31 marzo 2014

RIPENSANDO AL PCI DI BERLINGUER



È uscito nelle sale cinematografiche il documentario di Walter Veltroni Quando c’era Berlinguer 
Oggi noi vogliamo provare a ripensare in modo critico al PCI  di quegli anni partendo da un articolo  apparso sul sito della rivista «Il ponte»:


Rino Genovese

Riparlando di Berlinguer


Enrico Berlinguer è morto trent’anni fa in circostanze drammatiche, come un attore sulla scena. E Walter Veltroni non gli rende certo un favore dedicandogli un film che più brutto non si può: un’insensata agiografia priva sia di stile sia di contenuti. Si pensi che l’unica “rivelazione” offerta dal film, in cui a un certo punto sono inquadrate le pagelle del futuro segretario del Pci, è che il piccolo Enrico, nato nel 1922, andava male a scuola: non si sa se per semplice asineria o per spirito ribelle contro i metodi educativi fascisti. Ciò che manca completamente – e pour cause, si direbbe, essendo Veltroni uno degli affossatori della storia del comunismo in Italia – è il tentativo anche minimo di un bilancio critico circa la sua figura. Che non fu, al di là della onestà e della simpatia umana universalmente riconosciute, quella di un uomo politico innovativo, quanto piuttosto quella di un gestore alla fin fine immobile di un patrimonio ideale, quasi un “italo Amleto” incapace di prendere la decisione che avrebbe  potuto davvero mutare la storia italiana: mi riferisco a una rottura formale e ufficiale con il mondo sovietico, anche a costo di spaccare il partito e di perdere voti.
Il Pci berlingueriano rimase uno strano ibrido: socialdemocratico, se non addirittura liberaldemocratico, nella sostanziale pratica politica e di amministrazione (ricordo qui che, per uno come lo svedese Olof Palme, tanto per fare il nome di un socialista europeo contemporaneo di Berlinguer, il superamento del capitalismo mediante una strategia di riforme era un obiettivo del tutto plausibile), e però ispirato al principio leninista del centralismo democratico, legato al mito della rivoluzione d’ottobre (che solo da ultimo, e con molte cautele, parve al segretario del Pci avere perso la “spinta propulsiva”). Un singolarissimo “né carne né pesce” che finì con l’incrementare il gioco degli specchi deformanti tipico della politica italiana in cui nessuno è mai quello che è, consentendo al Psi di Craxi (un personaggio di cui Berlinguer aveva chiaramente compreso le potenzialità distruttive per il più antico partito italiano) di stringere un’alleanza strategica con la Dc nella prospettiva dell’anticomunismo; laddove sarebbe stato logico e conseguente per Berlinguer, se non altro nell’ultima fase della sua vita, dichiarare una rottura che avrebbe potuto aprire il sistema, senz’affatto rinnegare quegli “elementi di socialismo” che – peraltro non si sa bene come – pensava d’introdurre nella vita nazionale.
 Del resto è proprio il senso di un’ “alterità” comunista che, sotto lo choc del golpe cileno, negli anni settanta dettò la proposta del “compromesso storico”. È infatti un partito collocato in una posizione molto delicata o, per dirla sommariamente, che ha ragione di temere l’etichetta di agente dello straniero, a essere obbligato a difendersi dalla violenza reazionaria con l’unità nazionale. Un partito del socialismo europeo non nutre timori del genere, può sviluppare la sua linea – perfino una linea di progressivo superamento del capitalismo – come una delle opzioni disponibili all’interno del sistema politico. Ma il Pci era proprio quel partito che mai e poi mai sarebbe potuto andare al governo, nella situazione internazionale data, senza provocare una reazione (come finanche la morte di Moro, voluta dai poteri oscuri e dalla stessa Dc dimostra e contrario): sicché il “compromesso storico”, ridotto poi di fatto a un ingresso nella maggioranza di governo senza neanche disporre delle sue leve (come invece fu, sia pure in minima parte, per il Psi nel centrosinistra dei primi anni sessanta), fu soltanto l’arrendersi a un’impasse – determinata senza dubbio anche dal terrorismo, sia da quello di sinistra, indirettamente, sia da quello della “strategia della tensione” elaborata più o meno consapevolmente per stabilizzare la situazione al centro.
In conclusione un nulla di fatto, un gigantesco buco nell’acqua: è questo l’impietoso giudizio storico sull’operato di Berlinguer, che non seppe imprimere alla sinistra quella svolta di cui aveva bisogno nel segno dell’antisovietismo e di un rinnovato socialismo. Il fatto che egli possa oggi apparirci un “grande”, solo in virtù del suo severo moralismo, indica a che punto sia arrivata nel frattempo la politica italiana.
Rino Genovese, marzo 2014













