cosa abbia nasci­mento» (Timeo 28,c), che attua così la media­zione tra l’iperuranio immu­ta­bile ed incor­rut­ti­bile delle idee e la materia.
E dun­que, con la teo­ria della forma e della mate­ria unite dallo spi­rito, Ari­sto­tele si oppo­neva egual­mente al mec­ca­ni­ci­smo di Empe­do­cle ed al fina­li­smo tra­scen­den­tale di Pla­tone, soste­nendo invece che il prin­ci­pio del dive­nire va ricer­cato nel seno stesso della realtà che diviene, e non pen­sato come estra­neo ad essa. La mate­ria è un prin­ci­pio poten­ziale ed inde­ter­mi­nato che ha biso­gno di essere deter­mi­nato ed attuato dalla forma (l’idea). Per que­sto lo sperma, prin­ci­pio di nutri­zione del nuovo essere, deve distil­larsi attra­verso l’infusione dello spi­rito che, tra le sue attri­bu­zioni, ha anche quella dell’accrescimento degli esseri.
Dopo la quinta dige­stione, dun­que, lo sperma è infine maturo gra­zie alla «virtù accre­sci­tiva dello spi­rito» che gli deriva, in que­sto spe­ci­fico caso, dice ancora un Dante molto coe­rente con la sua appar­te­nenza ai Seguaci d’Amore, «dal cuor del gene­rante», e non attende altro che essere eia­cu­lato in vagina.
A que­sto punto però, dob­biamo accen­nare ad una que­stione che, par­tendo dai pre­so­cra­tici, venne dibat­tuta sino al Rina­sci­mento ed oltre, come si evince anche dalle testi­mo­nianze con­te­nute nel testo Embrio­lo­gia sacra, del pre­lato Ema­nuele Can­gia­mila, paler­mi­tano, pub­bli­cato a Milano nel 1751: cosa vei­cola il seme?
Anche qui la con­tro­ver­sia trae ori­gine dalla discus­sione che Ari­sto­tele intra­prese con­tro Empe­do­cle ed Anas­sa­gora, se cioè esso sia for­mato di par­ti­celle invi­si­bili stac­ca­tesi sol­tanto dalle mem­bra simili ed omo­ge­nee, come i muscoli, le ossa o i nervi, o anche da quelle dis­si­mili e com­plesse come la mano o il volto. Il Can­gia­mila, nel suo testo (Libro I capi­tolo 4), riporta la testi­mo­nianza di un certo Delem­pa­zio che, sotto le lenti del suo micro­sco­pio, avrebbe visto «coi pro­pri occhi svi­lup­pato da ver­metto nel seme maschile un uomo».
Secondo la teo­ria accen­nata alla fine del Timeo pla­to­nico (91 D), «il seme inse­mi­ne­rebbe la matrice pronta ad acco­gliere ani­mali invi­si­bili per la loro pic­co­lezza e non ancora for­mati». Que­sto fa dire a Win­centy Luto­sla­w­ski nel suo The ori­gin and growt of Plato’s logic (Lon­dra 1905, pag. 484) che il filo­sofo aveva intuito la pre­senza degli sper­ma­to­zoi molti secoli pima della loro effet­tiva sco­perta: «There are amid all the mythi­cal fic­tion of the Timaeus some won­der­ful glimp­ses of deep insight which betray Plato’s genius».
Anche ad Ippo­crate è attri­buita l’ipotesi che la mate­ria dello sperma venga da tutte le parti del corpo; nel suo De geni­tura sostiene che il seme deriva da tutta l’«umidità che è con­te­nuta nel corpo»; però aggiunge che da tutta que­sta umi­dità si separa la parte migliore e che da essa si stacca ancora un «sem­plice» che lui clas­si­fica come «spu­moso»: la mate­ria essen­ziale dello sperma richiama così il mito della nascita di Afrodite.
Dun­que la solu­zione data da Ari­sto­tele si inspira alla sua filo­so­fia: tutto ciò che nasce comin­cia ad essere per l’impulso di un agente che lo trae dalla potenza all’atto. Quindi lo sperma maschile è dotato di «virtù for­ma­tiva», men­tre il mestruo di «virtù infor­ma­tiva», cioè capace di restare impresso. Un rove­scia­mento com­pleto dell’idea stessa di matrice.
