La comune dei contadini di città: “Addio spesa al supermercato adesso produciamo tutto noi”
Jenner Meletti
BOLOGNA - Mani che battevano la tastiera di un computer o segnavano in
blu o rosso i compiti degli allievi. Stringevano un bisturi in sala
operatoria ma anche la cazzuola per alzare un muro di mattoni: adesso si
dedicano alla semina, alla crescita e al raccolto di cavoli, fragole,
pomodori, zucchine, pere, mele. I cittadini diventano contadini, con
centina ia di braccia rubate dall’agricoltura, e non viceversa.
«Semplicemente, abbiamo riscoperto l’agricoltore che è in noi.
Investiamo denaro e lavoro e ogni settimana ci portiamo a casa una
cassetta con il nostro raccolto. Non ci basta il piccolo orto, al
massimo dieci metri per dieci, che è un bella invenzione per i
pensionati. Noi cittadini — contadini, e per giunta biologici, siamo
imprenditori agricoli. Non l’un contro l’altro armati ma uniti in una
cooperativa».È arrivata in Italia — Borgo Panigale, periferia di Bologna, sette
chilometri da piazza Maggiore — la prima Csa, “Community supported
agriculture”, agricoltura sostenuta dalla comunità. In Germania, Francia
e Inghilterra ci sono Csa attive da quarant’anni. Tre ettari di terra
in affitto, per ora. Ma la cooperativa Arvaia (pisello, in dialetto
bolognese) vuole affittare altri trenta ettari, così gli attuali 180
soci potranno diventare almeno 500 e oltre a frutta e verdura potranno
portare a casa tutto ciò che si serve in tavola: dalla carne al
formaggio, dal latte al pollo.Qualche giorno fa Arvaia («Abbiamo scelto questo nome perché ci mettiamo
uno a fianco dell’altro, come i piselli nel baccello») ha compiuto il
primo anno di vita. «Siamo partiti in sette e fra pochi giorni saremo
duecento. C’è davvero una gran voglia di tornare alla terra. In fondo,
la nostra è una piccola rivoluzione: l’insalata che ti metti in tavola
non ha più un prezzo ma un valore. Sai che è stata coltivata in modo
sano e questa è una garanzia per noi ma anche per i nostri figli: la
terra che lasceremo non sarà rovinata dai veleni». Il “salotto” della
cooperativa è una piccola serra di nylon, sotto il colle di San Luca.
C’è un fornello a gas per il caffè. «Io sono l’unico socio fondatore —
racconta il presidente, Alberto Veronesi — con esperienza diretta nei
campi. Sono agronomo, ho lavorato come consulente per le coltivazioni
biologiche. Poi ho deciso: voglio fare il contadino assieme ad altri
abitanti di città, come me. E voglio farlo condividendo la passione ed
anche i rischi d’impresa».Una quota di 100 euro, una tantum, per diventare soci. E questo è il
capitale d’impresa. Poi, all’inizio dell’anno, il socio anticipa il
costo delle cassette di verdura e frutta settimanali — circa 42, con la
sosta invernale — che saranno ritirate alla coop o consegnate a casa.
Per una cassetta di 3-4 chili si anticipano 400 euro, per quella di 6-7
chili si versano 800 euro. «E con questi soldi noi possiamo pagare la
preparazione del terreno, le semine, la cura, il raccolto. E pagare noi
soci lavoratori, che per ora siamo quattro ma che — se otterremo i
trenta ettari — potremo diventare più di dieci. I rischi? Se ti arriva
l’insetto che ti mangia i pomodori o ti spazza via la lattuga, non
potrai riempire le cassette. La garanzia? Tutto viene fatto senza
chimica. Un esempio: abbiamo già seminato veccie, favino e orzo che
saranno già alti, ma non maturi, prima dell’estate. Allora faremo il
sovescio, o concimazione verde. Con l’aratro, seppelliremo queste
colture e poi semineremo i cavoli e altre piante invernali. Il sovescio
sarà il concime naturale: noi non nutriamo la pianta ma il terreno».Con una certa ironia, Arvaia ha inventato l’agrifitness. «Al sabato — ma
chi può anche negli altri giorni — i soci lavorano nei campi. Così si
mantengono in forma». C’è chi lavora non per fare ginnastica ma per
guadagnarsi la cassetta senza togliersi gli euro di tasca. Si tratta di
esodati, disoccupati e cassintegrati che così riescono a portare a casa
almeno la verdura. Arvaia è anche un laboratorio. C’è chi viene a
imparare il mestiere per poi magari affittare qualche ettaro e mettersi
in proprio. «Per noi la cooperativa — raccontano Cecilia Guadagni
(pedagogista), Stefano Peloso (artigiano) e Paola Zappaterra (storica) —
è una scelta di vita. C’è chi ha perso il lavoro e chi lo ha lasciato
volontariamente. Nella nostra memoria c’è il racconto dei nonni per i
quali l’agricoltura era una condanna. Si spaccavano la schiena e se
arrivava la grandine mangiavano riso e fagioli tutto l’inverno. Lavorare
qui — Cecilia e Stefano sono a tempo pieno — è invece una scelta: è un
mestiere vero e completo per il quale spendi tutto il tuo tempo,
coltivando patate, piselli e relazioni umane».Un altro caffè poi la raccolta del cavolo nero. Si deve riparare una
rete che tiene lontani caprioli e lepri, divoratori delle prime
insalate. «Il Comune di Bologna, che presto farà il bando per i trenta
ettari, ha molte terre oggi abbandonate. Potrebbero essere date in
comodato d’uso ad altre cooperative o gruppi di giovani. La terra può
accogliere chi è stato mandato via dalla fabbrica. Non siamo una manica
di idealisti, il bilancio è tenuto da Nunzia Liseno, laureata in
Economia. Ce la possiamo fare, “produzione e partecipazione” debbono
essere carte vincenti». Le nuvole se ne vanno, riappare il sole. «Fra
pochi giorni fioriranno i meli».
