La storia di un'amicizia
intensa che, pur avendo alimentato l'opera di entrambi, è finita male.
Enrico Girardi
Schönberg-Kandinsky, le note e
le parole di un'amicizia bruciata
Finisce male, perché non
appena inizia a sentirsi guardato a vista, come ebreo, Arnold
Schönberg affila armi dialettiche che dire pungenti è poco. E spara
nel mucchio, spara all’impazzata, anche contro nemici che tali sono
solo nella sua immaginazione. E così compromette definitivamente, se
non una vera amicizia, un rapporto di collaborazione con Vassily
Kandinsky, che era iniziato nel migliore dei modi e che avrebbe
potuto produrre ulteriori e significativi esiti.
Si stenta a crederlo ma
il destinatario/bersaglio di due lettere dure, ostili, che il
compositore viennese scrive nel 1923 è proprio il pittore: «Se Lei
accetta di porgere i miei saluti al mio ex amico Kandinsky — gli
dice congedandosi —, Le affiderei molto volentieri l’espressione
della più viva cordialità». E in un altro passo: «Della [Sua]
benevolenza nei miei confronti non saprei che fare, neppure se
volessi scriverla su una lavagnetta come un mendicante cieco e
agganciarmela sul petto in modo che tutti possano leggerla. Un
Kandinsky non dovrebbe rifletterci sopra? Può un Kandinsky
condividere le opinioni degli altri (dei tedeschi, ndr ) piuttosto
che le mie?».
D’altra parte non
sarebbe corretto interpretare la durezza di Schönberg senza tener
conto che pochi mesi prima era stato invitato a sloggiare, perché
ebreo, dalla località di villeggiatura dove si era ritirato a
comporre. Da quel momento, chi non si schierava a difesa degli ebrei,
per lui diventava un nemico. Kandinsky non meno degli altri. Che i
due però fossero destinati ad avere a che fare l’uno con l’altro,
era nelle cose. Mentre il pittore esponeva le sue rivoluzionare
teorie pittoriche e l’estetica che vi soggiaceva, il musicista
andava elaborando il metodo di scrittura atonale. Entrambi inoltre
avevano subito il fascino del simbolismo e dello spiritualismo.
Entrambi conoscevano e avevano apprezzato il lavoro e il pensiero di
Aleksandr Skrjabin, il musicista che aveva associato le note ai
colori secondo un vocabolario emotivo tutto suo.
E mentre Koussevitzky, ammiratore entusiastico di Skrjabin, ne dirigeva le composizioni a Vienna, presente Schönberg, Kandinsky ne divulgava le teorie a Monaco presso la sua cerchia di artisti. Tra questi, Thomas von Hartmann che insieme al «maestro» tentò la fusione suono-colore nel dramma «Der gelbe Klang» (Il suono giallo), da cui Schönberg rimase affascinato. Così, nel 1912, quando uscì l’Almanacco del gruppo, chiamatosi nel frattempo «Der blaue Reiter» (Il cavaliere azzurro), Schönberg, più giovane di Kandinsky di 8 anni e pittore a sua volta, fu invitato a collaborare. L’Almanacco conteneva pure un saggio di Hartmann sull’anarchia in musica e un articolo sul Prometeo di Skrjabin. Insomma, il tema del rapporto tra suono e colore era nell’aria. In più di una occasione, Schönberg espose le proprie tele con i pittori della cerchia, ricevendo da Kandinsky elogi e l’esortazione a continuare nella pittura.
Di tutto ciò l’eco più tangibile è infine nel lavoro di teatro musicale «Die glückliche Hand» («La mano felice»), un atto unico che Schönberg compose negli anni 1910-13 su libretto proprio e che è pervaso da una vena simbolista-espressionistica ancor più marcata che nella precedente «Erwartung».
Qui, per la prima volta nella musica occidentale, i colori sono scritti sulla partitura, sopra le note. La partitura reca cioè indicazioni sui colori che, attraverso l’uso delle luci, devono dominare ogni scena: il nero per la notte e la morte, il giallo per la lotta e l’attività, il blu per la felicità, il verde per la distruzione e l’annientamento.
Ma come era iniziata quell’amicizia poi rinnegata? Con un scambio di libri: omaggiato di una copia di Dello spirituale nell’arte , il musicista aveva ringraziando inviandogli il suo rivoluzionario Trattato d’armonia .
Il Corriere della sera –
17 dicembre 2013
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