Goya
Dal sito http://cedocsv.blogspot.it/2014/03/il-carnevale-dai-saturnali-alla-festa.html prendiamo questo interessante pezzo:
Guido Araldo
Aspetti meno noti del
carnevale
“A Carnevale ogni
scherzo vale!” e, anche, “A Carnevale ogni legge vale!”
Sostanzialmente è la componente caotica dell’uomo e dell’umanità
che nel periodo del Carnevale per uno o più giorni affiora e trionfa
sulla sua parte razionale: uno sfogo irrazionale necessario,
soprattutto in società rigidamente codificate come quelle europee
medioevali.
L’origine del Carnevale
è molto antica: lo si potrebbe definire un “residuato storico”,
persistente nella civiltà occidentale poiché trae spunto dalla
reminiscenza del Caos greco. Per quanto riguarda la Grecia antica, le
feste corrispondenti al Carnevale e ai Saturnali romani erano quelle
dionisiache, note con il nome di antesterie, che venivano organizzate
durante l’equinozio di primavera, caratterizzate dal fastoso
passaggio di un carro che alludeva all’armonia del cosmo instaurata
da Crono, dopo il caos primordiale. Ma l’origine di questa festa
era ancora più antica!
E’ noto che a Babilonia
si teneva un’analoga processione concomitante con l’equinozio di
primavera, quando cominciava l’anno nuovo. Una cerimonia
sostanzialmente religiosa che rievocava la lotta di Marduk, dio
dell’armonia cosmica, contro il drago Tiamat, simbolo del caos
primordiale. In questa lotta il dio Marduk, salvatore dell’umanità,
moriva per risorgere dopo tre giorni sotto la luna piena di primavera
e, non a caso, le cerimonie equinoziali a Babilonia duravano tre
giorni. In quel maestoso corteo sfilavano i carri del sole, della
luna e dei segni zodiacali (ecco l’origine dei carri allegorici),
attestanti il divenire del tempo e l’armonia del cielo. Secondo
alcuni studiosi nella festa equinoziale babilonese i festeggiamenti
consentivano una libertà sfrenata, inconcepibile in altri momenti
dell’anno, con il momentaneo capovolgimento dell'ordine sociale e
morale.
I Saturnali romani
traevano origine da quelle antiche tradizioni, con una componente
etrusca rimasta ignota, ed erano momenti di follia collettiva o, più
precisamente, si trattava di “feste liberatorie” che avvenivano
“semel in anno” (una volta all’anno) di energie singole e
collettive altrimenti incontrollabili. Esattamente come accadeva nei
carnevali medioevali, anche nei Saturnali c’era il “giorno dei
folli”durante il quale le regole sociali venivano ribaltate e gli
schiavi prendevano il posto dei padroni. Il mondo, insomma, si
rovesciava. Ed ecco riaffiorare l’allegoria originaria del Caos!
Tanto nei riti
babilonesi, che nei Saturnali e nel Carnevale era presente
un’alterazione dell’equilibrio sociale: si trattava
sostanzialmente di un momentaneo stravolgimento dell’armonia
cosmica, determinato dal ribaltamento dei valori tradizionali.
Per certi versi si tratta
di un momento di alterazione cosmica, in cui affiora la componente
“caotica e anarchica” dell’umanità, che per un giorno ottiene
libero sfogo; quasi una necessità fisiologica percepita a livello
d’inconscio, e proprio per questo motivo trovava una momentanea
esternazione, per quanto caduca. Il popolo si esaltava, si eccitava
per la palese alterazione del mondo in cui era costretto a vivere.
L’allegria si faceva contagiosa mentre le autorità istituite, poco
importava se laiche o ecclesiastiche, per un giorno volgevano lo
sguardo da un’altra parte.
I balli sfrenati, le
acclamazioni fittizie del “princeps” nei Saturnali e di “re”
e “regine” nel Carnevale, scelti bizzarramente per un giorno tra
gli strati più bassi della società, se non tra gli emarginati; i
rituali dissacranti, addirittura blasfemi, favorivano una sorta di
liberazione corale, che l’autorità istituita era consapevole di
non poter reprimere per tutto l’anno e proprio i Saturnali prima e
il Carnevale poi si può affermare che servissero da valvola di
sfogo.