La Repubblica, 9 marzo 2014
postilla
Nel racconto dell'esperienza di agricoltura sociale bolognese emergono alcuni aspetti davvero interessanti, del resto piuttosto noti nelle esperienze internazionali simili, e che riguardano il ruolo emergente degli spazi aperti urbani sia sul versante socio-ambientale, che sanitario e dei servizi alla persona, ma soprattutto (e questo è forse più difficile da intuire immediatamente) in prospettiva i diversi equilibri fra città e campagna di questo nostro terzo millennio dell'urbanizzazione globale. Perché se è vero che soggettivamente questi spazi valorizzati grazie alla partecipazione diretta dei cittadini si pongono come una specie di istituzione parallela autogestita (il riferimento è per esempio al bell'articolo di Daniela Poli su un caso toscano pubblicato su http://www.eddyburg.it/2014/03/da-proprieta-pubblica-bene-comune.html ) è anche vero che difficilmente la dimensione locale e di quartiere può cogliere l'entità del problema a scala vasta. La chiave di lettura pare ancora, come in tanti altri casi, quella dell'ente sovracomunale di coordinamento, vuoi strettamente istituzionale, vuoi in forme inedite miste, a gestire la cosiddetta infrastruttura verde territoriale, che raccorda una città sempre più densa (perché così si sta evolvendo, non dimentichiamolo) a spazi naturali e di agricoltura non-urbana. Altrimenti, al di là delle ottime intenzioni di gruppi o comitati o teorici del ritorno alle radici di qualcosa, non si andrà oltre una generica dichiarazione di principio (f.b.)
Da proprietà pubblica a bene comune: Mondeggi la fattoria senza padroni
08 Marzo 2014
Nelle campagne fiorentine in questi ultimi mesi una comunità variegata di soggetti sta cercando di trasformare una “proprietà pubblica” in “bene comune”, mettendocela tutta per sconfessare la nota affermazione di Hardin (1968) sulla tragedia dei beni comuni. Al crescere della popolazione cresceva, secondo Hardin, l’indeterminazione e l’incapacità dei soggetti di trovare accordi e forme di gestione condivisa, così l’unico modo per salvare la risorsa era privatizzarla. L’esperienza del movimento “Mondeggi fattoria senza padrone”, sta percorrendo la strada opposta. Sta cercando di fermare la vendita di un bene pubblico, la fattoria medicea di Mondeggi, chiedendo alla pubblica amministrazione di sperimentare un accordo con un gruppo di soggetti che intendono prendere in carico la fattoria e gestirla in forma comunitaria in base a un documento di principi e di intenti che è stato discusso collettivamente in assemblee pubbliche e in rete e approvato definitivamente il 12 Gennaio 2014 nell’Assemblea plenaria territoriale di Pozzolatico.
