12 marzo 2014

C. BRANCUSI: L'ARTE FA NASCERE LE IDEE



Volete capire davvero cosa intendeva Jung quando parlava di archetipi? Guardate le opere di Brancusi.

Rinaldo Censi

Brancusi, l'abbraccio della pietra

La a Colonna senza fine è alta 29 metri e 30 cen­ti­me­tri. Ognuno dei suoi quin­dici rom­boe­dri misura un metro e 80 e pesa 860 chili, e due metà di rom­boe­dro segnano le estre­mità. Ese­guiti in una fon­de­ria di Petro­sani, i moduli in fusione sono stati infi­lati su un’asta di acciaio soli­da­mente pian­tata nelle fon­da­menta, infi­lati ’come perle’, diceva Bran­cusi». Sgabelli-clessidre, la Porta del Bacio, Tavola del silen­zio: Serge Fau­che­reau ha pro­ba­bil­mente scritto il testo più esau­stivo riguardo a quella com­po­si­zione di opere, tra scul­tura e archi­tet­tura, che defi­ni­sce l’insieme di Tîrgu-Jiu, cit­ta­dina rumena, non distante dal luogo dove Con­stan­tin Bran­cusi è nato, il 19 feb­braio del 1876.

C’è chi ha visto in que­sta colonna, la più alta mai con­ce­pita fino alla prima metà del Nove­cento (viene costruita tra il 1937 e il 1938, e quando Fau­che­reau ne scrive, nel 1994, il suo colore giallo dorato è già quasi dis­solto in uno strano beige) una varia­zione rispetto a forme cano­ni­che pre­senti sul ter­ri­to­rio rumeno; c’è anche chi vi ha rin­trac­ciato (ver­sante «avan­guar­di­sta») rimi­ni­scenze d’arte negra o moder­ni­sta. 

 Qual­cun altro invece, forse più accorto, ha ritro­vato in que­sta colonna l’amore di Bran­cusi per linee avi­formi: una pas­sione per il volo. Per Pon­tus Hul­tén que­sta colonna sug­ge­ri­sce infatti il bat­tito d’ali di un uccello in ascesa ver­ti­cale. Una spe­cie di cro­no­fo­to­gra­fia, ma a tre dimen­sioni. Non ten­tava forse Etienne-Jules Marey di cogliere il volo di un uccello, la cui trac­cia e inscri­zione sarebbe rima­sta su pel­li­cola (o su lastra)? Oppure, come se que­sti quin­dici bloc­chi inca­sto­nati come un filo di perle fos­sero quin­dici foto­grammi acco­stati, infi­lati uno vicino all’altro.



Sarà per que­sto che Paul Sha­rits si è recato a Tîrgu-Jiu, nel 1984, per fil­mare l’insieme di scul­ture, e soprat­tutto la Colonna senza fine (Brancusi’s Sculp­ture Gar­den at Tîrgu Jiu)? Vi avrà forse colto una spe­cie di forma «metrica»? Qual­cosa col­pi­sce colui che la osserva, pro­prio per la sua inaf­fer­ra­bi­lità. Per Bran­cusi: «L’arte fa nascere le idee, non le ripro­duce. Vuol dire che un’opera d’arte vera nasce intui­ti­va­mente senza una ragione cono­sciuta prima, per­ché l’arte è la ragione stessa e non si può spie­gare a priori». 

Lo ricorda Fau­che­reau: «Dalla sua forma tra una forza incan­ta­to­ria che impres­siona il visi­ta­tore. Ma non è tutto. Secondo le varia­zioni del cielo, l’orientamento della luce, la distanza e l’angolo visuale, cam­bia colore e di forma. Nes­sun ser­vi­zio foto­gra­fico potrebbe ren­dere que­sta mobi­lità». Pre­senza fisica (la colonna è troppo sot­tile per age­vo­lare qual­siasi remi­ni­scenza fal­lica) e inces­sante senso di insta­bi­lità luminosa.

Sarà per que­sto che Bran­cusi ha comin­ciato a fil­mare con una lus­suosa cine­presa 35mm le sue opere (L’inizio del mondo, o Leda, Musa addor­men­tata, Prin­cess X) facen­dole roteare su se stesse, pro­prio per cer­care di cogliervi l’instabilità, l’instabilità della luce? Paul Sha­rits dal canto suo, si accon­ten­terà di cogliere la fisi­cità delle scul­ture raschiando il micro­fono della presa del suono sulla pie­tra. Suono grezzo, che sfonda la piat­tezza bidi­men­sio­nale delle riprese e lavora in pro­fon­dità, donando una terza dimen­sione alle immagini.



Que­sta diva­ga­zione serve a ren­dere conto di una felice ripro­po­sta, giunta da poco in libre­ria: si tratta della ristampa, aggior­nata, del volume Riga (n. 19*) dedi­cato a Con­stan­tin Bran­cusi, curato minu­zio­sa­mente da Elio Gra­zioli e Marco Bel­po­liti (mar­cos y mar­cos, 25 euro). Un volume esau­stivo, in grado di cogliere l’opera di Bran­cusi attra­verso diverse sfac­cet­ta­ture, tanto che l’insieme dei con­tri­buti lascia emer­gere appunto una sorta di varia­zione lumi­nosa, pri­sma­tica. 

Oltre al testo citato, potrete tro­varvi la tra­scri­zione del famoso inter­ro­ga­to­rio e con­tro inter­ro­ga­to­rio soste­nuto da Bran­cusi con­tro gli Stati Uniti, a pro­po­sito del suo Uccello nello spa­zio acqui­stato da Edward Stei­chen. Un testo mira­bile: una lezione teo­rica in una Corte della Dogana. E poi l’attenzione filo­lo­gica di Paola Mola a pro­po­sito della rice­zione di Bran­cusi in Ita­lia, Mir­cea Eliade e le mito­lo­gie di Bran­cusi, i ricordi di Henri-Pierre Roché, l’acuta rifles­sione di Michel Fri­zot riguardo al lavoro foto­gra­fico di Bran­cusi, una sorta di «scul­tura della super­fi­cie». 



E molto altro. Un poema di Mina Loy e poi di Jean Arp. E poi uno dei testi che hanno segnato un giro di boa nella let­tura dell’opera di Bran­cusi, ci rife­riamo al sag­gio di Rosa­lind E. Krauss, Bran­cusi e il mito della forma ideale. John Ber­ger e la sua let­tera da Parigi.

L’intervento più toc­cante resta quello di Ben­ja­min Fon­dane, poeta rumeno, scrit­tore e cinea­sta, poco cono­sciuto in Ita­lia. «Nulla prova, in effetti, che l’uccello, il gallo, il bam­bino di Bran­cusi siano delle opere d’arte; a prima vista sono sol­tanto ver­te­bre, pezzi di roc­cia, spic­chi di gesso, con­chi­glie vuote, fram­menti disar­ti­co­lati durante lo smon­tag­gio del globo, pura crea­zione di oggetti quasi nuovi che la natura, si direbbe, avrebbe potuto anch’essa creare se avesse potuto spin­gere il suo sogno tanto in alto fino a que­sta purezza (…) La vita ha il diritto di sgor­gare da una pie­tra?». Pare di sì.

Il Manifesto – 21 febbraio 2014

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