E’ noto, soprattutto in
area francofona e germanica, che “la festa dei folli” si spingeva
ad esagerazioni estreme; come il conferimento a uno schiavo ribelle,
se non a un criminale, delle insegne del comando, per poche ore, con
tutto quello che ne conseguiva; salvo poi, in alcuni casi, eseguire
la condanna a morte dello stesso schiavo o del criminale, quando la
festa era terminata. A questo punto “l’ordine” s’imponeva
nuovamente sul caos, ristabilendo l’armonia delle istituzioni e
delle tradizioni, per un altro anno.
I Saturnali romani
corrispondevano nel calendario al “Ciclo dell’Avvento”
cristiano, seppure con finalità totalmente diverse. Queste feste,
come attestato dal nome stesso, erano organizzate in onore dal dio
italico Saturno, per certi versi corrispondente al greco Crono: il
dio del tempo che fluisce, che divorava le ore e le stagioni,
similmente ai figli. Nei giorni del solstizio d’inverno Crono –
Saturno, signore del tempo, rievocava la mitica età dell’oro in
cui sarebbe vissuta l’umanità in un’imprecisata epoca remota,
nella speranza che questa favolosa età felice tornasse ad
affacciarsi sul mondo.
I Saturnali si svolgevano
tra il 17 e il 24 dicembre, periodo che corrisponde alle giornate più
corte dell’anno, dalle notti lunghissime, e pertanto si
configuravano come “festeggiamenti in attesa dell’avvento del
solstizio” e, più ancora, della rinascita del sole che il 25
dicembre riprendeva ad allungare il suo cammino in cielo: Solis
Invicti dies natalis. Ecco, inequivocabile, l’origine del Natale!
I Saturnali, per la
verità, chiudevano “il periodo dei Brumalia” che cominciava
molto prima, il 24 novembre, e durava praticamente un mese: i 30
giorni che precedono il solstizio. Per certi versi i giorni più
tristi dell’anno, compensati da festeggiamenti caratterizzati da
vivaci banchetti, musiche e danze attorno ai focolari, all’insegna
della gioia e della spensieratezza. In società antiche basate
sull’agricoltura, sulla caccia, sui commerci e anche sulle guerre,
era questo il periodo in cui tali attività s’interrompevano e la
lunga festa dei Brumalia costituiva l’occasione di grandi agapi
conviviali, che giungevano all’apice durante i Saturnali. Tali
feste vennero definitivamente soppresse piuttosto tardi, rispetto
alle altre ricorrenze pagane: dettaglio che attesta quanto fossero
radicate nella popolazione. A sopprimerle provvide infatti
l’imperatore Giustiniano all’inizio del VI secolo, sostituite con
le più parche festività dell’Avvento natalizio.
Tornando a Demetra e
Dioniso, “i signori dei Brumalia”, vale la pena ricordare che a
queste due ataviche divinità, micenee se non minoiche, erano
consacrati il pane e il vino: simboli che riaffiorarono
inequivocabilmente nell’eucarestia cristiana, seppure in un
contesto totalmente diverso. Probabilmente a mediare questo passaggio
furono i riti misterici di Eleusi, focalizzati proprio sul grano e
sul vino.
E’ noto che durante i
Brumalia venivano uccisi i maiali, importante fonte di sostentamento
nel periodo invernale, e si tenevano grandi riti propiziatori nei
granai, altra fonte primaria di sostentamento. Inoltre veniva
spillato il primo vino … Ecco il motivo dell’abbinamento di
Demetra – Cerere a Dioniso - Bacco! L’augurio più ricorrente
proferito tra i commensali era il seguente: Vives annos! (Vivi per
anni!). Un augurio particolarmente pertinente dopo l’introduzione
del calendario giuliano (anche se sarebbe più corretto definirlo
calendario alessandrino), che stabilì l’inizio dell’anno nuovo
alle calende di Giano, ovvero il primo di gennaio (per noi il
Capodanno).