Proprio nelle società avanzate in rapida crescita risulta non solo utile ma anche efficace reintrodurre la terza categoria economica del “comune”, schiacciata con la rivoluzione industriale dalla presenza bipolare dello Stato e del Mercato (Ostrom, 2006). Le gestione dei beni comuni ha consentito a molte fasce della popolazione di potersi sostenere integrando il reddito proveniente da altri settori e di mantenere efficacemente la risorsa (boschi, acque, pascolo, agricoltura, ecc.). Non casualmente in Toscana proprio i boschi più marginali, quelli ancora gravati dagli usi civici, sono fra i più ricchi in biodiversità, come emerge dallo studio per il piano paesaggistico della regione. Oggi lo spettro delle risorse da gestire in forma comunitaria si allarga e arriva a includere lo stesso spazio pubblico, istituzioni culturali come il Teatro Valle, attività produttive (Belingardi 2012). Da più parti emerge la richiesta di riconoscimento di queste nuove pratiche di gestione collettiva che troppo spesso vengono semplicemente rifiutate perché dichiarate tout court, “illecite”, confondendo ancora una volta giustizia e legalità. In molti casi, come ricorda Jan van der Ploeg (Ploeg 2009) sono le leggi recenti frutto ancora di un processo di modernizzazione imperante a mettere fuori leggele attività di lungo periodo attraverso le quali i contadini gestivano in maniera semplice e virtuosa le risorse territoriali. Molte delle pratiche agronomiche recenti (agricoltura biologica, biodinamica, contadina) riportano in auge prassi consolidate ibridandole con la contemporaneità (riuso delle energie locali, uso del buon letame, scambio delle sementi, scambio, baratto, ecc.).
Sovente queste novelties “violano i codici di comportamento
esistenti o le norme per l’interpretazione delle cose”, diventando così
semplicemente “illegali”, anche se contengono principi di giustizia e di
moralità. Sostenere le novelties o le azioni di
retro-innovazione (Stuiver 2006) significa in molti casi riabilitare
tecniche e forme di gestione già presenti in passato e oggi fatte
precipitare nell’abisso dell’illegalità.Affermare la cittadinanza di un
altro modo di possedere (Grossi 1977) puntando sulla centralità del
valore d’uso rispetto alla proprietà, come consuetudinein molte comunità
contadine ancora sino alla soglia del XIX secolo,comportacome nel caso
delle novelties un cambiamento legislativo.
In questo senso si muove come noto il lavoro in Italia della Costituente
per i beni comuni che nelle assemblee itineranti sul territorio si
occupa di definire giuridicamente il concetto di ” bene comune”, per
allargare legalmente la forbice fra lo Stato e il Mercato, fra il
Pubblico e il Privato e consentire alla moltitudine di risposte sociali
che resistono all’omologazione modernizzatrice di trovare sempre più
spazi di espressione (giardini, orti, teatri, parchi, spazi urbani,
residenze, luoghi sociali, ecc.), affermando in tal modo la pienezza di
una soggettività collettiva portatrice di diritti in tutti quei casi in
cui, prescindendo dal titolo di proprietà del bene, si generino utilità
comuni da preservare anche per le generazioni future. L’esperienza della
fattoria di Mondeggi è una di queste tante realtà che costellano il
panorama italiano.
Da qualche mese una variegata rete di soggetti (agricoltori, artisti, produttori biologici e biodinamici, cittadini dei GAS, studenti, tecnici, professionisti, giovani laureati)e associazioni si è federata a Firenze nel movimento Terra Bene Comune, con lo scopo didifendere il diritto all’accesso alla terra e di contrastare la vendita dei beni demaniali proponendo in alternativa l’affidamento in comodato di aziende agricole e terreni pubblici a giovani e soggetti della nuova “agricoltura contadina”. La Fattoria di Mondeggi è diventata ben presto il simbolo di questa lotta con il costituirsi in forma assembleare del cComitato verso Mondeggi Bene comune Comune molto radicato anche nel territorio locale.
L’Azienda agricola di Mondeggi-Lappeggi, situata nei rilievi collinari a sud est di Firenze nel comune di Bagno a Ripoli, è un bene di proprietà della provincia di Firenze dall’inizio degli anni 60 del secolo scorso. La tenuta, appartenuta a nobili fiorentini come i Bardi, i Portinai, i Della Gerardesca è stata per un breve periodo anche di proprietà di un ente collettivo come lo Spedale di Santa Maria Novella.a.[1] L’azienda è complessivamente di circa 200 ettari ed è composta approssimativamente da 12.000 olivi, da 22 ettari di vigne in parte da reimpiantare, da 60 ettari fra seminativi e pascoli, da 6 case coloniche e da una villa-fattoria con annesso parco storico di impianto ottocentesco.
