Finalmente in italiano il saggio di Otto Pächt
sulla rivoluzione della pittura fiamminga del XV secolo.
Cesare De Seta
Van Eyck, i fratelli artisti che dissolsero il medioevo
Il Polittico di Gand
è tra i più grandi eventi dell’arte occidentale e chi non l’ha
visto si precipiti nel deambulatorio meridionale della cattedrale di
San Bavone. Il polittico fu dipinto per l’altare della cappella di
Joos Viyd: è in condizioni perfette, firmato e datato 1432, anno in
cui fu concluso da Jan Van Eyck. L’iscrizione ci dice che Jan
l’aveva ereditato dal fratello Hubert, pittore ancor più grande e
più anziano, morto nel 1426. Jan attese all’opera per ben sei
anni.
Il
primo, essenziale problema che pone Otto Pächt, in Van Eyck. I
fondatori della pittura fiamminga, Einaudi, con una bella prefazione
di Artur Rosenauer, è quale sia stata la parte dipinta da Hubert:
pone così il problema chiave di chi sia stato il vero fondatore
dell’Ars Nova, il creatore di una visione della realtà, «lo
scopritore del mondo fenomenico, percepibile a livello empirico»:
come scrive il grande storico della Scuola di Vienna (1902-1988), che
la vita dedicò al Maestro di Flémalle e ai fratelli Van Eyck,
dissentendo con motivate argomentazioni dall’erudita
interpretazione iconologica di Erwin Panofsky fin dal ‘56, e
ricostruendo il guado tra la tradizione medievale e una visione del
reale di nuovo conio.
Pätch
non ha dubbi nel sostenere che l’Adorazione dell’Agnello Mistico
sia di mano di Hubert più Jan, ma distinguere le mani di chi ha
cominciato e di chi ha concluso è impresa, dice l’autore,
destinata a fallire. Anche per i numerosi restauri che si sono
succeduti nei secoli. Seguire l’intarsio della lettura di Pächt è
impossibile, sia per la sbalorditiva capacità dell’autore di
risalire agli antecedenti che per i collegamenti incessanti alla
pittura nei Paesi Bassi in una stagione magica.
Tra
il 1428 e il 1429 Jan fu in Spagna e l’influenza del retablo è
percepibile nella sontuosa struttura compositiva del Polittico. Nello
scomparto centrale è Dio Onnipotente, a sinistra Maria e a destra
San Giovanni: agli estremi lati di questa solenne compositio sono gli
scomparti — intervallati da angeli che cantano e angeli musici —
con Adamo ed Eva.
Mai
s’è visto un Adamo così drammaticamente appagato; dopo aver
trasgredito il divino ordine, i suoi occhi sono perduti e sognanti,
presago certo della condanna che l’attende, ma ancora preso dalla
mela che ha appena morso nasconde il sesso con una foglia. Eva ha uno
sguardo dolente, in mano non ha una mela ma un limone o un limo dalla
corteccia rugosa e verde: il ventre è enfio sul corpo sottile, i
capelli scarmigliati da una furia amorosa già consumata.
Al
centro la Maestà divina è impassibile, impenetrabile, sovranamente
insensibile — come un’icona bizantina — al dramma che s’è
consumato dinanzi ai suoi occhi:sotto di lui la predella con
Adorazione dell’Agnello mistico, attorno all’altare una cerchia
di angeli, dinanzi una vera di pozzo, con ai lati due gruppi di
notabili, cavalieri, prelati e monaci oranti. Quattro più piccoli
scomparti nel registro inferiore illustrano gli Eremiti e Cristoforo
con i pellegrini a destra, dal lato opposto i Giusti Giudici (copia)
e i Cavalieri di Cristo.
Composizione
a cui sottende sapienza teologica e virtù di mano: sul fondo di
questa sublime scena si riconosce in asse con l’agnello la torre
della cattedrale di Utrecht, sulla destra si distende una Gerusalemme
goticizzata: dietro le colline altalenanti tra ciuffi d’alberi si
levano torri, cattedrali, absidi, cupole, pinnacoli che sono forse
segno della città terrena con le sue false gioie.
Chiusi
gli sportelli, compare al centro la Nicchia con finestrella
trilobata, asciugatoio, ramino e bacile di una sbalorditiva felicità
pittorica, così come la Bifora con veduta offre sul fondo uno dei
più straordinari scorci urbani del primo Quattrocento.
Il
paesaggio è tra i più straordinari scorci dell’intero
Quattrocento. Ed è secolo in cui i Van Eyck si misurano con Piero
della Francesca, l’Angelico e Paolo Uccello. Ai lati in basso il
donatore del polittico Joss Vijd e sua moglie inginocchiati. Il
volume di Pätch è l’esito delle sue ultime lezioni e nulla s’è
detto del primo capitolo dedicato al Maestro di Flémelle, a lungo
confuso con Rogier van der Weyden, e dell’ultimo capitolo dedicato
a Hubert e al Libro delle ore di Torino.
Una
magistrale lezione questa di Otto Pächt in cui s’apprezza il
dubbio che attraversa ogni affermazione e ha ragione Rosenauer
d’affermare che non di una monografia si tratta, ma di
“un’inchiesta storico-stilistica” sulla pittura dei Paesi
Bassi.
la
Repubblica – 4 gennaio 2014
Otto
Pächt
Van
Eyck
Einaudi,
2013
euro
68
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