Per altri, invece, lo sperma con­ter­rebbe una dis­so­lu­zione, o meglio una solu­zione, in cui sono pre­senti minu­tis­sime par­ti­celle che ripro­du­cono in pic­colo ogni parte del corpo. Dun­que per lo Sta­gi­rita lo sperma maschile non è mate­ria crea­zio­nale ma solo causa agente, men­tre per Galeno, Ippo­crate ed altri medici sino al Rina­sci­mento, esso è il vero prin­ci­pio gene­ra­tore, con­te­nendo in sé tutte le parti del corpo da svi­lup­pare nella matrice col con­corso dello «sperma muliebre».
Da qui il ruolo della donna nella ripro­du­zione, essendo le ovaie, a quel tempo, rite­nute solo testi­coli fem­mi­nili atte a pro­durre il mestruo, che ser­viva solo a «cuo­cere» la mate­ria vivente. Que­sta tesi fu soste­nuta da Galeno che infatti distin­gue tra san­gue mestruale e «sperma mulie­bre», inten­dendo con que­sto il secreto dei testi­coli mulie­bri, cioè delle ovaie che scen­de­rebbe lungo i canali semi­nali fem­mi­nili, cioè le tube, per mesco­larsi con lo sperma virile e dare così ini­zio al pro­cesso di for­ma­zione del nuovo essere.
È dun­que merito del medico di Per­gamo aver intuito il ruolo attivo della donna nella ripro­du­zione, sep­pure con una visione ana­to­mica che descri­veva l’apparato geni­tale fem­mi­nile come spe­cu­lare a quello maschile. La vagina, infatti, è solo un pene intro­verso, le ovaie sono i testi­coli interni e le tube l’equivalente dei dotti sper­ma­tici. Ovvia­mente, in tutto que­sto, il seme maschile è più «forte», e quello fem­mi­nile ha biso­gno del suo «con­forto» per atti­varsi.
Con Avi­cenna anche i medici del primo Medioevo con­ti­nuano a par­lare di «sperma mulie­bre» distinto dal mestruo, del quale peral­tro era un deri­vato, in quanto quest’ultimo è anch’esso una «super­flui­dità» del san­gue non ancora dige­rito e puri­fi­cato; lo «sperma mulie­bre», allora, è for­mato dallo stesso san­gue che ha com­piuto tutte le fasi dige­stive. Per effetto dell’ultima il mestruo perde il colore san­gui­gno e ne assume uno bian­ca­stro (humor deal­ba­tus), e diventa mate­ria atta e dispo­sta a rice­vere l’azione dello sperma virile.
Sara con gli studi di Gaspare Bar­tho­lin, medico danese, di Mal­pi­ghi e Gabriele Fal­lop­pio ita­liani, che que­ste con­ce­zioni ver­ranno final­mente sra­di­cate per dare vita ad una netta inte­ra­zione dei ruoli tra lo sper­ma­to­zoo e l’ovulo.
Il naso maschile ed il piede femminile
Le pole­mi­che con­ti­nue­ranno dun­que sino al XVIII secolo quando, con la sco­perta e l’utilizzo del micro­sco­pio ed una visione Illu­mi­ni­sta dell’embriologia, ai pen­sieri dei filo­sofi clas­sici si sosti­tui­ranno i mezzi dell’osservazione scien­ti­fica anche se, come abbiamo visto in ape­rura, la Chiesa cer­cherà di man­te­nere sul mistero della vita e dell’anima inef­fa­bile l’ultima parola, men­tre il mito della nascita di Afro­dite intorno allo sperma fuo­riu­scito dai geni­tali di Urano governa ancora il nostro imma­gi­na­rio erotico.
Con­clu­diamo que­sta digres­sione con un poe­metto della scuola medica saler­ni­tana che riprende il sistema di ana­lo­gie tra mate­ria e forma, con par­ti­co­lare riguardo alle cor­ri­spon­denze tra il naso virile ed il mem­bro, e tra il piede mulie­bre e l’organo fem­mi­nile: «Ad for­mam nasi digno­sci­tur hasta Priapi; Ad for­mam pedis cogno­sces vas mulie­ris. Nosci­tur ex pede quan­tum sit vir­gi­nis antrum; Nosci­tur ex naso quanta sit hasta viri». Ognuno si diver­tirà a tra­durre dal latino i ter­mini di que­sto noto detto popo­lare che parla della rela­zione tra il naso virile, la dimen­sione e la forma del mem­bro, e tra il piede fem­mi­nile, la forma e la pro­fon­dità della vagina… così è se vi pare.

Il Manifesto – 24 gennaio 2015

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