È uscito nelle sale cinematografiche il documentario di Walter Veltroni Quando c’era Berlinguer.
Oggi noi vogliamo provare a ripensare in modo critico al PCI di quegli anni partendo da un articolo apparso sul sito della rivista «Il ponte»:
Rino Genovese
Riparlando di Berlinguer
Enrico Berlinguer è morto trent’anni fa
in circostanze drammatiche, come un attore sulla scena. E Walter
Veltroni non gli rende certo un favore dedicandogli un film che più
brutto non si può: un’insensata agiografia priva sia di stile sia di
contenuti. Si pensi che l’unica “rivelazione” offerta dal film, in cui a
un certo punto sono inquadrate le pagelle del futuro segretario del
Pci, è che il piccolo Enrico, nato nel 1922, andava male a scuola: non
si sa se per semplice asineria o per spirito ribelle contro i metodi
educativi fascisti. Ciò che manca completamente – e pour cause,
si direbbe, essendo Veltroni uno degli affossatori della storia del
comunismo in Italia – è il tentativo anche minimo di un bilancio critico
circa la sua figura. Che non fu, al di là della onestà e della simpatia
umana universalmente riconosciute, quella di un uomo politico
innovativo, quanto piuttosto quella di un gestore alla fin fine immobile
di un patrimonio ideale, quasi un “italo Amleto” incapace di prendere
la decisione che avrebbe potuto davvero mutare la storia italiana: mi
riferisco a una rottura formale e ufficiale con il mondo sovietico,
anche a costo di spaccare il partito e di perdere voti.
Il Pci berlingueriano rimase uno strano
ibrido: socialdemocratico, se non addirittura liberaldemocratico,
nella sostanziale pratica politica e di amministrazione (ricordo qui
che, per uno come lo svedese Olof Palme, tanto per fare il nome di un
socialista europeo contemporaneo di Berlinguer, il superamento del
capitalismo mediante una strategia di riforme era un obiettivo del tutto
plausibile), e però ispirato al principio leninista del centralismo
democratico, legato al mito della rivoluzione d’ottobre (che solo da
ultimo, e con molte cautele, parve al segretario del Pci avere perso la
“spinta propulsiva”). Un singolarissimo “né carne né pesce” che finì con
l’incrementare il gioco degli specchi deformanti tipico della politica
italiana in cui nessuno è mai quello che è, consentendo al Psi di Craxi
(un personaggio di cui Berlinguer aveva chiaramente compreso le
potenzialità distruttive per il più antico partito italiano) di
stringere un’alleanza strategica con la Dc nella prospettiva
dell’anticomunismo; laddove sarebbe stato logico e conseguente
per Berlinguer, se non altro nell’ultima fase della sua vita, dichiarare
una rottura che avrebbe potuto aprire il sistema, senz’affatto
rinnegare quegli “elementi di socialismo” che – peraltro non si sa bene
come – pensava d’introdurre nella vita nazionale.
Del resto è proprio il senso di un’
“alterità” comunista che, sotto lo choc del golpe cileno, negli anni
settanta dettò la proposta del “compromesso storico”. È infatti un
partito collocato in una posizione molto delicata o, per dirla
sommariamente, che ha ragione di temere l’etichetta di agente dello
straniero, a essere obbligato a difendersi dalla violenza reazionaria
con l’unità nazionale. Un partito del socialismo europeo non nutre
timori del genere, può sviluppare la sua linea – perfino una linea di
progressivo superamento del capitalismo – come una delle opzioni
disponibili all’interno del sistema politico. Ma il Pci era proprio quel
partito che mai e poi mai sarebbe potuto andare al governo, nella
situazione internazionale data, senza provocare una reazione (come
finanche la morte di Moro, voluta dai poteri oscuri e dalla stessa Dc
dimostra e contrario): sicché il “compromesso storico”, ridotto
poi di fatto a un ingresso nella maggioranza di governo senza neanche
disporre delle sue leve (come invece fu, sia pure in minima parte, per
il Psi nel centrosinistra dei primi anni sessanta), fu soltanto
l’arrendersi a un’impasse – determinata senza dubbio anche dal
terrorismo, sia da quello di sinistra, indirettamente, sia da quello
della “strategia della tensione” elaborata più o meno consapevolmente
per stabilizzare la situazione al centro.