Dopo l’acquisto da parte della provincia è stato smantellato l’antico assetto poderale che vedeva nella villa la fattoria centro aziendale con funzione di coordinamento dei poderi. La riorganizzazione generale è stata fatta secondo i dettami dall’allora fiorente agroindustria con la realizzazione di grandi superfici continue gestite da operai agricoli, la realizzazione di un “centro aziendale” con capannone ove portare le funzioni agricole un tempo svolte dalla villa, la distruzione dei poderi intesi come autonome unità produttive policolturali, la specializzazione delle colture finalizzata a una forte meccanizzazione. Seguendo la procedura dell’aziendalizzazione, la provincia ha affidato integralmente la tenuta agricola alla società agricola Mondeggi-Lappeggi srl mantenendo il controllo diretto sulla villa-fattoria e sul parco - luogo di svolgimento di molte feste pubbliche e di iniziative associative. La società Mondeggi-Lappeggi non ha mai definito un progetto organico e strategico di lungo respiro in grado di coinvolgere attori sociali e costruire un riferimento per la popolazione locale, rompendo la lunga tradizione di “vendita diretta in fattoria”. La retorica del “polo di eccellenza” totalmente estraneo al territorio ha portato alla definizione di sperimentazioni molto specialistiche talvolta in concorso con soggetti privati (frantoio di qualità, combustore per biomasse da colture oleaginose, fertilizzanti fogliari di sintesi della multinazionale YARA, ecc.) mentre le colture arboree venivano semiabbandonate e concesse in affitto con contratti annuali di coltivazione.La conduzioneha finito per produrre un indebitamento imponente (il comitato parla di circa1.000.000 di euro) e il degrado progressivo di unpatrimonio paesaggistico di enorme valore, che da sempre ha rappresentato un ancoraggio identitario per gli abitanti del territorio. Con la messa in liquidazione della Società si è aperta una fase di ricerca di possibili interessati all’affitto o all’acquisto della tenuta agricola, in toto o frazionata in più parti, fino ad arrivare poiterra anche all’inserimento della villa e del suo parco tra i beni alienabili dell’ente provincia. Il tutto con la fiera opposizione dell’amministrazione locale che non accetta di vederesvenduto una proprietà pubblica di tal entità. All’incapacità nella gestione di un bene pubblico si aggiunge quindi la miopia politica che non coglie la domanda sociale emergente dai bisogni della popolazione locale e non è in grado di rilanciare con un progetto di alto valore culturale, così come accade in molte realtà nazionali e internazionali: il parco-campagna nella provincia di Bologna o il parco sud Milano, per citare solo i più noti in Italia, producono innovazione proprio a partire dalle messa in valore di aziende agricole pubbliche.
Il comitato per Mondeggi Bene Comune ha iniziato un’interlocuzione con la provincia nell’intento di ottenere l’affidamento dell’intera azienda in base alla Carta degli Intenti e dei Principi (cfr. allegato) redatta nel gennaio di quest’anno. Le azioni del comitatohanno cercato da subito di dialogare e di coinvolgere la popolazione locale nelle attività proposte. Le stesse modalità di costruzione partecipata della decisione sono strutturate in forme inclusive che coinvolgono tanto i futuri abitanti di Mondeggi - la Fattoria, un gruppo di quasi 40 persone che intendono vivere e a lavorare nei poderi traendone il proprio sostentamento -– quanto gli attivisti che partecipano al progetto e la comunità locale – organizzati nell’assemblea territoriale.
Le assemblee del comitato si susseguono a ritmo incalzante e hanno creato in poco tempo una comunità inclusiva, in grado di intercettare il sentire degli abitati e di produrre progetto locale che, in virtù delle competenze collettive che raggruppa, produce documenti e progetti tecnici di trasformazione come supporto alla richiesta di affidamento del bene. Il progetto è articolato, ma si fonda sull’idea che la reintroduzione dell’agricoltura contadina sia un vantaggio per tutta la società grazie ai servizi ecosistemici che produce, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio insiti nelle forme della suo farsi, alla capacità di creare ricchezza localizzata con un mercati locali che ruotano attorno alla filiera corta e alla vendita diretta. L’agricoltura contadina è naturalmente multifunzionale con possibilità di sviluppare attività didattiche, sportive, turistiche, ricettive, artigianali e ludiche.
Una delle primissime azioni dimostrative fatte dal comitato è stata la “festa per la raccolta delle olive di Mondeggi” (foto 1). A Firenze la raccolta delle olive e i festeggiamenti dopo la frangitura con pranzi e cene a base d’olio nuovo sono da sempre un momento di gioia iscritto nel patrimonio genetico locale. Una giornata in cui una folla di variegata umanità (quasi 150 tra studenti universitari, anziani del territorio, bambini coi loro genitori, stranieri, professionisti) ha lavorato dalla mattina presto fino al pomeriggio tardo trovando il tempo anche per seguire lezioni di potatura. Il 50% dell’olio prodotto, come da consuetudine, è andato a chi ha fatto la raccolta e il restante è stato redistribuito alla popolazione di Bagno a Ripoli in occasione di mercati ed eventi pubblici con il logo “olio di Mondeggi” e la spiegazione sugli intenti del movimento di salvare un bene della comunità. La raccolta popolare si è inserita nel contesto della due giorni nazionale per i Beni Comuni, 16 e 17 novembre, lanciata da Genuino Clandestino (foto 2),[2] come esempio di uso dei beni comuni per la produzione di lavoro utile e di ricchezza diffusa.
