All'inizio del
Novecento l'avanguardia artistica trova fonte di ispirazione nelle
cosiddette arti primarie. Lo fa Picasso a Parigi, lo fa Kandinsky a
Mosca. La scultura africana o gli oggetti sacri degli sciamani
siberiani diventano il tramite con lo spirito del mondo. E' una
ricerca di significati in un mondo che ha perso la capacità di
vedere oltre le cose. Una mostra a Vercelli racconta quella stagione e
ci pone una domanda: l'universo globalizzato di oggi rende ancora
possibile questo aggancio alla Tradizione o siamo costretti a vivere
in un eterno presente?
Francesco Poli
Improvvisazioni
d’uno sciamano che amava l’antica arte russa
In un
suo scritto del 1918, Testo d’autore, Wassily Kandinsky
racconta quanto sia stata fondamentale per gli sviluppi futuri
della sua pittura la visita delle povere case dei contadini del
nord della Russia, durante un suo viaggio di studio nel 1889,
quando aveva 23 anni. «Nell’habitat dei komi, per la prima
volta nella vita, trovai qualcosa di veramente meraviglioso, e
questo prodigio diventò l’elemento di tutti i miei lavori
successivi».
L’artista ricorda
di essersi fermato sulla soglia di un’izba e di aver visto
uno spettacolo inatteso: il tavolo, le panche, la grande stufa,
gli armadi, tutto era decorato da ornamenti variegati. Ai muri
c’erano delle stampe con immagini di eroici protagonisti di
storie epiche popolari, e «l’angolo bello» era tutto
ricoperto di icone sacre dipinte o a stampa. Questa esperienza
gli fa comprendere che un quadro non deve essere solo
contemplato ma deve coinvolgere completamente l’osservatore
nella sua dimensione interiore.
Dopo quel
viaggio Kandinsky pubblica anche un saggio sulla cultura e i
riti animistici delle popolazioni dei Sirieni, di origine
ugro-finnica, e in particolare sul ruolo dello sciamano come
mediatore fra la realtà sensibile e il mondo ultraterreno.
Il fascino per
l’energia della spiritualità primitiva, e per la forza
espressiva della dimensione decorativa e iconica dell’arte
popolare sono alla radice dell’elaborazione del suo personale
«immaginario etnografico» nella fase di formazione e
maturazione del suo linguaggio pittorico che si svilupperà
progressivamente in direzione astratta.
L’entusiasmo
per l’arte e il folklore nazionale, per la musica etnica e
per le narrazioni fiabesche, epiche e storiche leggendarie, era
un aspetto tipico della cultura russa (musicale, letteraria e
artistica) tra Ottocento e Novecento, caratterizzata da
tensioni simboliste e dal culto per la rinascita dell’antico
spirito russo.
Anche per altri
pittori d’avanguardia come Mikhail Larionov, Natalia
Goncharova, Kasimir Malevich, Pavel Filonov, David Burljuk,
Aleksandra Ekster, l’arte popolare era una fonte fondamentale
di ispirazione. Queste fonti folkloriche (in relazione al più
generale interesse degli artisti d’avanguardia per le fonti
primitive e arcaiche) sono un aspetto peculiare dei temi che
entrano in gioco nell’Almanacco del Blaue Reiter, e Kandinsky
e gli altri esponenti del gruppo di Monaco, espongono anche al
Salon di Vladimir Izdebskij a Mosca del 1911, insieme agli
artisti russi innovatori.
Kandinsky in
quel periodo lavorava a Murnau, in Germania, ma aveva continui
rapporti con la Russia, dove ritorna nel dopoguerra dopo la
rivoluzione sovietica, con l’incarico di commissario per le
arti, attività che lo impegna fino al 1922, quando accusato di
spiritualismo si trasferisce in Germania come insegnate al
Bauhaus di Walter Gropius.
Questa mostra
all’Arca di Vercelli, è di grande interesse perché la
curatrice Eugenia Petrova mette a fuoco, con un notevole gruppo
di opere dei musei di stato (mai presentate fuori dai confini)
«l’anima» più specificamente russa dell’opera di
Kandinsky.
E in effetti
all’interno dell’esposizione ci si trova davanti a uno
spiazzante e suggestivo accostamento fra ventidue suoi dipinti
di vari periodi (insieme una selezione di quadri di altri
artisti tra cui Goncharova, Larionov, Lentulov, Filonov,
Burljuk, Ekster) e molti oggetti, icone, stampe, arredi, e
indumenti della cultura popolare, religiosa ortodossa, e dello
sciamanesimo siberiano.
La connessione
con gli oggetti più primitivi, quelli sciamanici (vestiti di
pelli, e tamburi variamente decorati) non è per la verità
molto evidente, ma l’influenza delle stampe popolari e delle
icone appare chiara. Per esempio in quattro piccoli dipinti
illustrativi su vetro, con figure femminili e fluttuanti
paesaggi con chiese ortodosse (del 1918), e soprattutto in un
magnifico San Giorgio (1911) già sostanzialmente astratto,
messo a confronto con una antica icona del mitico santo
uccisore del drago.
Dal punto di vista della qualità,
dell’espressività cromatica, della freschezza segnica e
della libertà d’invenzione, i quadri più notevoli e
sorprendenti sono una serie di eccezionali Improvvisazioni
dipinte tra il 1910 e il 1917, che si trovano nel museo di San
Pietroburgo ma anche in lontani musei provinciali a Kazan,
Krasnojarsk e persino a Vladivostok.
Tutti i quadri
(alcuni dei quali sono dipinti su cartone) hanno ancora le loro
cornici originali, molte fatte con semplici listelli di legno.
Queste opere (come quelle di altri artisti d’avanguardia
russi) erano state dislocate così lontano durante la fase
eroica della rivoluzione per educare all’arte nuova anche le
popolazioni più decentrate. Ed è una bella cosa che oggi noi
le possiamo vedere, in trasferta nel mezzo delle risaie
vercellesi, nello spazio dell’Arca che ha visto fino all’anno
scorso le mostre in collaborazione con il Guggenheim di
Venezia.
La Stampa – 31 marzo
2014
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