In conclusione un nulla di fatto, un
gigantesco buco nell’acqua: è questo l’impietoso giudizio storico
sull’operato di Berlinguer, che non seppe imprimere alla sinistra quella
svolta di cui aveva bisogno nel segno dell’antisovietismo e di un
rinnovato socialismo. Il fatto che egli possa oggi apparirci un
“grande”, solo in virtù del suo severo moralismo, indica a che punto sia
arrivata nel frattempo la politica italiana.
Rino Genovese, marzo 2014
Ho incontrato Enrico berlinguer in più occasioni (all'Unità, nei comizi ecc.) ma solo una volta ci parlammo per una buona mezzoretta. Tornavamo da Algeri , eravamo entrambi nello stesso aereo sensa saperlo, e giunti a Linate eravamo pressocchè gli unici ad aspettare i bagagli. Dopo dieci interminabili minuti iniziammo a chiaccherare. L'Algeria dopo la rivoluzione era "nervosetta" e il nostro Berlinguer era andato per sentirne il polso , come fanno di solito i segretari di partito. Chiaro che l'argomento passò subito ai bagagli ed io proposi varie soluzioni per il recupero degli stessi. Era d'accordissimo su tutte le proposte tranne quella che mi sembrava la più adatta e vincente. Me la sono ricordata vedendo la pubblicità alla televisione dove un attore famoso si siede vicino ad una bella donna
RispondiEliminaper prendere il caffè. L'attore appena sta andando via la donna si mette a gridare : George Clooney è in side ! Giorgio è qui ! E si scatena il finimondo... La mia proposta era di gridare EiH gente Giorgio Berlinguer e qui è sta aspettando le valigie... ci siamo messi entrambi a ridere , lui più di me. Parlammo di scioperi e di quando ti toccano e di tante altre cosette. Dopo mezzora arrivarono le valigie stretta di mano e saluti. Arrivato a casa raccontai la cosa e mia moglie mi diede del maleducato perchè occupandomi di Berlinguer avevo lasciato in sala d'attesa Kennedy il Papa e il Prediente della Repubblica...
Caro Onofrio, simpatico il tuo racconto. Mi vado convincendo che abbiamo almeno una cosa in comune: avremmo potuto utilizzare meglio nella vita i " talenti" che ci erano stati assegnati. Entrambi, in modo diverso, ne abbiamo dissipati davvero tanti...
RispondiEliminaTu sai che a Marineo appena uno elogia un altro scatta lo sputo. Eppure ieri sera una signora, a Milano, ha parlato degli anni di Danilo Dolci al che io mi sono alzato vantandomi di essere tuo compaesano e Lei, non più giovanissima si è commossa... Addirittura parlava di una serata sul Dolci...Come al solito ho iniziato a fantasticare e quando alla fine mi ha sentito dire ...Virga.. Lei si è girata precisando ...chi Franco ?
EliminaMa tu credi veramente che fra questi munnizzari (quando vuoi i nomi te li passo uno per uno) si poteva fare di più ? Per quanto ti riguarda non mi sembra di averti proposto per l'autoparco ...
Nessun talento sprecato....diciamo...che non è facile convivere con certa munnizza...
Questa volta a Ma'arra la storia non si ripeterà...
Mi fa piacere che tra voi due finalmente c'è del tenero. Sarebbe stato un peccato che due talenti del vostro calibro restassero ancora in freddo. Io per quanto mi rigurda è da tempo che sono in caldo con voi. Cosa aggiungere? W Ma'arra, lottiamo sempre uniti, difendiamo le mura. Vi voglio bene.
RispondiEliminaCari amici, se organizzate una serata a Milano per parlare in modo non apologetico di Danilo Dolci potete contare su di me!
RispondiElimina