17 marzo 2014

UNA NUOVA STORIA DEL MEDITERRANEO


Marina Montesano
L'età d'oro delle rotte nel “mare nostrum”
Cos’è il Medi­ter­ra­neo? È, in primo luogo, un mare cir­con­dato da terre, più caldo e più pro­tetto dalle intem­pe­rie di quanto non siano gli oceani aperti, dotato di una sua sto­ria plu­ri­mil­le­na­ria, luogo d’origine di alcune fra le civiltà più anti­che della sto­ria dell’umanità. Mare nostrum dell’impero romano, fu modi­fi­cato dalla ven­tata isla­mica che nel giro di un ven­ti­cin­quen­nio, fra l’Egira e la metà del secolo VII, can­cellò l’impero per­siano e costrinse quello romano-bizantino a rive­dere tutta la sua poli­tica ter­ri­to­riale e difen­siva, obbli­gan­dolo ad abban­do­nare la costa afri­cana e spar­tire con essa una talas­so­cra­zia fino ad allora indi­scussa.
Al vol­gere del primo Mil­len­nio dell’era cor­rente il grande com­mer­cio medi­ter­ra­neo era infatti sal­da­mente nelle mani dei mer­canti bizan­tini e soprat­tutto arabi. Anche se le merci più pre­giate pro­ve­ni­vano dal con­ti­nente asia­tico, i traf­fici medi­ter­ra­nei ave­vano un seg­mento impor­tante anche nella por­zione occi­den­tale del Medi­ter­ra­neo, una sorta di imper­fetto trian­golo che col­le­gava Sici­lia, Magh­reb e al-Andalus.
Gli archivi della Geniza del Cairo con­ser­vano docu­menti dai quali emerge una pre­senza pre­coce di mer­canti occi­den­tali che si muo­ve­vano fra que­sti porti, e anche oltre. Mer­canti baresi, vene­ziani, amal­fi­tani, pisani e geno­vesi sono atte­stati in molti porti del Medi­ter­ra­neo bizan­tino e arabo già dal X secolo. Dal suc­ces­sivo, tut­ta­via, alcune fra que­ste città si fecero più intra­pren­denti, acco­stando brevi spe­di­zioni mili­tari al nor­male traf­fico dei com­merci. Da quel momento l’Europa occi­den­tale, nel frat­tempo dive­nuta qual­cosa di nuovo e dif­fe­rente rispetto alla pars occi­den­tis dell’impero romano, tornò a essere una delle pro­ta­go­ni­ste nelle acque del Medi­ter­ra­neo. Fino all’espansione otto­mana, fino all’inaugurazione dell’interesse per la cir­cum­na­vi­ga­zione dell’Africa e per le nuove rotte atlan­ti­che, che non decre­ta­rono tut­ta­via il tra­monto del Medi­ter­ra­neo, ma che certo vi appor­ta­rono modi­fi­che rile­vanti.
Se può sem­brar dif­fi­cile sin­te­tiz­zare tutto que­sto in un solo volume, l’idea è affa­sci­nante: ci prova uno spe­cia­li­sta del set­tore, David Abu­la­fia, ne Il grande mare. Sto­ria del Medi­ter­ra­neo (Mon­da­dori, 696 pp., 35 euro), che si apre appunto con il Medi­ter­ra­neo d’epoca pro­to­sto­rica per poi con­durre il discorso fino ai nostri giorni.