Come già accennato, la
convivialità dei Brumalia raggiungeva l’apice durante i Saturnali,
quando i banchetti acquisivano caratteristiche orgiastiche, con
implicazioni rituali di buon auspico per l’anno nuovo, soprattutto
per quanto riguardava la salute e i raccolti. In tale occasione non
soltanto si augurava reciprocamente benessere e prosperità, ma si
accompagnavano gli auguri con le strenne: i regali. Esattamente come
avviene ancora oggi; anzi, nella società contemporanea questa
antichissima tradizione si è trasformata nella più importante
occasione commerciale dell’anno.
Tornando al momento dei
Saturnali come occasione di sovvertimento dell’ordine sociale, è
opportuno ricordare che il “dies principis” corrispondeva al
solstizio d’inverno: il momento in cui gli schiavi acquisivano la
libertà per un giorno e, addirittura, potevano impartire ordini ai
loro padroni; tenendo però presente che, finita la festa, avrebbero
pagato le conseguenze di gesti eccessivamente audaci. Il princeps
veniva solitamente sorteggiato secondo eccentrici rituali, proprio
come accadeva in seguito con “i re” e “le regine” dei
carnevali medioevali: usanza protrattisi fino in epoca barocca e
illuministica. In base alle scarse testimonianze pervenutaci, il
princeps indossava una divisa regale, solitamente sgargiante,
preferibilmente rossa, che rievocava le divinità Crono - Saturno e
Ade - Plutone, quest’ultima custode dei semi nella terra, sparsi in
autunno e prossimi a sbocciare in primavera. Va precisato pertanto
che nei Saturnali, per quanto irriverenti e orgiastici, la
connotazione religiosa era prioritaria rispetto a quella della festa
fine a se stessa. Durante i Saturnali Roma era percorsa da imponenti
e chiassose processioni notturne al seguito del princeps!
Va inoltre ricordato che
durante i primi giorni dei Brumalia si credeva che le divinità del
sottosuolo, ctonie e telluriche, molte delle quali di origine
etrusca, emergessero dalla terra ormai assonnata e vagassero in
corteo per le necropoli o lungo le strade disseminate di sarcofaghi.
Se queste divinità fossero state propiziate con doni, quando
sarebbero tornate nel sottosuolo si sarebbero ricordate degli umani e
avrebbero protetto le sementi, soprattutto in occasione delle
micidiali gelate primaverili, favorendo un buon raccolto.
Lo storico delle
religioni e maestro d’esoterismo il rumeno Mircea Eliade annotava:
“I Saturnali e le orge che li caratterizzavano denotano elementi
tipici connessi alla fine dell’anno e all’attesa dell’anno
nuovo: un momento di passaggio mitico dal Caos alla
Cosmogonia".
“Le feste
carnevalesche diffuse presso i popoli indoeuropei, mesopotamici
e anche in altre civiltà racchiudono una valenza purificatoria e
dimostrano il bisogno profondo di rigenerarsi periodicamente,
abolendo il tempo trascorso riattualizzando la Cosmogonia".
“L'orgia connessa ai
riti Saturnali è una regressione nell' oscuro, una
restaurazione del caos primordiale che, in quanto tale, precede
ogni creazione” e l’anno nuovo corrisponde sostanzialmente a
una “nuova creazione”.
"A livello
cosmologico l'orgia corrisponde al Caos…” e nell’orgia è
insito anche lo sconvolgimento delle condizioni sociali con lo
schiavo promosso padrone o con il giullare che diventa re. A
Babilonia all’inizio dell’anno, concomitante all’equinozio di
primavera, si deponeva il re per un giorno, giungendo persino ad
umiliarlo.
I riti babilonesi, le
antesterie greche, i saturnali romani, il carnevale cristiano
derivano dalla stessa rievocazione cosmica: la ciclicità della
natura, il rincorrersi degli anni e, anche, il principio del caos e
la fine cosmica ora individuata nel diluvio universale e ora
nell’apocalisse, con successiva rinascita.
Per quanto i cristiani
avessero maturato un giudizio profondamente negativo verso il
paganesimo, il subconscio o, se si preferisce, l’archetipo
collettivo non fece tabula rasa del passato, come avrebbe preteso la
nuova teocrazia dominante il mondo, e fu così che molte tradizioni
lentamente riaffiorarono.