Da qualche mese una variegata rete di soggetti (agricoltori, artisti, produttori biologici e biodinamici, cittadini dei GAS, studenti, tecnici, professionisti, giovani laureati)e associazioni si è federata a Firenze nel movimento Terra Bene Comune, con lo scopo didifendere il diritto all’accesso alla terra e di contrastare la vendita dei beni demaniali proponendo in alternativa l’affidamento in comodato di aziende agricole e terreni pubblici a giovani e soggetti della nuova “agricoltura contadina”. La Fattoria di Mondeggi è diventata ben presto il simbolo di questa lotta con il costituirsi in forma assembleare del cComitato verso Mondeggi Bene comune Comune molto radicato anche nel territorio locale.
L’Azienda agricola di Mondeggi-Lappeggi, situata nei rilievi collinari a sud est di Firenze nel comune di Bagno a Ripoli, è un bene di proprietà della provincia di Firenze dall’inizio degli anni 60 del secolo scorso. La tenuta, appartenuta a nobili fiorentini come i Bardi, i Portinai, i Della Gerardesca è stata per un breve periodo anche di proprietà di un ente collettivo come lo Spedale di Santa Maria Novella.a.[1] L’azienda è complessivamente di circa 200 ettari ed è composta approssimativamente da 12.000 olivi, da 22 ettari di vigne in parte da reimpiantare, da 60 ettari fra seminativi e pascoli, da 6 case coloniche e da una villa-fattoria con annesso parco storico di impianto ottocentesco.
Dopo l’acquisto da parte della provincia è stato smantellato l’antico assetto poderale che vedeva nella villa la fattoria centro aziendale con funzione di coordinamento dei poderi. La riorganizzazione generale è stata fatta secondo i dettami dall’allora fiorente agroindustria con la realizzazione di grandi superfici continue gestite da operai agricoli, la realizzazione di un “centro aziendale” con capannone ove portare le funzioni agricole un tempo svolte dalla villa, la distruzione dei poderi intesi come autonome unità produttive policolturali, la specializzazione delle colture finalizzata a una forte meccanizzazione. Seguendo la procedura dell’aziendalizzazione, la provincia ha affidato integralmente la tenuta agricola alla società agricola Mondeggi-Lappeggi srl mantenendo il controllo diretto sulla villa-fattoria e sul parco - luogo di svolgimento di molte feste pubbliche e di iniziative associative. La società Mondeggi-Lappeggi non ha mai definito un progetto organico e strategico di lungo respiro in grado di coinvolgere attori sociali e costruire un riferimento per la popolazione locale, rompendo la lunga tradizione di “vendita diretta in fattoria”. La retorica del “polo di eccellenza” totalmente estraneo al territorio ha portato alla definizione di sperimentazioni molto specialistiche talvolta in concorso con soggetti privati (frantoio di qualità, combustore per biomasse da colture oleaginose, fertilizzanti fogliari di sintesi della multinazionale YARA, ecc.) mentre le colture arboree venivano semiabbandonate e concesse in affitto con contratti annuali di coltivazione.La conduzioneha finito per produrre un indebitamento imponente (il comitato parla di circa1.000.000 di euro) e il degrado progressivo di unpatrimonio paesaggistico di enorme valore, che da sempre ha rappresentato un ancoraggio identitario per gli abitanti del territorio. Con la messa in liquidazione della Società si è aperta una fase di ricerca di possibili interessati all’affitto o all’acquisto della tenuta agricola, in toto o frazionata in più parti, fino ad arrivare poiterra anche all’inserimento della villa e del suo parco tra i beni alienabili dell’ente provincia. Il tutto con la fiera opposizione dell’amministrazione locale che non accetta di vederesvenduto una proprietà pubblica di tal entità. All’incapacità nella gestione di un bene pubblico si aggiunge quindi la miopia politica che non coglie la domanda sociale emergente dai bisogni della popolazione locale e non è in grado di rilanciare con un progetto di alto valore culturale, così come accade in molte realtà nazionali e internazionali: il parco-campagna nella provincia di Bologna o il parco sud Milano, per citare solo i più noti in Italia, producono innovazione proprio a partire dalle messa in valore di aziende agricole pubbliche.
Il comitato per Mondeggi Bene Comune ha iniziato un’interlocuzione con la provincia nell’intento di ottenere l’affidamento dell’intera azienda in base alla Carta degli Intenti e dei Principi (cfr. allegato) redatta nel gennaio di quest’anno. Le azioni del comitatohanno cercato da subito di dialogare e di coinvolgere la popolazione locale nelle attività proposte. Le stesse modalità di costruzione partecipata della decisione sono strutturate in forme inclusive che coinvolgono tanto i futuri abitanti di Mondeggi - la Fattoria, un gruppo di quasi 40 persone che intendono vivere e a lavorare nei poderi traendone il proprio sostentamento -– quanto gli attivisti che partecipano al progetto e la comunità locale – organizzati nell’assemblea territoriale.
