20 marzo 2014

SULLA SAGGEZZA DEI PAGLIACCI





La saggezza dei pagliacci

Premiare i corrotti o applaudire i bugiardi dice della salute morale di questa società




El País, 13 ottobre 2013



«Non sa quel che significa riconoscersi colpevole in questo paese», scriveva [Pedro] Laín Entralgo quando, dopo la pubblicazione di Descargo de conciencia [Scarico di coscienza, 1976], un critico si soffermò su una frase fuggevole, sperduta tra le pagine del libro, in cui il già falangista smetteva di discolparsi per dire che si sentiva colpevole del colpo di stato contro la Repubblica, della ferocia della repressione franchista e di quel che ne seguì. Ma di cosa aveva paura quest’uomo in un momento della sua vita in cui aveva tutto ed era intoccabile? Qualcosa di grave e di occulto doveva sapere, perché altrimenti non c’è modo di capire la chiusura di politici, banchieri, uomini di affari, giudici o ecclesiastici spagnoli ad ammettere la colpa e, di conseguenza, ad assumere pubblicamente le proprie responsabilità.
È così risaputa la differenza rispetto ad altri paesi, che alcuni hanno pensato che la cosa abbia a che vedere con la nostra cultura cattolica. È vero che, se si scambia l’autorità della coscienza con il potere del confessionale, il colpevole è liberato dal calvario della responsabilità pubblica. Ma forse serviranno di aiuto, per decifrare questo enigma, le riflessioni di un fine osservatore della mentalità spagnola di nome Walter Benjamin. La sua attenzione viene attratta dalla singolarità dell’onore nella nostra letteratura. In chiunque di noi l’onore evoca dignità, forse con un po’ di enfasi, ma con grandezza morale. Per Benjamin, tuttavia, l’onore era la corazza necessaria in queste lande per salvare la pelle. La vita fisica era così vulnerabile che la società s’inventò una sorta di spiritualità materialista per proteggersi dall’abbandono, dalla mancata assistenza. Povero allora uno senza onore! Chiunque poteva dargli la caccia, donde il bisogno di difenderlo a spada tratta. Questa «amoralità così spagnola nel modo di vedere le cose», come dice Benjamin, potrebbe spiegare l’ostinato rifiuto dell’uomo pubblico spagnolo a riconoscere le proprie bugie, la corruzione dei suoi, il fallimento delle proprie decisioni, la doppia morale o l’uso di due pesi e due misure. Si rifiuta di ammettere l’evidenza, perché se lo fa, resta esposto alle intemperie, abbandonato mani e piedi ai suoi rivali, certamente, ma anche alla spietatezza dei congeneri. Quel che è in gioco non è la dignità morale, bensì l’integrità fisica, perciò non si fanno concessioni. Al gergo politico appartengono espressioni quali “ingoiare rospi”, “avere la pelle d’elefante”… e, soprattutto, resistere, resistere a qualsiasi prezzo. Come diceva il presidente [del Governo in carica, Mariano] Rajoy a Bárcenas [ex tesoriere del Partito Popolare per ora al Governo, in carcere con l’imputazione di malversazione, evasione fiscale e corruzione]: «Luis. Sii forte. Domani ti telefonerò».

Il potere del confessionale libera il colpevole dal calvario della responsabilità pubblica

In ciò, effettivamente, ci differenziamo da quelle società con marchio protestante. In queste, a differenza di quelle cattoliche, si è fatta strada la cultura biblica che parla in un altro modo. Nel mito biblico della creazione del mondo appaiono tenendosi per mano la colpa e la libertà. Il primo gesto libero dell’uomo da poco creato è una trasgressione. Molti sono quanti non hanno nascosto la propria sorpresa di fronte a questo racconto. Si capisce che quell’Adamo fu ben plasmato dalla mano del creatore e tuttavia, contro ogni pronostico, il suo primo gesto libero consisté nel contravvenire all’ordine divino. È un’ annotazione molto intenzionale. La vita dell’essere umano sulla terra comincia in quel preciso momento, nell’ottavo giorno della creazione, come se la storia dell’umanità, cioè, la realizzazione della libertà fosse legata all’elaborazione della colpa. In una cultura, con tale marchio a fuoco, riconoscere la colpa è un gesto morale e così è visto e valutato. Chi assume la propria responsabilità pubblica non resta in balia delle belve, bensì è trattato con rispetto. Quel che allora distinguerebbe il politico o il giudice o il banchiere spagnolo dagli altri è la componente morale: inesistente nel caso dell’amoralità ispana e presente in quella di tali paesi dove la gente se ne va via per una minuzia. Negli otto anni della Merkel si sono dimessi due presidenti federali, quattro ministri e un presidente del Bundesbank, per questioni come copiare una tesi o farsi invitare. Willy Brandt abbandonò la Cancelleria, perché un consulente era una spia. Ci si immagina quel che sarebbe la geografia spagnola con tale metro?
Che il pubblico premi il corrotto o applauda il bugiardo, non invita a sperar bene né dice molto della salute morale di tale società. Lo spettacolo di politici eletti a maggioranza assoluta e costretti, tra gli schizzi della corruzione, ad abbandonare la poltrona appena iniziata ad usare, dice della spudoratezza di tali politici, ma anche dell’amoralità dei loro elettori. Ci resta il conforto dei pagliacci. I quali ammettono le proprie goffaggini, le esibiscono in pubblico e le trasformano in trampolino per rialzarsi. I bimbi lo capiscono e applaudono. Se il circo è l’ultimo rifugio della saggezza politica, bisognerà invitare i personaggi pubblici a venire ad accomodarsi e guardare.


Reyes Mate è docente [Istituto di Filosofia] del CSIC [CNR 
spagnolo]. È stato insignito con il Premio Nazionale per la 
Saggistica nel 2009 per La herencia del olvido
  [L’ereditàdell’oblio] ([Madrid:] Errata Naturae [, 2008]). 
Il suo ultimo libro è Tratado de la injusticia [Trattato 
dell’ingiustizia] ([Barcelona:] Anthropos [, 2011]).





Postilla o come nulla c’è di nuovo sotto il sole
     Fabula de te narratur, avrebbe detto Orazio (Satire, I, 1, 69), o più semplicemente, ricorrendo alla saggezza popolare, l’articolo “parla a nuora perché suocera intenda”. Tutte le suocere mediterranee, per meglio dire.
     Il filosofo Reyes Mate, esperto di Walter Benjamin e della sua filosofia della memoria applicata alla Shoah, parla della “sua” Spagna (è però cittadino del mondo di formazione accademica internazionale: Parigi, Madrid, Roma, Münster).    Ma non parla anche della “nostra” Italia, di tutte le terre non contaminate dalla Riforma?

 n.m.


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