Si trattò di un processo
di riappropriazione culturale lento e progressivo, ma inarrestabile.
Il cristianesimo dovette venire a patti con il paganesimo, per quanto
vilipeso. Anzi, per dirla tutta, dovette conviverci e così lo
sconfitto politeismo, cacciato dalla porta, tornò dalla finestra con
il culto dei santi.
L’usanza delle maschere
è anch’essa di origine romana: lo scrittore Lucio Apuleio nell’XI
libro delle sue Metamorfosi riferisce che nell’ultimo giorno
dell’anno, consacrato alla dea Iside (alla quale era connesso il
mito di rinascita del fratello Osiride, l’anno nuovo), Roma era
percorsa da cortei mascherati al seguito di un uomo camuffato da
caprone, noto come Mamurio Veturio, percorso con fronde. Il nome
Veturio lascia trasparire un’origine sabina di questa usanza,
mischiatasi poi al culto di Iside, e questo personaggio animalesco
corrisponde all’anno vecchio espulso dalla città per far posto
all’anno nuovo. Anche in questa festa sussisteva uno sfogo, per
quanto labile, delle pulsazioni irrazionali che, altrimenti,
avrebbero potuto esplodere in maniera incontrollabile. Insomma, al
caos andava concessa una minima soddisfazione!
Nelle manifestazioni
carnevalesche medioevali, oltre al già citato “giorno dei folli”
affiorava un’altra manifestazione assai inquietante: “la festa
dell’asino”. Similmente ai saturnali “il giorno dei folli”,
durante il quali si provvedeva ad eleggere “il re” e “la
regina” del Carnevale, la festa era corale. Sussistono
documentazioni che attesterebbero la partecipazione del basso clero
il quale, in sintonia con la comunità, si abbandonava ad
atteggiamenti sconvenienti, disdicevoli e scurrili, prendendo di mira
anche le autorità, inclusa la gerarchia ecclesiastica. In simili
frangenti accadeva persino che la stessa liturgia fosse ribaltata e
dissacrata.
Diversa e più
inquietante è “la festa dell’asino” nel corso della quale
l’asino veniva introdotto addirittura in chiesa, dove occupava un
posto d’onore, a volte persino sull’altare, e riceveva attestati
di devozione. In un simile contesto le forze brute della natura,
simboleggiate dall’asino, soppiantavano gli stessi santi. In
entrambi i casi si trattava indubbiamente di eccessi; ma queste
parodie sacrileghe, straordinarie in un’epoca di generale
intolleranza, erano tollerate poiché inconsciamente considerate
salutari per l’intera società.
In merito alla “festa
dell’asino” va ricordato che nei bestiari medioevali la figura di
questo docile e umile animale acquisiva valenze stereotipate
negative; non a caso era ed è tuttora presente, in contrapposizione
al bue, nell’ambientazione del presepe, dove il bue e l’asinello
simboleggiano rispettivamente le forze positive e negative della
natura. Analoga contrapposizione allegorica si riscontra al termine
della parabola terrena del Messia, nel momento della sua
crocefissione, allorché la croce del Redentore venne issata tra
quelle del buono e del cattivo ladrone. Per certi versi lo stesso
Gesù in groppa all’asino nel suo ingresso trionfale a Gerusalemme
allude al trionfo terreno delle forze malefiche: un trionfo caduco e
fuorviante, poiché il vero regno del Salvatore non è di questo
mondo!
Più pertinente il
racconto dell’asino d’oro (asinus aureus), meglio noto come “Le
Metamorfosi” dello scrittore latino Lucio Apuleio, artefice del
primo romanzo a noi pervenuto: un romanzo esoterico, parallelo al
"contemporaneo" Pinocchio. Infatti in questo romanzo il
personaggio, che ha lo stesso nome dell’autore, regredisce a bestia
in seguito ad una magia finita male e in quale bestia s’incarna?
Nell’asino! Con tutte le valenze negative che lo caratterizzano.
Soltanto dopo molte peripezie, alcune veramente sconce, l’incauto
Lucio rinasce umano, simile a Pinocchio che diventa bambino, tramite
l’ingestione non casuale di una ghirlanda di rose consacrate a
Iside… A questo punto, come non ricordare che durante “la festa
dei folli” i partecipanti indossavano un copricapo dalle lunghe
orecchie, che evocavano quelle dell’asino?
