Erasmo da Rotterdam |
Che papa Giulio II
della Rovere non fosse proprio uno stinco di santo si sapeva, ciò
non toglie che il ritratto che ne fece allora Erasmo da Rotterdam sia
impressionante. E non si venga a dire che quelli erano i costumi del
tempo. Anche Erasmo viveva in quell'epoca e in quella società. Come
Lutero....
La follia di Erasmo contro
l'eresia del papa-dio Giulio II
Il nostro tempo sembra
prigioniero di un incantesimo: la dimensione della storicità è
cancellata, la memoria collettiva è uno schermo dove una regia
anonima fa scorrere immagini casuali. Ma si può vivere il
presente e concepire il futuro senza tenere conto del passato?
Insomma, a che serve la storia?
Fu per rispondere a
questa domanda di un bambino che Marc Bloch descrisse la sua idea
del mestiere dello storico. Mestiere delicato, rischioso,
appassionante e difficile: perché il passato è un paese
sconosciuto e chi vi si avventura non può andarci come in una
gita organizzata del turismo di massa. Deve farsene esploratore e
archeologo, imparare pazientemente a decifrare tracce e parole
solo apparentemente familiari.
Ce ne dà un esempio
questo nuovo libro di Silvana Seidel Menchi, in apparenza solo una
lunga introduzione a un testo cinquecentesco, ma in realtà un
saggio nitido e appassionante sui rapporti tra il più grande
intellettuale del Cinquecento, Erasmo da Rotterdam e il più
terribile papa del suo tempo, Giulio II.
Di papa Giulio II, il
sanguigno Giuliano Della Rovere, dura ancor oggi quella
«chiarissima e onoratissima memoria » di cui lo giudicò degno
lo storico Francesco Guicciardini. Eppure l’uomo che si faceva
chiamare dai cortigiani del tempo “alter Deus”, un altro Dio
in terra, si comprò i voti per diventare papa, vestì corazze e
non abiti talari, e per costruirsi la tomba avviò nientemeno che
la ricostruzione della basilica di San Pietro per mettervi al
centro il suo monumento funebre costruito da Michelangelo.
Si sapeva del papato
simoniaco e delle sue abitudini di sodomita, come di tanti altri
aspetti di una personalità violenta oltre ogni limite, ma nessuno
aveva il coraggio di parlarne. O meglio, quasi nessuno: alla sua
morte l’anonimo autore di un pamphlet immaginò per i suoi
lettori il dialogo tra San Pietro e l’anima di Giulio II che
bussa alla porta del Paradiso e pretende di entrare a forza,
vantandosi dei suoi crimini.
Quel testo rimase
manoscritto per anni. Fu pubblicato per la prima volta da Ulrico
von Hutten nella Germania del 1517, mentre scoppiava la rivolta di
Lutero contro il mercimonio delle indulgenze papali. Ma chi era
l’autore? Quello che trapelò subito fu il nome di Erasmo da
Rotterdam: il quale si difese negando.
Giulio II
Oggi Silvana Seidel
Menchi dimostra con una magistrale ricerca che quell’attribuzione
era ben fondata: e racconta in questo libro come e perché quel
testo, scritto in Inghilterra fra il 1512 e il 1514 per il
divertimento di un piccolo circolo di lettori, venisse prima
tenuto nascosto per paura dei rischi che si correvano attaccando
il papa e poi, una volta pubblicato, fosse rinnegato da Erasmo.
Viltà quella di
Erasmo? Al contrario: secondo la storica, l’avere scritto il
dialogo era stato un atto «di eccezionale libertà
intellettuale». Ma ora per l’autore si trattava di evitare di
essere coinvolto — e travolto — in una battaglia diversa da
quella a cui aveva dedicato l’opera sua: che era stata investita
tutta nella diffusione di una nuova cultura e di un cristianesimo
dotto e mitemente evangelico. Quel dialogo era stato scritto per
il circuito chiuso, quello dei pochi e sicuri amici. Ora dalla sua
diffusione l’autore temeva non solo pericoli personali ma anche
un danno per l’opera grande e di lungo respiro da lui perseguita
nell’altro circuito, quello pubblico e aperto della stampa dove
solo la protezione dei potenti, dal papa all’imperatore, poteva
salvarlo dagli attacchi dell’intolleranza fratesca.
Quel che pensava dei
papi del tempo, non solo di Giulio II ma anche di Leone X, che
definì «la peste della cristianità», lo riservava agli amici
intimi. Ma la straordinaria accelerazione della storia prodottasi
nello spazio brevissimo di un decennio aveva cambiato tutto il
contesto dando al dialogo satirico un sapore nuovo. La rivoluzione
silenziosa della stampa si era trasformata in una grande
rivoluzione politica e sociale. Davanti a questo Erasmo si
ritrasse: se Lutero non riuscì a tradurre il dialogo Giulio,
Erasmo non volle più avere niente a che fare col «cinghiale
tedesco». E tuttavia aveva ragione Hutten a dire che le sue opere
continuavano a combattere la stessa battaglia dei riformatori
religiosi. Ne rimase a lungo la traccia perfino in Italia: dove
però il papato di età tridentina riuscì a coprire col manto
dell’ipocrisia il permanere degli antichi vizi.
Si pensi che
personaggi come i papi Paolo III, asceso al cardinalato per la
bellezza della sorella, e Giulio III, che fece cardinale il suo
giovanissimo amasio, sono da noi ricordati come dei riformatori
cattolici. Storie lontane, in apparenza. Ma ci sarà pure una
ragione se oggi perfino l’eco dello scandalo dei preti pedofili
arriva nella cultura democratica italiana attutito dall’ennesima
seduzione collettiva per un nuovo papa regnante.
la Repubblica - 05 marzo 2014
Erasmo da Rotterdam
Giulio
Einaudi, 2014
euro 28
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