31 marzo 2014

KANDINSKY, L'ARTISTA COME SCIAMANO




All'inizio del Novecento l'avanguardia artistica trova fonte di ispirazione nelle cosiddette arti primarie. Lo fa Picasso a Parigi, lo fa Kandinsky a Mosca. La scultura africana o gli oggetti sacri degli sciamani siberiani diventano il tramite con lo spirito del mondo. E' una ricerca di significati in un mondo che ha perso la capacità di vedere oltre le cose. Una mostra a Vercelli racconta quella stagione e ci pone una domanda: l'universo globalizzato di oggi rende ancora possibile questo aggancio alla Tradizione o siamo costretti a vivere in un eterno presente?

Francesco Poli
Improvvisazioni d’uno sciamano che amava l’antica arte russa
In un suo scritto del 1918, Testo d’autore, Wassily Kandinsky racconta quanto sia stata fondamentale per gli sviluppi futuri della sua pittura la visita delle povere case dei contadini del nord della Russia, durante un suo viaggio di studio nel 1889, quando aveva 23 anni. «Nell’habitat dei komi, per la prima volta nella vita, trovai qualcosa di veramente meraviglioso, e questo prodigio diventò l’elemento di tutti i miei lavori successivi».

L’artista ricorda di essersi fermato sulla soglia di un’izba e di aver visto uno spettacolo inatteso: il tavolo, le panche, la grande stufa, gli armadi, tutto era decorato da ornamenti variegati. Ai muri c’erano delle stampe con immagini di eroici protagonisti di storie epiche popolari, e «l’angolo bello» era tutto ricoperto di icone sacre dipinte o a stampa. Questa esperienza gli fa comprendere che un quadro non deve essere solo contemplato ma deve coinvolgere completamente l’osservatore nella sua dimensione interiore.

Dopo quel viaggio Kandinsky pubblica anche un saggio sulla cultura e i riti animistici delle popolazioni dei Sirieni, di origine ugro-finnica, e in particolare sul ruolo dello sciamano come mediatore fra la realtà sensibile e il mondo ultraterreno.
Il fascino per l’energia della spiritualità primitiva, e per la forza espressiva della dimensione decorativa e iconica dell’arte popolare sono alla radice dell’elaborazione del suo personale «immaginario etnografico» nella fase di formazione e maturazione del suo linguaggio pittorico che si svilupperà progressivamente in direzione astratta.
L’entusiasmo per l’arte e il folklore nazionale, per la musica etnica e per le narrazioni fiabesche, epiche e storiche leggendarie, era un aspetto tipico della cultura russa (musicale, letteraria e artistica) tra Ottocento e Novecento, caratterizzata da tensioni simboliste e dal culto per la rinascita dell’antico spirito russo.
Anche per altri pittori d’avanguardia come Mikhail Larionov, Natalia Goncharova, Kasimir Malevich, Pavel Filonov, David Burljuk, Aleksandra Ekster, l’arte popolare era una fonte fondamentale di ispirazione. Queste fonti folkloriche (in relazione al più generale interesse degli artisti d’avanguardia per le fonti primitive e arcaiche) sono un aspetto peculiare dei temi che entrano in gioco nell’Almanacco del Blaue Reiter, e Kandinsky e gli altri esponenti del gruppo di Monaco, espongono anche al Salon di Vladimir Izdebskij a Mosca del 1911, insieme agli artisti russi innovatori.
Kandinsky in quel periodo lavorava a Murnau, in Germania, ma aveva continui rapporti con la Russia, dove ritorna nel dopoguerra dopo la rivoluzione sovietica, con l’incarico di commissario per le arti, attività che lo impegna fino al 1922, quando accusato di spiritualismo si trasferisce in Germania come insegnate al Bauhaus di Walter Gropius.
Questa mostra all’Arca di Vercelli, è di grande interesse perché la curatrice Eugenia Petrova mette a fuoco, con un notevole gruppo di opere dei musei di stato (mai presentate fuori dai confini) «l’anima» più specificamente russa dell’opera di Kandinsky.
E in effetti all’interno dell’esposizione ci si trova davanti a uno spiazzante e suggestivo accostamento fra ventidue suoi dipinti di vari periodi (insieme una selezione di quadri di altri artisti tra cui Goncharova, Larionov, Lentulov, Filonov, Burljuk, Ekster) e molti oggetti, icone, stampe, arredi, e indumenti della cultura popolare, religiosa ortodossa, e dello sciamanesimo siberiano.
La connessione con gli oggetti più primitivi, quelli sciamanici (vestiti di pelli, e tamburi variamente decorati) non è per la verità molto evidente, ma l’influenza delle stampe popolari e delle icone appare chiara. Per esempio in quattro piccoli dipinti illustrativi su vetro, con figure femminili e fluttuanti paesaggi con chiese ortodosse (del 1918), e soprattutto in un magnifico San Giorgio (1911) già sostanzialmente astratto, messo a confronto con una antica icona del mitico santo uccisore del drago. 
Dal punto di vista della qualità, dell’espressività cromatica, della freschezza segnica e della libertà d’invenzione, i quadri più notevoli e sorprendenti sono una serie di eccezionali Improvvisazioni dipinte tra il 1910 e il 1917, che si trovano nel museo di San Pietroburgo ma anche in lontani musei provinciali a Kazan, Krasnojarsk e persino a Vladivostok.
Tutti i quadri (alcuni dei quali sono dipinti su cartone) hanno ancora le loro cornici originali, molte fatte con semplici listelli di legno. Queste opere (come quelle di altri artisti d’avanguardia russi) erano state dislocate così lontano durante la fase eroica della rivoluzione per educare all’arte nuova anche le popolazioni più decentrate. Ed è una bella cosa che oggi noi le possiamo vedere, in trasferta nel mezzo delle risaie vercellesi, nello spazio dell’Arca che ha visto fino all’anno scorso le mostre in collaborazione con il Guggenheim di Venezia.


La Stampa – 31 marzo 2014

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