Rosi
racconta Volontè
Io socialista,
lui comunista due combattenti del cinema
Intervista di
Arianna Finos
«L’ultima
persona che mi ha ricordato Gian Maria non è un attore. È
papa Francesco». Francesco Rosi è un signore di novantun
anni, lucido e fin troppo esigente con la propria memoria. Nel
corso della lunga chiacchierata sull’amico Volonté,
nell’attico a un passo dal Quirinale, il regista napoletano
si stizzisce quando non trova la parola giusta o non conclude
rapidamente un concetto.
Per raccontare non
aspetta la domanda e parla al presente: «Ci tengo a dire
subito qualcosa. Gian Maria è un attore unico. Per tempi,
sguardi, intensità. Per la capacità unica di comunicare
l’elaborazione del suo pensiero, prima ancora di formulare la
battuta».
All’attore-autore,
che il 9 aprile 2013 avrebbe compiuto 80 anni e del quale il 6
dicembre ricorrono vent’anni dalla scomparsa, il Bif&st
(Bari international film festival, 5-12 aprile) dedica il più
vasto tributo mai realizzato, un festival nel festival,
ripercorrendo la carriera con mostre, proiezioni e incontri con
registi e attori.
Francesco Rosi
e Gian Maria Volonté hanno realizzato insieme cinque film,
da Uomini contro nel 1970 a Cronaca di una morte
annunciata, nel 1989.
«Uomini
contro è stato un film piuttosto impegnativo sulla prima
guerra mondiale. Al potere militare non importava granché
delle quantità enormi di soldati mandati a morire. Al momento
non fu amato, oggi è uno dei film che i ragazzi guardano di
più. Pensai a Gian Maria per il ruolo del tenente che cerca di
impedire il massacro dei suoi uomini. Lo scelsi per il modo in
cui i suoi occhi e il suo volto esprimevano l’intensità con
cui diceva le cose che pensava».
Fu l’incontro di
due personalità diverse, unite dalla sacralità del mestiere
inteso come preparazione e impegno. «Trascriveva tutte le
battute, tutta la sceneggiatura, anche quattro volte. Appuntava
su un tavolo da disegno tutte le battute e i contraddittori.
Durante una scena di Cristo si è fermato a Eboli, Paolo
Bonacelli non ricordava la battuta. “Riprendiamo, dicevo io”.
Proviamo ancora, ma l’amnesia continua. A un certo punto Gian
Maria, con un sorriso quasi giustificatorio dice: “Eh,
non ha studiato”».
Rosi si
sofferma sullo straordinario mimetismo del suo attore feticcio,
«era alla ricerca continua del dettaglio. In Il caso
Mattei durante la sequenza in cui il presidente dell’Eni
si sveglia in un albergo dopo una notte insonne e scende nella
hall, noto che Gian Maria cammina con i piedi piatti. Controllo
le foto di Mattei, e vedo che in una ha i piedi sistemati come
se li avesse piatti».
Sul set di Lucky
Luciano, «una mattina Gian Maria mi sorride e io
realizzo che ha un’altra bocca, completamente diversa. Si era
fatto fare un’applicazione speciale dal dentista. Quando
la bimba chiede “Sei Lucky Luciano?” lui sorride ed esce
fuori un ghigno terribile. Verso la fine del film ci raggiunge
la donna che era stata l’ultima amica del boss. Fissa Gian
Maria a lungo, gli occhi negli occhi, si gira verso di me e
dice: “È isso”, è lui».
Tra il regista
partenopeo e l’attore nato a Milano l’affinità
professionale è totale.
«Lo
accompagnavo dal mio sarto, dal mio barbiere. Mi piaceva che in
ogni nostro film avesse almeno un indumento mio, un cappotto,
una cravatta, una camicia. Anche per scaramanzia». Fuori dal
lavoro le frequentazioni non erano assidue, «avevamo entrambi
una casa al Villaggio dei pescatori a Fregene, andavamo in
spiaggia. Ma Gian Maria era un uomo chiuso. La nostra non è
una di quelle amicizie in cui ci si incontra per andare a
pranzo».
Volonté aveva fama
di carattere spigoloso:
«Non ho mai
trovato ragioni di contrasto con lui. Mai. Con Petri erano
molto amici, ma proprio questa intimità consentiva loro di
accanirsi l’uno contro l’altro. Noi l’abbiamo evitata.
Per ragioni politiche ci potevano essere momenti di contrasto,
specie durante la stagione del terrorismo. Io ero un socialista
riformista, lui un comunista idea-lista, se avessimo cominciato
a discutere sarebbe finita male».
Per entrambi c’era
la condivisione di un’idea di cinema civile, d’impegno.
Negli ultimi anni Volonté lavorava sempre meno, «sceglieva
solo i progetti che lo convincevano davvero. Infatti con me ha
fatto cinque film. Molte delle mie opere, oggi considerate
culto, non furono accolte bene. Quando uscì Le mani sulla
città, a parte gli applausi a Venezia, ci furono pernacchie:
le signore portavano il chiavino dei portoni per fischiarci
meglio».
Il ricordo più
bello è legato a Cristo si è fermato a Eboli.
«Vivemmo per
mesi in un paesino della Lucania. Mangiavamo tutti insieme, la
sera dormivamo nelle case dei paesani. Volonté andava a
giocare a carte con i macchinisti, gli elettricisti. Le sue
scelte mi ricordano papa Francesco che, da laico, ammiro. Gian
Maria frequentava la gente semplice, che aveva problemi nella
vita. Amava stare con quelli piuttosto, che cercare altri tipi
di compagnia».
La Repubblica – 7 marzo
2014
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