5 commenti:

  1. Ho incontrato Enrico berlinguer in più occasioni (all'Unità, nei comizi ecc.) ma solo una volta ci parlammo per una buona mezzoretta. Tornavamo da Algeri , eravamo entrambi nello stesso aereo sensa saperlo, e giunti a Linate eravamo pressocchè gli unici ad aspettare i bagagli. Dopo dieci interminabili minuti iniziammo a chiaccherare. L'Algeria dopo la rivoluzione era "nervosetta" e il nostro Berlinguer era andato per sentirne il polso , come fanno di solito i segretari di partito. Chiaro che l'argomento passò subito ai bagagli ed io proposi varie soluzioni per il recupero degli stessi. Era d'accordissimo su tutte le proposte tranne quella che mi sembrava la più adatta e vincente. Me la sono ricordata vedendo la pubblicità alla televisione dove un attore famoso si siede vicino ad una bella donna
    per prendere il caffè. L'attore appena sta andando via la donna si mette a gridare : George Clooney è in side ! Giorgio è qui ! E si scatena il finimondo... La mia proposta era di gridare EiH gente Giorgio Berlinguer e qui è sta aspettando le valigie... ci siamo messi entrambi a ridere , lui più di me. Parlammo di scioperi e di quando ti toccano e di tante altre cosette. Dopo mezzora arrivarono le valigie stretta di mano e saluti. Arrivato a casa raccontai la cosa e mia moglie mi diede del maleducato perchè occupandomi di Berlinguer avevo lasciato in sala d'attesa Kennedy il Papa e il Prediente della Repubblica...

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  2. Caro Onofrio, simpatico il tuo racconto. Mi vado convincendo che abbiamo almeno una cosa in comune: avremmo potuto utilizzare meglio nella vita i " talenti" che ci erano stati assegnati. Entrambi, in modo diverso, ne abbiamo dissipati davvero tanti...

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    1. Tu sai che a Marineo appena uno elogia un altro scatta lo sputo. Eppure ieri sera una signora, a Milano, ha parlato degli anni di Danilo Dolci al che io mi sono alzato vantandomi di essere tuo compaesano e Lei, non più giovanissima si è commossa... Addirittura parlava di una serata sul Dolci...Come al solito ho iniziato a fantasticare e quando alla fine mi ha sentito dire ...Virga.. Lei si è girata precisando ...chi Franco ?
      Ma tu credi veramente che fra questi munnizzari (quando vuoi i nomi te li passo uno per uno) si poteva fare di più ? Per quanto ti riguarda non mi sembra di averti proposto per l'autoparco ...
      Nessun talento sprecato....diciamo...che non è facile convivere con certa munnizza...
      Questa volta a Ma'arra la storia non si ripeterà...

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  3. Mi fa piacere che tra voi due finalmente c'è del tenero. Sarebbe stato un peccato che due talenti del vostro calibro restassero ancora in freddo. Io per quanto mi rigurda è da tempo che sono in caldo con voi. Cosa aggiungere? W Ma'arra, lottiamo sempre uniti, difendiamo le mura. Vi voglio bene.

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  4. Cari amici, se organizzate una serata a Milano per parlare in modo non apologetico di Danilo Dolci potete contare su di me!

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