27 marzo 2014

CHE COSA CI LASCIA IL BERLUSCONISMO




Vent’anni dopo”, un saggio di Piero Ignazi sulla fine di un ciclo politico che ha trasformato l'Italia, esasperandone le contraddizioni. Ma con almeno un aspetto positivo: è stata finalmente sfatata la leggenda che gli italiani fossero “di sinistra”. Lo aveva già chiarito Alberto Sordi nei suoi film, ma non era stato preso sul serio. D'altronde cosa ci si può aspettare di diverso da un popolo che accetta di farsi imporre da un cardinale cosa deve essere insegnato nelle scuole?
Francesco Bei

Che cosa ci lascia il berlusconismo
Che quello (per fortuna) alle nostre spalle sia il ventennio berlusconiano nessuno lo mette in dubbio. Pochi, eccetto i suoi accoliti, si avventurano a dire che avrà un futuro politico. Benché i sondaggi ancora premino il centrodestra, la caduta insomma c’è stata, anche se gli effetti si percepiscono al rallentatore. E tuttavia se un intero ciclo politico e storico ha potuto aggettivarsi in una persona, è saggio chiedersi quale ne sia l’eredità, quale il bilancio e, soprattutto, come sia potuto accadere.
Per questo il veloce saggio di Piero Ignazi, professore di politica comparata a Bologna ( Vent’anni dopo. La parabola del berlusconismo, in uscita per il Mulino), non è l’ennesimo pamphlet sul Cavaliere. È un’analisi utile per lo studioso ma anche per chi volesse rammentare (o conoscere per la prima volta) cosa è accaduto in Italia dalla fine degli anni Ottanta fino a oggi. Come è stato possibile che una nazione occidentale, con una cultura politica solida imperniata su partiti di massa, abbia potuto consegnarsi in pochi me- si a un imprenditore senza alcuna esperienza se non quella di fare “il grano”.
Il racconto di Ignazi prende le mosse da «prima del diluvio», scandagliando quel grumo di — si direbbe oggi con un vocabolo usurato — «antipolitica» che andava formandosi nel cuore del ceto medio italiano, soprattutto al Nord. Insomma, «il berlusconismo — scrive il politologo — esprime e proietta sul piano pubblico-politico quanto è venuto maturando nel decennio precedente.
Non avrebbe goduto di una tale durata se non si fosse plasticamente inserito nella corrente post-ideologica e postmaterialista che ha investito l’Italia, ben prima che il 1989 e la Bolognina la rendessero visibile anche ai più distratti». Di questa «trasmutazione antropologica» dell’italiano medio, in fuga da Stato, Chiesa e partiti, Berlusconi «è l’interprete perfetto» e «assurge a icona di riferimento anche per le periferie più sperdute ma tutte televisivizzate ».
Quello che è mancato a Craxi per definire craxiana la sua era, ovvero l’egemonia culturale, in Berlusconi diventa un potente fattore di accelerazione grazie alle televisioni. A Craxi, che pure vince la sfida della modernità contro un Pci sclerotizzato, manca «il soft power» del Cavaliere.
Un dato che contrasta con il fatto che gli iscritti ai partiti, fino all’inizio degli anni Novanta, marciano ancora a livelli altissimi, sono l’8% dell’elettorato. Dalla vittoria del ‘94 alla “traversata del deserto” all’opposizione, dal trionfo del 2001 agli anni declinanti del potere, fino alla caduta finale.
E se un altro studioso del fenomeno, Giovanni Orsina, nel suo celebre saggio sul berlusconismo individua l’inizio della crisi e dell’avvitamento finale nel biennio 2005-2006, Ignazi lo postdata al 2010, con la duplice sconfitta alle amministrative (la perdita simbolica di Milano) e ai quattro referendum, tra cui quello contro il legittimo impedimento.
Le conclusioni sono un bilancio impietoso sul lascito berlusconiano, segnato da tre fallimenti. «Fallita la costituzione di un grande partito liberal-conservatore ridotto a una formazione patrimoniale-populista con tratti carismatici (...). Fallita la modernizzazione del paese (...). Fallita la rivoluzione liberale, per l’adagiarsi su interessi settoriali, corporativi e persino personali visto il benefit politico aggiuntivo di 2,1 miliardi di euro alle sue televisioni per tutti gli anni in cui è stato al governo».
Il problema è che quella stessa borghesia che non fece argine al Cavaliere e alla sua prima scombiccherata alleanza tra neofascisti e leghisti, «se non acquisisce coscienza di sé» e del «ruolo guida che ovunque essa assume grazie a un ethosintriso di valori liberali e democratici e non populisti, allora il berlusconismo continuerà a circolare sottotraccia». Anche quando il Cavaliere sarà solo un ricordo.
la Repubblica - 14 marzo 2014  
Piero Ignazi
Vent’anni dopo
il Mulino, 2014
euro 13

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