Le assemblee del comitato si susseguono a ritmo incalzante e hanno creato in poco tempo una comunità inclusiva, in grado di intercettare il sentire degli abitati e di produrre progetto locale che, in virtù delle competenze collettive che raggruppa, produce documenti e progetti tecnici di trasformazione come supporto alla richiesta di affidamento del bene. Il progetto è articolato, ma si fonda sull’idea che la reintroduzione dell’agricoltura contadina sia un vantaggio per tutta la società grazie ai servizi ecosistemici che produce, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio insiti nelle forme della suo farsi, alla capacità di creare ricchezza localizzata con un mercati locali che ruotano attorno alla filiera corta e alla vendita diretta. L’agricoltura contadina è naturalmente multifunzionale con possibilità di sviluppare attività didattiche, sportive, turistiche, ricettive, artigianali e ludiche.
Una delle primissime azioni dimostrative fatte dal comitato è stata la “festa per la raccolta delle olive di Mondeggi” (foto 1). A Firenze la raccolta delle olive e i festeggiamenti dopo la frangitura con pranzi e cene a base d’olio nuovo sono da sempre un momento di gioia iscritto nel patrimonio genetico locale. Una giornata in cui una folla di variegata umanità (quasi 150 tra studenti universitari, anziani del territorio, bambini coi loro genitori, stranieri, professionisti) ha lavorato dalla mattina presto fino al pomeriggio tardo trovando il tempo anche per seguire lezioni di potatura. Il 50% dell’olio prodotto, come da consuetudine, è andato a chi ha fatto la raccolta e il restante è stato redistribuito alla popolazione di Bagno a Ripoli in occasione di mercati ed eventi pubblici con il logo “olio di Mondeggi” e la spiegazione sugli intenti del movimento di salvare un bene della comunità. La raccolta popolare si è inserita nel contesto della due giorni nazionale per i Beni Comuni, 16 e 17 novembre, lanciata da Genuino Clandestino (foto 2),[2] come esempio di uso dei beni comuni per la produzione di lavoro utile e di ricchezza diffusa.
Nella tenuta si sono svolte affollate passeggiate progettanti, sempre
aperte a tutta la popolazione, in cui i partecipanti, in base alle loro
competenze, hanno espresso desideri e condiviso informazioni storiche,
tecniche e agronomiche. Un’altra iniziativa è stata quella del
riconoscimento e della raccolta delle erbe spontanee nelle terre di
Mondeggi che ha visto la partecipazione di più di cento persone
provenienti luogo massicciamentedal comune di Bagno a Ripoli. La
presentazione del progetto viene fatta in molti e affollati luoghi
d’incontro sul territorio, in cene e assemblee nei circoli ricreativi
che hanno tutte un riscontro di consenso e di seguito inimmaginabile. [3]
E’ stato presentato alla provincia, nelle more della liquidazione della
società Mondeggi-Lappeggi srl(che non consente oggi alla provincia di
poter disporre degli immobili) una richiesta di breve periodo per
l’affidamento al comitato delle terre incolte e di alcune strutture che
potrebbero sin da subito consentire di svolgere alcune attività agricole
produttive pur senza abitare nei luoghi - con la disponibilità del
comitato a formalizzare una qualche forma associativa che consenta
l’affidamento istituzionale del bene. È di questi giorni un
affollatissimo consiglio comunale in cui tutte le forze politiche
all’unanimità hanno votato una mozione nella quale si chiede alla
provincia di non proseguire con la vendita e di trovare le forme per
affidare la fattoria ai soggetti che,intervenuti al consiglio
stesso,hanno proposto progetti con la richiesta di affidamento parziale
del bene. E’ stata istituita a tal fine una commissione mista composta
da rappresentati delle istituzioni (tecnici e amministratori di
provincia e comune) e da rappresentanti del comitato. Si è aperta una
fase delicata che vede tutto un paese coinvolto sulle sorti della
fattoria.
E’ auspicabile che anche nelle amministrazioni locali fiorentine sia possibile trovare le modalità per trasformare azioni e intenti nella definizione concreta di quelle terza forma di bene, né pubblico né privato, che molti comuni italiani stanno cercando di mettere a punto da Bologna a Roma da Milano a Napoli. Questi primi primo segnali di dialogo lasciano bene sperare sul fatto che proprio dal paesaggio fiorentino, luogo di sperimentazione in tempi storici, possa nascere un’opportunità in grado di dare corpo a quel senso del paesaggio democratico, quotidiano e inclusivo che la Convenzione Europea del paesaggio, firmata proprio in una fattoria medicea, propugna.