Tutt’altra storia,
invece, i riti propiziatori carnevaleschi con sacrifici umani che a
sprazzi affiorano dal più profondo medioevo, con vagabondi o
lebbrosi bruciati vivi all’interno di fantocci di paglia… Mentre
invece il semplice e innocuo falò del fantoccio del carnevale
rievoca la fine di un ciclo e l’inizio di un altro: nella
tradizione cristiana l’inizio della quaresima che, a ben vedere, è
il periodo dell’avvento di Pasqua, festività inequivocabilmente
connessa all’equinozio di primavera.
A ben considerare, il
Carnevale non era l’unica festa “caotica”, proveniente da
tradizioni ancestrali, seppure ne fosse indubbiamente la più
importante. Tra le altre feste sono da annoverare: il ballo dei nudi,
i bäl di patanû sulle Langhe, tipici al solstizio d’estate,
quando un po’ ovunque ardevano i falò crepuscolari di san Giovanni
Evangelista. Un ballo che fu a lungo oggetto di tremendi anatemi
vescovili, ma debellato soltanto l’azione punitrice Santa
Inquisizione fu estesa anche alla magia e non soltanto all’eresia.
Le stesse processioni
della settimana santa, a volte sadiche per le spettacolari
autoflagellazioni e le pubbliche prove di sofferenza; proibite
soltanto a partire dalla Controriforma e con grande difficoltà. Le
terrificanti processioni nel giorno dei morti, alle quali furono
aggiunte le danze macabre dopo la devastante pestilenza del 1348,
nota come la peste nera.
Feste paesane
estremamente suggestive, soprattutto concomitanti con il santo
patrono, dove sovente si addiviene ancora oggi a spettacolari
esibizioni di forza o di coraggio, oppure a gare violente tra le
varie fazioni cittadine o borghigiane. Le stesse vigilie delle feste
più importanti, sovente degenerate in lunghe notti “d’attesa
della festa” all’interno delle chiese in assoluta promiscuità,
che le autorità ecclesiastiche ebbero difficoltà non soltanto a
bandire, ma a controllare.
In maniera giovale, ma
sempre provenienti da un passato remoto, sicuramente precristiano,
rientrano in queste “feste caotiche e irregolari” la quaresimale
questua delle uova e il canto di maggio, inneggianti alla bella
stagione primaverile e, anche, a un buon raccolto.
In merito alle maschere
val la pena di segnalare che sovente esse racchiudono dei significati
apotropaici, nel senso che chi le indossa assume le caratteristiche
dell'essere “soprannaturale” o “bestiale” rappresentato dalla
maschera. Se poi la maschera raffigura uno scheletro, ecco affiorare
l’allegoria delle anime dei morti che tornano a visitare i vivi
oppure traspare semplicemente l’esortazione pulvis es et polverem
recerteris (polvere sei e polvere tornerai). Ma in molte maschere c’è
dell’altro, molto più profondo. Le deformità tipiche della
bestialità sono legittimate a manifestarsi ed esteriorizzarsi in
concomitanza con il Carnevale e si può supporre che queste maschere
“bestiali” se non “demoniache”, quasi sempre scelte in piena
libertà, lascino pubblicamente trasparire la vera natura profonda di
chi le indossa, senza averne la minima consapevolezza sia da parte
dell’interessato che dello spettatore. In tal caso la maschera, che
dovrebbe occultare il volto esteriore dell’individuo, finisce per
palesare il suo vero volto interiore!
Una considerazione
storica a questo punto acquisisce una notevole importanza. Quando nel
tardo Medioevo si cominciò a contenere e poi a sopprime le grandi e
corali feste grottesche, si assistette a un “rigurgito” della
stregoneria e della negromanzia. Soprattutto nel Rinascimento,
considerato un periodo radioso dell’intelligenza umana, si verificò
un’autentica espansione della stregoneria in dimensioni ignote nel
Medioevo. A mano a mano che scomparivano ataviche feste triviali,
grasse e grossolane, per loro stessa natura innocua e per lungo tempo
lecite, sempre più affioravano deliranti “sabba stregoneschi”,
dove tutto avveniva “al rovescio”, per certi versi come nel
“giorno dei folli” di Carnevale, ma ormai privi dei Landmark che
sostanzialmente li regolamentavano.
