Qualcuno ha scritto che l'arte è la porta aperta sull'altra faccia della realtà.
Si, per noi l'artista è uno sciamano alla ricerca dell'anima perduta
degli uomini e delle cose.
Achille Bonito Oliva
Kokoschka. Stravolgere lo sguardo sulla realtà per riuscire a vederla
davvero
“La mia
vanità, che non ha nulla a che fare con il mio corpo, si
riconoscerebbe volentieri in un mostro, se vi riconoscesse lo
spirito dell’artista, e io sono orgoglioso della
testimonianza di un Kokoschka, perché la verità deformante
del genio è più alta di quella dell’anatomia e poiché in
presenza dell’arte la realtà è solo un’illusione
ottica”(Karl Kraus, Die Fackel).
L’io al
centro dell’attenzione è quello di Oscar Kokoschka
esposto al Leopold Museum di Vienna: pitture, grafiche e
duecento fotografie.
Nel clima della
secessione viennese, Oskar Kokoschka (1886 – 1980) adopera la
pittura come uno specchio anamorfico capace di alterare la
distanza simmetrica tra il modello e il dipinto, di annullare
la semplice vista dell’uomo comune che usa l’occhio come un
organo di semplice riproduzione visiva e invece fondare una
nuova dimensione dello sguardo che presuppone il
nervo di una sensibilità particolare e stravolgente.
Lo sguardo
diventa un organo con doppia polarità che funziona attraverso
un elemento d’introversione a un altro di estroversione. La
prima adatta a restituire le tre dimensioni delle cose, il
secondo capace di catturarne un’altra, la quarta, quella
psichica e interiore. Dunque lo sguardo ha una capacità
creativa che appartiene soltanto all’artista, armato di una
sensibilità particolare e di un sistema di allarme di estrema
e necessaria fragilità. L’intensità di questo sguardo
scavalca la temporalità, intesa come pura percezione del
presente, ed accede ad una allargata e profetica.
Wolf Dieter Dube
racconta del ritratto del biologo Forel rifiutato dalla
famiglia dello scienziato in quanto ritenuto non
rassomigliante. Successivamente il professor Forel, dopo un
colpo apoplettico, ha cominciato sempre più a rassomigliare al
quadro dipinto da Kokoschka. L’immagine è portatrice di una
dimensione allucinata che svela nodi e ferite, cicatrici e
ingorghi, stratificati sotto la coltre della rimozione e
dell’inibizione. A conferma il suo testo teatrale Assassino
speranza delle donne.
L’assassinio
delle convenzioni diventa la pulsione originaria dell’arte
linguistiche o morali, politiche o sociali. Tutto si realizza
attraverso la costruzione di un’immagine che è per
definizione un gesto di rifondazione, dopo quello
destrutturante delle convenzioni, e dunque di affermazione
vitale. Chi produce questo sano, feroce ed anche allegro
assassinio è l’artista O.K. che affonda il suo sguardo oltre
la soglia del privato senza mai indietreggiare davanti alle
indicibili e indecenti apparizioni di verità nascoste.
La pittura
dell’artista austriaco passa attraverso una fase di
scarnificazione grafica che annulla ogni dettaglio
sovrastrutturale e, secondo le cadenze di una sensibilità
anche giapponese, capace di una riduzione all’essenzialità
della linea, accede ad un segno concentrato in un “punto
focale”, lo svelamento di una nascosta ed inaccessibile
identità.
Tale punto
focale sviluppa una forza di irradiazione e dilatazione
dell’immagine, un’energia vitale che trasfigura il soggetto
e lo sposta su un versante estremamente interiorizzato. Nello
stesso tempo la scarnificazione grafica trova un suo
ispessimento attraverso la materia pittorica e stratificata che
ricorda la grande lezione italiana di Tiziano, Tintoretto e
Veronese. Un doppio passaggio dall’apparenza alla sostanza,
dallo scheletro all’opulenza di una nuova carne.
L’arte di
O.K. è la pratica di uccisione e resurrezione, di uno
svelamento e rivestimento, di una riduzione e una rifondazione
della materia: “Ora io costruisco composizioni da volti umani
(modelli come le persone che hanno resistito con me per lungo
periodo, persone che mi conoscono e che io conosco
perfettamente, tanto che mi perseguitano come incubi) e in
queste composizioni un essere è in conflitto con un altro in
rigida contrapposizione come l’odio e l’amore, e in ogni
quadro cerco ‘l’accidente’ drammatico che salderà gli
spiriti individuali in un ordine superiore”.
Amore e odio,
morte e resurrezione, assassinio e speranza. Due linee
attraversano l’opera di Kokoschka: una gotica e una barocca.
Quella gotica tende alla scarnificazione e alla restituzione di
un permanente motivo dolente, quella barocca a riscattare tale
impulso negativo e a rovesciarlo in un’istanza vitale e
positiva. Materia e spirito si fronteggiano assiduamente nel
campo dell’arte e si attraversano in una sana ambivalenza
senza che una sopravanzi l’altra. In questo senso la pittura
di O.K. arricchisce il senso comune, creando uno spostamento
dalla pura vista allo sguardo complesso.
La Repubblica – 23
febbraio 2014
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