Bibliografia citata
Belingardi C. (2012), “Città bene comune e diritto alla città”, in Bellomo M. et al. (a cura di) Abitare il nuovo/abitare di nuovo ai tempi della crisi, ,Clean, Napoli.
Grossi P. (1977), Un altro modo di possedere. L'emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffrè, Milano
Ostrom E. (2006) Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia - ed. orig. 1990.
PloegJ. D. van der (2009), Nuovi contadini. Le campagne e le risposte alla globalizzazione, Donzelli, Roma - ed. orig. 2006
Stuiver M. (2006), “Highlighting the Retro Side of Innovation and its Potential for Regime Change in Agriculture”, in Terry Marsden T., Jonathan Murdoch J. (ed.), Between the Local and the Global - (Research in Rural Sociology and Development, Volume 12 ), Emerald
Note
E’ auspicabile che anche nelle amministrazioni locali fiorentine sia possibile trovare le modalità per trasformare azioni e intenti nella definizione concreta di quelle terza forma di bene, né pubblico né privato, che molti comuni italiani stanno cercando di mettere a punto da Bologna a Roma da Milano a Napoli. Questi primi primo segnali di dialogo lasciano bene sperare sul fatto che proprio dal paesaggio fiorentino, luogo di sperimentazione in tempi storici, possa nascere un’opportunità in grado di dare corpo a quel senso del paesaggio democratico, quotidiano e inclusivo che la Convenzione Europea del paesaggio, firmata proprio in una fattoria medicea, propugna.
Bibliografia citata
Belingardi C. (2012), “Città bene comune e diritto alla città”, in Bellomo M. et al. (a cura di) Abitare il nuovo/abitare di nuovo ai tempi della crisi, ,Clean, Napoli.
Grossi P. (1977), Un altro modo di possedere. L'emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffrè, Milano
Ostrom E. (2006) Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia - ed. orig. 1990.
PloegJ. D. van der (2009), Nuovi contadini. Le campagne e le risposte alla globalizzazione, Donzelli, Roma - ed. orig. 2006
Stuiver M. (2006), “Highlighting the Retro Side of Innovation and its Potential for Regime Change in Agriculture”, in Terry Marsden T., Jonathan Murdoch J. (ed.), Between the Local and the Global - (Research in Rural Sociology and Development, Volume 12 ), Emerald
Note
[1] http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=57098&RicProgetto=reg-tos [2]http://genuinoclandestino.noblogs.org/ [3] Cfr. il blog di Verso Mondeggi Bene Comune Fattoria Senza Padroni http://tbcfirenzemondeggi.noblogs.org/ e la pagina Facebookhttps://www.facebook.com/mondeggi.benecomune
Appendice
Carta degli Intenti – Verso Mondeggi Bene Comune
L’intento principale è quello di riabitare Mondeggi,
insediando nuclei familiari e singole persone nelle abitazioni rurali già
esistenti della Fattoria, in modo da ricostituire il “popolo di Mondeggi” che
dovrà essere composto in primo luogo da coloro che si dedicheranno al lavoro
della terra.
All’interno del nuovo villaggio contadino verrà praticata
un’agricoltura familiare dedicata all’autosufficienza alimentare dei poderi,
attraverso orti condivisi e piccoli allevamenti da cortile, inoltre gli
abitanti – assieme anche a persone non residenti a Mondeggi, ma che vorranno
lavorarci tutti insieme nell’intento di ridurre progressivamente l’impronta
ecologica costituiranno la “Fattoria senza padroni” che si articola mediante
due forme assembleari:l ’Assemblea di Fattoria e l’Assemblea plenaria territoriale.
L’Assemblea di Fattoria stabilirà la forma
associativa, lo statuto e il regolamento e definirà i metodi di funzionamento
interno inclusa la turnazione dei responsabili della gestione, inoltre sarà lo
strumento primario di organizzazione del lavoro, delle risorse, e dei piani
colturali, basandosi su i seguenti principi cardine:
la solidarietà al posto della concorrenza;
la giustizia sociale;
l’uguaglianza e la reciprocità dei diritti;
l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali;
la salute dei produttori e dei consumatori;
la salvaguardia e l’incremento della biodiversità e della
fertilità dei suoli.
l’utilizzo di forme di finanza mutualistica e solidale e di
pratiche di scambio e di baratto.
Sulla base di questi principi l’Assemblea di Fattoria si
occuperà delle colture più impegnative per estensione e da reddito,
organizzandosi in gruppi di interesse, ritenendo vitale lo scambio di
manodopera e il mutuo soccorso.
I mezzi di produzione potranno essere di proprietà
collettiva o individuale, mentre i locali di spaccio, trasformazione e
stoccaggio saranno comunitari. I prodotti contadini verranno distribuiti al
pubblico direttamente nello spaccio della Fattoria e attraverso il circuito dei
Mercati Contadini e dei Gruppi d’Acquisto Solidale.
