Teseo e il minotauro
Una intervista
radiofonica diviene il punto di avvio di un serrato dialogo sulla
modernità e su una possibile «resistenza alla dominazione».
Ubaldo Fadini,
Microfono aperto
tra Theodor Adorno e Elias Canetti
Almeno due grandi temi
emergono dal complesso di questioni affrontate
nella conversazione del marzo del 1962 tra Theodor
W. Adorno ed Elias Canetti, che sta al centro dell'intrigante
ed eccentrico lavoro di Fabrizio Denunzio:
Metamorfosi e potere. Il conflitto vitale tra
Canetti e Adorno (Ombre corte). Possono essere riassunti,
dalla parte del "vitale" e proiettato
sull'autore di Massa e potere, in questi termini: il
raggiungimento dell'autonomia concreta del
soggetto muove non dalla paura rispetto a ciò che è arcaico
e che abitualmente viene letto come destinazione
dell'umano nel senso della regressione; accanto a ciò, la
considerazione dell'«io» come possibilità
di liberazione, di divenire, sulla base di un
apprezzamento delle sue capacità metamorfiche
(sullo sfondo delle aperture «difficili» della
«Grande Vienna»: da Karl Kraus a Robert Musil, arrivando
poi alle «penultime» pagine di Ingeborg Bachmann).
Lo spazio della
soddisfazione
Questi temi sono
stati recentementi ripresi da interpreti attenti a
riflettere sul rapporto tra paura, aggressività
e violenza oppure sulle diagnosi più radicali del
potere e del comando (penso qui soprattutto a Danilo Zolo e
Giacomo Marramao) e l'orizzonte teorico che li
accomuna è quello delineato da una comprensione
dell'opera complessiva di Canetti come occasione di
stimolo, ancora oggi attuale, per l'elaborazione di una
teoria sociale e politica all'altezza della
rilevazione dell'accentuarsi dei caratteri di
vulnerabilità e di incertezza propri
della soggettività contemporanea.
In questa prospettiva, si sono approfonditi
e fatti sempre più sofisticati i sondaggi
critici nel «corpo» dell'analisi di Massa e potere, anche
con l'idea di ritrovare in questo «grande libro»
indicazioni importanti per ripensare
proficuamente la misura della presa di distanza,
del limite, della realizzazione di uno spazio
di eventuale soddisfazione per ciò che si
esprime nelle dinamiche di relazione, di incontro
tra i soggetti.
Elias Canetti |
Una vitale performance
Anche Denunzio
punta sull'originalità della teoria sociale delineata
da Canetti, su base «antropologica»,
ridisegnandone il caratteristico
profilo mediante il confronto con le posizioni di
un'altra teoria sociale d'indubbio peso concettuale e
personificata, nella conversazione
del '62, da Adorno. Ed è proprio da un'analisi della
performance adorniana all'interno della
trasmissione radiofonica nella quale la
conversazione si sviluppa che Denunzio
muove per cogliere l'apparentemente paradossale – e
però «vincente» — utilizzo di un mezzo di
comunicazione di massa da parte di uno studioso
particolarmente ostile nei confronti di
una modalità espressiva dell'industria culturale
(messa a tema nella Dialettica dell'Illuminismo), con il
suo effetto di dilagante e massivo «instupidimento».
Il conduttore
dell'intervista/conversazione (Adorno) controlla
l'intervistato (Canetti) in modo tale da definirne i limiti
della sua performance, nel senso di presentare
al radioascoltatore un testo parallelo al vero
e proprio Massa e potere, sotto forma di una sintesi
interessata a sottolineare gli aspetti di
criticità del testo rispetto alla riconferma degli
assunti fondamentali della «tradizione»
francofortese, lasciando ai margini ciò che
avrebbe potuto rappresentare un segnale di
disconferma, dalla parte di Canetti, della pretesa di
solidità di tale linea di ricerca. Ma c'è di più:
importanti sono anche le continue interruzioni,
che rendono del tutto naturale che la questione del
comando sia appunto relegata nella parte finale della
conversazione, con poco tempo a disposizione,
oltre che l'esibizione calcolata di una «indifferenza»
sostanziale nei confronti della figura-chiave della
metamorfosi.
In questa sua
ricostruzione, Denunzio fa leva su strumenti
preziosi della più avanzata sociologia dei
processi comunicativi e nello stesso tempo si
richiama ad autori «classici» come Erving Goffman
(che gli permette di vedere l'intervista come un «sistema
situato di attività») e Walter Benjamin, al
quale già in passato ha dedicato una significativa
e costante attenzione, non dimenticando di
sottolineare, nei confronti di tutto questo,
il rilievo d'accordare ad alcune intuizioni di Gramsci a
proposito del rapporto tra processi di
trasformazione del linguaggio e crescita
dell'influenza dei «media» (della radiofonia in
particolare).
Ciò che però più
colpisce, anche in relazione ai primi interpreti
italiani dell'opera canettiana (penso qui soprattutto
a Furio Jesi), è la sottolineatura da parte
di Denunzio del carattere positivo e produttivo,
ben spendibile oggi, di una serie di prese di posizione
operate da Canetti e sottilmente – e
inevitabilmente: dal suo punto di vista –
contestate da Adorno. Ciò che impressiona
sfavorevolmente (sul piano appunto teorico)
il critico francofortese, cioè la
«soggettività dell'approccio», il fatto che ci
sia «troppa immaginazione in un trattato
socio-antropologico», il che renderebbe il tutto non
perfettamente compatibile con una
elaborazione scientifica coerente, è
invece da considerarsi come un punto di forza di
Massa e potere, anche in virtù del suo registro
«narrativo». Quel registro che può essere
afferrato laddove si colga il vero e proprio motivo
di contrasto teorico tra i due interlocutori,
vale a dire la diversa lettura del mito, dell'«arcaico»,
che per lo studioso francorfortese
rappresenta qualcosa di essenzialmente
negativo anche e soprattutto laddove entra a far
parte, come «ci» spiega Canetti, dello statuto di
espressione piena dell'esperienza delle masse.
Theodor W. Adorno |
Ulisse va in società
Immaginazione
e arcaicità portano in fondo ad una prevalenza
della rappresentazione sui concetti e
alla comparsa di sintomi di regressione: così
Adorno (e poi più tardi Alex Honneth), mentre invece
per Canetti vale l'idea che il mito sia «pieno di metamorfosi»,
che possa dunque essere anche compreso come veicolo,
meglio: vettore, di metamorfosi, di possibile
«resistenza alla dominazione».
La figura-chiave, in
questa direzione, è Ulisse, del quale Canetti e Adorno
(e Max Horkheimer) danno appunto due illustrazioni
radicalmente diverse. Decisiva è allora – e in
effetti fertile ancora oggi – l'idea di metamorfosi
riferita agli assetti di una soggettività
processuale come quella contemporanea,
da collocarsi all'interno di un quadro di società
dove ciò che viene banalmente spacciato come arcaico
può anche rivelare, a ben vedere, quell'invariante
dell'umano (la metamorfosi) che rimane se stessa
diventando altro.
il manifesto | 03 Gennaio
2014
Fabrizio
Denunzio
Metamorfosi
e potere.
Il conflitto
vitale tra Canetti e Adorno
Ombre corte, 2013
13 euro
Nessun commento:
Posta un commento