È chiaro che per Abu­la­fia l’età d’oro è costi­tuita soprat­tutto dal basso medioevo, ossia dall’epoca che fino a que­sto momento l’ha inte­res­sato come stu­dioso. Durante quei secoli, in alcune città mari­nare ita­li­che – alle quali se ne aggiun­ge­ranno poi alcuni pro­ven­zali, come Mar­si­glia, o cata­lani come Bar­cel­lona – si svi­lup­pa­rono, in com­plesso rap­porto con l’antica ari­sto­cra­zia urbana o quella nuova d’origine basso-feudale inur­bata da poco, ceti dediti spe­ci­fi­ca­mente ad atti­vità mer­can­tili e arma­to­riali. Ad essi si deve l’affermarsi di un nuovo e più audace modo di fare affari: quello di riu­nirsi in «com­pa­gnie», «com­mende», socie­ta­tes, met­tendo in comune capi­tali e accet­tando certi rischi allo scopo di rea­liz­zare pre­cisi gua­da­gni.
Poi­ché i grandi com­merci si svol­ge­vano per vie marit­time, essi ave­vano natu­ral­mente biso­gno di navi e di navi­ganti: ed ecco che le città marit­time si riem­pi­rono di can­tieri con i rela­tivi lavo­ra­tori e di mari­nai. Fu que­sta una rivo­lu­zione eco­no­mica e in parte sociale. Non ancora tec­no­lo­gica, in quanto – salvo forse per le dimen­sioni – l’accresciuta mobi­lità marit­tima non con­dusse a sostan­ziali modi­fi­che nei tipi nau­tici, che con­ti­nua­rono a rispon­dere alle tra­di­zio­nali con­di­zioni di navi­ga­zione nel Mediterraneo.
Il capi­tolo cen­trale si apre con l’atrofia alto­me­die­vale e si con­clude signi­fi­ca­ti­va­mente con la «ser­rata» (1291–1350), ter­mine che Abu­la­fia mutua dalla sto­ria vene­ziana e che in realtà allude a tutto il periodo com­preso fra la caduta di Acri e la Peste Nera. Il rife­ri­mento a Vene­zia indica la cen­tra­lità di que­sta città per la sto­ria del Medi­ter­ra­neo, soprat­tutto nella sua parte orien­tale, come si evince anche dalla bella sin­tesi di Gior­gio Rave­gnani, Il doge di Vene­zia (il Mulino, 2013, 196 pp., 13,50 euro), che attra­verso l’istituzione lea­der della città adria­tica riper­corre la sto­ria di tutta una civiltà urbana e marit­tima, par­tendo dalle ori­gini per arri­vare fino all’ultimo doge di Vene­zia, Lodo­vico Manin, morto nel 1802.


È inte­res­sante notare come Abu­la­fia non sem­bri dare all’avanzata otto­mana e alla con­qui­sta di Costan­ti­no­poli del 1453 il signi­fi­cato di una cesura nella sto­ria del Medi­ter­ra­neo. Lo fu forse più nella dina­mica poli­tica interna all’Occidente, per quanto si evince da Le cro­ciate dopo le cro­ciate di Marco Pel­le­grini (il Mulino, 2013, pp. 384, 25 euro), un testo che ana­lizza il periodo Da Nico­poli a Bel­grado (1396–1456), come recita il sot­to­ti­tolo. Si tratta di una fase tar­diva del movi­mento cro­ciato, ovvia­mente legato all’espansione degli Otto­mani nel Medi­ter­ra­neo orien­tale e nei Bal­cani, alla quale in tempi recenti si tende a pre­stare mag­giore atten­zione che nel pas­sato. Tut­ta­via, anche se que­sta fase pre­senta carat­teri distin­tivi rispetto a quella delle cosid­dette cro­ciate del pieno medioevo, una sto­ria sulla lunga durata, qual è quella di Abu­la­fia, aiuta a col­lo­care l’ascesa otto­mana nella dina­mica più ade­guata rispetto a quanto non sem­bri fare Pel­le­grini, che resta invece anco­rato all’idea di una con­trap­po­si­zione fra Cri­stia­nità e Islam otto­mano: poli­tica se non sem­pre e non sol­tanto religiosa.
Lì dove invece Abu­la­fia, nel suc­ce­dersi delle civiltà che hanno popo­lato le acque e le sponde del Medi­ter­ra­neo, rie­sce a col­lo­care la pre­senza turca nell’economia com­ples­siva dello sce­na­rio tardo-medievale e primo-moderno, non come un corpo estra­neo, ma quale nuova pedina nello scac­chiere euro­me­di­ter­ra­neo, e dun­que in con­ti­nua inte­ra­zione con le città ita­liane e le potenze europee.
Il Manifesto – 18 gennaio 2014
David Abu­la­fia
Il grande mare. Sto­ria del Medi­ter­ra­neo
Mon­da­dori, 2013

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