Dato che la Fattoria di Mondeggi è per tutti noi un bene
comune, riteniamo che appartenga alla comunità territoriale che con essa ha
rapporti storici e culturali.
Nostro intento quindi, sarà quello di includere per quanto
possibile, la comunità nella gestione partecipata.
L’Assemblea di Fattoria, con questi intenti assumerà le
decisioni al suo interno mediante il Metodo del Consenso e le sottoporrà
all’Assemblea plenaria territoriale che potrà esprimere pareri e modifiche con
il medesimo Metodo.
Le due Assemblee sono composte da persone singole, nel
rispetto della Carta dei Principi.
La fattoria aperta
La prossimità di Mondeggi all’area urbana risulta strategica
per rinnovare le relazioni fra città e campagna, sensibilizzando e coinvolgendo
cittadini-consumatori sempre più consapevoli e contadini-produttori sempre più
responsabili in percorsi di co-produzione.
Per questi motivi la “Fattoria senza padroni” sarà sempre
aperta alla popolazione attraverso varie attività: laboratori didattici per
bambini e non solo, un calendario di visite alla fattoria sul modello dei
percorsi di Garanzia Partecipata, programmi d’integrazione della disabilità,
momenti di festa e convivialità legati alle produzioni stagionali, ma
soprattutto attraverso un confronto costante tra l’Assemblea dei residenti e
l’Assemblea plenaria territoriale per Mondeggi Bene Comune – Fattoria senza
padroni, in un virtuoso rapporto di reciproca dipendenza.
Questa mutua dipendenza dovrà essere sempre salvaguardata.
A scuola dai contadini
Sappiamo bene che non si può parlare di ritorno alla terra,
di “rinascimento dell’agricoltura” se non si creano momenti di trasmissione
gratuita dei saperi e delle buone pratiche.
Per questo riteniamo che il villaggio contadino che potrebbe
nascere a Mondeggi sarebbe il luogo ideale per una scuola di vita contadina.
Questo tipo di attività formativa potrebbe inoltre avvalersi
del contributo dell’Ass.WWOOF Italia, vista la sua esperienza pluridecennale
nel mettere in relazione le persone che vogliono fare pratica di agricoltura
naturale e le aziende che già la fanno.
Oltre alla conoscenza diretta delle pratiche agricole la
Scuola Contadina potrebbe anche offrire incontri e seminari dedicati, proporre
mostre e presentazioni di libri sulla civiltà contadina e l’agricoltura
naturale, convegni, mostre e tutte quelle attività volte alla promozione dei
contenuti della presente Carta dei Principi e degli Intenti in collaborazione
con tutti coloro che vi ci si riconoscono.
Il parco della condivisione
Perché Mondeggi sia un luogo di condivisione, avanziamo
queste proposte:
- dedicare parcelle di seminativo ad orti sociali e
condivisi, assegnati dalle assemblee a gruppi di famiglie o singoli che
vogliano dedicarsi all’autoproduzione di almeno una parte del proprio
fabbisogno alimentare;
- creare un vivaio “popolare” contadino per la produzione di
piantine biologiche che vada incontro alle esigenze dei piccoli produttori,
degli amatori e di chi produce per l’autosostentamento e che possa coinvolgere
nel ciclo produttivo anche persone in difficoltà. Il vivaio avrà inoltre le
funzioni di recupero del germoplasma, valorizzazione della biodiversità agraria
e vegetale, di banca del seme, riproduzione di varietà rare o antiche, luogo d’incontro,
confronto e scambio di conoscenze sui semi/marze, innesti, lieviti ed
esperienze su tempi, modi e tecniche colturali senza utilizzo di prodotti
chimici di sintesi;
- allestire un apiario didattico dove poter osservare in
tranquillità il volo delle api;
- allevare animali dedicati sia a fini produttivi che
terapeutici nei principi del benessere reciproco;
- allestire uno spazio dedicato al gioco dei piccoli e dei
meno piccoli;
- realizzare un teatro di paglia dove organizzare nel
periodo estivo rassegne di teatro, musica e balli nell’aia e dinamicamente
tanto altro;
- fare di Mondeggi il centro di itinerari di conoscenza e di
pratica amichevole dei valori del Territorio, a cominciare dalle terre
pubbliche di Bagno a Ripoli.
- organizzare momenti di raduno nazionale delle reti
contadine.
Mondeggi Bene Comune – Fattoria senza padroni sarà un
percorso di sperimentazione sociale in continua evoluzione.
Questo documento è il risultato di un percorso
partecipativo, che si è sviluppato attraverso molteplici incontri, iniziative e
assemblee pubbliche.
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