“Vent’anni dopo”,
un saggio di Piero Ignazi sulla fine di un ciclo politico che ha
trasformato l'Italia, esasperandone le contraddizioni. Ma con almeno un
aspetto positivo: è stata finalmente sfatata la leggenda che gli
italiani fossero “di sinistra”. Lo aveva già chiarito Alberto
Sordi nei suoi film, ma non era stato preso sul serio. D'altronde
cosa ci si può aspettare di diverso da un popolo che accetta di
farsi imporre da un cardinale cosa deve essere insegnato nelle scuole?
Che cosa ci lascia il
berlusconismo
Che quello (per fortuna)
alle nostre spalle sia il ventennio berlusconiano nessuno lo mette in
dubbio. Pochi, eccetto i suoi accoliti, si avventurano a dire che
avrà un futuro politico. Benché i sondaggi ancora premino il
centrodestra, la caduta insomma c’è stata, anche se gli effetti si
percepiscono al rallentatore. E tuttavia se un intero ciclo politico
e storico ha potuto aggettivarsi in una persona, è saggio chiedersi
quale ne sia l’eredità, quale il bilancio e, soprattutto, come sia
potuto accadere.
Per questo il veloce
saggio di Piero Ignazi, professore di politica comparata a Bologna (
Vent’anni dopo. La parabola del berlusconismo, in uscita per il
Mulino), non è l’ennesimo pamphlet sul Cavaliere. È un’analisi
utile per lo studioso ma anche per chi volesse rammentare (o
conoscere per la prima volta) cosa è accaduto in Italia dalla fine
degli anni Ottanta fino a oggi. Come è stato possibile che una
nazione occidentale, con una cultura politica solida imperniata su
partiti di massa, abbia potuto consegnarsi in pochi me- si a un
imprenditore senza alcuna esperienza se non quella di fare “il
grano”.
Il racconto di Ignazi
prende le mosse da «prima del diluvio», scandagliando quel grumo di
— si direbbe oggi con un vocabolo usurato — «antipolitica» che
andava formandosi nel cuore del ceto medio italiano, soprattutto al
Nord. Insomma, «il berlusconismo — scrive il politologo —
esprime e proietta sul piano pubblico-politico quanto è venuto
maturando nel decennio precedente.
Non avrebbe goduto di una
tale durata se non si fosse plasticamente inserito nella corrente
post-ideologica e postmaterialista che ha investito l’Italia, ben
prima che il 1989 e la Bolognina la rendessero visibile anche ai più
distratti». Di questa «trasmutazione antropologica» dell’italiano
medio, in fuga da Stato, Chiesa e partiti, Berlusconi «è
l’interprete perfetto» e «assurge a icona di riferimento anche
per le periferie più sperdute ma tutte televisivizzate ».
Quello che è mancato a
Craxi per definire craxiana la sua era, ovvero l’egemonia
culturale, in Berlusconi diventa un potente fattore di accelerazione
grazie alle televisioni. A Craxi, che pure vince la sfida della
modernità contro un Pci sclerotizzato, manca «il soft power» del
Cavaliere.
Un dato che contrasta con
il fatto che gli iscritti ai partiti, fino all’inizio degli anni
Novanta, marciano ancora a livelli altissimi, sono l’8%
dell’elettorato. Dalla vittoria del ‘94 alla “traversata del
deserto” all’opposizione, dal trionfo del 2001 agli anni
declinanti del potere, fino alla caduta finale.
E se un altro studioso
del fenomeno, Giovanni Orsina, nel suo celebre saggio sul
berlusconismo individua l’inizio della crisi e dell’avvitamento
finale nel biennio 2005-2006, Ignazi lo postdata al 2010, con la
duplice sconfitta alle amministrative (la perdita simbolica di
Milano) e ai quattro referendum, tra cui quello contro il legittimo
impedimento.
Le conclusioni sono un
bilancio impietoso sul lascito berlusconiano, segnato da tre
fallimenti. «Fallita la costituzione di un grande partito
liberal-conservatore ridotto a una formazione patrimoniale-populista
con tratti carismatici (...). Fallita la modernizzazione del paese
(...). Fallita la rivoluzione liberale, per l’adagiarsi su
interessi settoriali, corporativi e persino personali visto il
benefit politico aggiuntivo di 2,1 miliardi di euro alle sue
televisioni per tutti gli anni in cui è stato al governo».
Il problema è che quella
stessa borghesia che non fece argine al Cavaliere e alla sua prima
scombiccherata alleanza tra neofascisti e leghisti, «se non
acquisisce coscienza di sé» e del «ruolo guida che ovunque essa
assume grazie a un ethosintriso di valori liberali e democratici e
non populisti, allora il berlusconismo continuerà a circolare
sottotraccia». Anche quando il Cavaliere sarà solo un ricordo.
la Repubblica - 14 marzo 2014
Piero Ignazi
Vent’anni dopo
il Mulino, 2014
euro 13
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