René Guénon ricorda che
“C’erano anche, in certe civiltà tradizionali, periodi speciali
in cui, per ragioni analoghe al Carnevale, si consentiva alle
“influenze erranti” di manifestarsi liberamente, prendendo
comunque tutte le precauzioni necessarie in un caso simile. Queste
influenze corrispondevano naturalmente, nell’ordine cosmico, a quel
che è lo psichismo inferiore nell’essere umano…”
In epoca rinascimentale
fiorirono grandi ed eleganti processioni: a Ferrara con carri
denominati “i trionfi” rievocanti i Tarocchi; a Firenze le
processioni erano accompagnati da canti carnascialeschi invitanti
alle danze. Il fenomeno ebbe una tale diffusione che lo stesso
Lorenzo il Magnifico si cimentò nella composizione di uno di questi
canti, con il titolo “Il trionfo di Bacco e Arianna”. A Roma,
invece, si teneva la “corsa dei berberi” ovvero dei cavalli
arabi, e “la gara dei zoccoletti” durante la quale, dopo il
tramonto, i partecipanti cercavano di spegnere reciprocamente i ceri
accesi che tenevano in mano.
In ultimo è d’uopo
precisare che la parola carnevale deriva da “carnem vale” ovvero
“addio alla carne”; poiché il giorno successivo il martedì
grasso è quello delle “ceneri” in cui comincia la Quaresima,
durante la quale per 40 giorni era vietata la carne. Pare che il
primo a citare in una sua opera la parola "carnevalo" sia
stato nel 1200 il trovadore Matazone da Caligano, autore del Detto
dei villani”.
A questo punto auspico
che siano tollerate alcune personali riflessioni conclusive. Nella
società contemporanea, sempre più identificabile nel villaggio
planetario, queste profonde tracce del passato, per quanto
anacronistiche, affiorano saltuariamente in maniera incontrollata,
non più codificata, e con caratteristiche sempre caotiche,
sconfinanti nella superstizione.
Lo stesso Carnevale, che
spudoratamente s’inoltra sempre di più nella Quaresima, va
progressivamente perdendo i suoi caratteristici tratti psicologici e
sociali, riducendosi a una triste esibizione di maschere e carri
allegorici ridondanti di musica, dove lo sballo individuale, a
cominciare dall’ubriacatura, subentra alla gioia collettiva. Come
negare che, a parte i bambini, il Carnevale non suscita più
l’interesse delle folle e si è ridotto, laddove persiste, a puro
evento turistico?
Purtroppo, di fronte
all’attenuarsi dello sfogo insito nell’antica carica “anarchica
e caotica” collettiva, il disordine soggettivo e anche oggettivo,
coinvolgente l’intera società e gran parte delle coscienze, si va
spalmando su tutto l’anno e in tutto il mondo. Ormai è palesemente
impossibile “circoscrivere” il disordine, il caos, rinchiudendolo
entro limiti codificati e ben definiti; poiché il caos sta assumendo
progressivamente una diffusione spaziale e temporale costante e
incontrollabile. Per certi versi ne è un
esempio, al riguardo, la progressiva decadenza dei programmi
televisivi, dove peraltro il “carnevale” è quotidiano, senza
nessuna decenza di “quaresima” alternativa.
Le stesse feste sono
scomparse! E quelle che persistono, smarrita la propria identità,
sono laidi simulacri di ciò che erano in passato; prive del “senso
estetico” e del pathos che le permeava, ridotte a mera funzione
commerciale. Siamo indubbiamente di fronte a profonde trasformazioni
oggettive e anche soggettive, per la verità assai poco rassicuranti.
Da un secolo il mondo sta cambiando rapidamente come mai è successo
in passato, a tutte le latitudini e longitudine, e questo mondo nuovo
va caratterizzandosi progressivamente in un sinistro “carnevale
perpetuo” che richiama, sotto certi aspetti, gli ultimi tempi
dell’impero romano!
Guido Araldo
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