26 marzo 2014

PIRANDELLO: C'è qualcuno che ride...




      L’amico Bernardo Puleio, collaboratore di  nuovabusambra, ha postato nel suo diario di fb una delle più belle novelle di Pirandello che, con la sua ironia dissacrante, ci lascia una straordinaria parodia della tronfia retorica che caratterizzava le adunate fasciste:
 
                                                            C'È QUALCUNO CHE RIDE

Serpeggia una voce in mezzo alla riunione:
— C'è qualcuno che ride.
Qua, là, dove la voce arriva, è come se si drizzi una
vipera, o un grillo springhi, o sprazzi uno specchio a ferir
gli occhi a tradimento.
Chi osa ridere?
Tutti si voltano di scatto a cercare in giro con occhi
fulminanti.
(Il salone enorme, illuminato sopra la folla degli invitati
dallo splendore di quattro grandi lampadarii di cristallo,
rimane in alto, nella tetraggine della sua polverosa
antichità, quasi spento e deserto; solo pare allarmata,
da un capo all'altro della volta, la crosta del violento affresco
secentesco che ha fatto tanto per soffocare e confondere
in un nerume di notte perpetua le truculente frenesie
della sua pittura; si direbbe non veda l'ora che ogni
agitazione cessi anche in basso e il salone sia sgombrato.)
Qualche faccia lunga, forzata con pietoso stiracchiamento
a un afflitto sorriso di compiacenza, forse, a guardar
bene, si trova; ma nessuno che rida, propriamente.
Ora, sorridere di compiacenza sarà lecito, sarà credo
anzi doveroso, se è vero che la riunione – molto seria –
vuole anche aver l'aria d'uno dei soliti trattenimenti cittadini
in tempo di carnevale. C'è difatti sulla pedana coperta
da un tappeto nero un'orchestrina di calvi inteschiti
che suona senza fine ballabili, e coppie ballano per dare
alla riunione un'apparenza di festa da ballo, all'invito e
quasi al comando di fotografi chiamati apposta. Stridono
però talmente il rosso, il celeste di certi abiti femminili
ed è cosí ribrezzosa la gracilità di certe spalle e di
certe braccia nude, che quasi quasi vien fatto di pensare
quei ballerini non siano stati estratti di sotterra per l'occasione,
giocattoli vivi d'altro tempo, conservati e ora ricaricati
artificialmente per dar questo spettacolo. Si sente
proprio il bisogno, dopo averli guardati, di attaccarsi
a un che di solido e rude: ecco, per esempio, la nuca di
questo vicino aggrondato che suda paonazzo e si fa vento
con un fazzoletto bianchissimo; la fronte da idiota di
quella vecchia signora. Strano intanto: sulla squallida tavola
dei rinfreschi, i fiori non sono finti, e allora fa tanta
malinconia pensare ai giardini da cui sono stati colti
questa mattina sotto una pioggerella chiara che spruzzolava
lieve pungente; e che peccato questa pallida rosa
già disfatta che serba nelle foglie cadute un morente
odore di carne incipriata.
Sperduto qua e là tra la folla, c'è anche qualche invitato
in domino, che sembra un fratellone in cerca del funerale.
La verità è che tutti questi invitati non sanno la ragione
dell'invito. È sonato in città come l'appello a un'adunata.
Ora, perplessi se convenga meglio appartarsi o
mettersi in mostra (che non sarebbe neanche facile tra
tanta folla) l'uno osserva l'altro, e chi si vede osservato
nell'atto di tirarsi indietro o di cercare di farsi avanti, appassisce
e resta lí; perché sono anche in sospetto l'uno
dell'altro e la diffidenza nella ressa dà smanie che a
stento riescono a contenere; occhiate alle spalle s'allungano
oblique che, appena scoperte, si ritraggono come
serpi.
— Oh guarda, sei qua anche tu?
— Eh, ci siamo tutti, mi pare.
Nessuno intanto osa chiedere perché, temendo di essere
lui solo ad ignorarlo, il che sarebbe colpa nel caso
che la riunione sia stata indetta per prendere una grave
decisione. Senza farsene accorgere, alcuni cercano con
gli occhi quei due o tre che si presume debbano essere
in grado di saperlo; ma non li trovano; si saranno riuniti
a consulto in qualche sala segreta, dove di tanto in tanto
qualcuno è chiamato e accorre impallidendo e lasciando
gli altri in un ansioso sbigottimento. Si cerca di desumere
dalle qualità di chi è stato chiamato e dalla sua posizione
e dalle sue aderenze che cosa di là possa essere in
deliberazione, e non si riesce a comprenderlo perché,
poco prima, è stato chiamato un altro di qualità opposte
e d'aderenze affatto contrarie.
Nella costernazione generale per questo mistero, l'orgasmo
va crescendo di punto in punto. Si sa un'inquietudine
come fa presto a propagarsi e come una cosa, passando
di bocca in bocca, si alteri fino a diventare un'altra.
Arrivano cosí da un capo all'altro del salone tali
enormità da far restare tramortiti. E dagli animi cosí tutti
in fermento vapora e si diffonde come un incubo, nel
quale, al suono angoscioso e spasimante di quell'orchestrina,
tra il brusío confuso che stordisce e i riverberi dei
lumi negli specchi, i piú strani fantasmi guizzano davanti
agli occhi di ciascuno, e come un fumo che trabocchi
in dense volute, dalle coscienze che covano in segreto il
fuoco d'inconfessati rimorsi, apprensioni traboccano e
paure e sospetti d'ogni genere; in tanti la smania istintiva
di correr subito a un riparo ha i piú impreveduti effetti:
chi sbatte gli occhi di continuo, chi guarda un vicino
senza vederlo e teneramente gli sorride, chi sbottona e
riabbottona senza fine un bottone del panciotto. Meglio
far vista di niente. Pensare a cose aliene. La Pasqua ch'è
bassa quest'anno. Uno che si chiama Buongiorno. Ma
che soffocazione intanto questa commedia con noi stessi.

Il fatto (se vero) che qualcuno ride non dovrebbe far tanta impressione, mi sembra, se tutti sono in quest'animo. Ma altro che impressione! Suscita un fierissimo sdegno, e proprio perché tutti sono in quest'animo: sdegno come per un'offesa personale, che si possa avere il coraggio di ridere apertamente. L'incubo grava cosí insopportabile su tutti, appunto perché a nessuno par lecito ridere. Se uno si mette a ridere e gli altri seguono l'esempio, se tutto quest'incubo frana d'improvviso in una risata generale, addio ogni cosa! Bisogna che in tanta incertezza e sospensione d'animi si creda e si senta che la riunione di questa sera è molto seria. Ma c'è poi veramente questo qualcuno che seguita a ridere, nonostante la voce che serpeggia ormai da un pezzo in mezzo alla riunione? Chi è? Dov'è? Bisogna dargli la caccia, afferrarlo per il petto, sbatterlo al muro, e, tutti coi pugni protesi, domandargli perché ride e di chi ride. Pare che non sia uno solo. Ah sí, piú d'uno? Dicono che sono almeno tre. Ma come, di concerto, o ciascuno per sé? Pare di concerto tutt'e tre. Ah sí? venuti dunque col deliberato proposito di ridere? Pare. È stata prima notata una ragazzona, vestita di bianco, tutta rossa in viso, prosperosa, un po' goffa, che si buttava via dalle risa in un angolo della sala di là. Non ci s'è fatto caso in principio, sia perché donna, sia per l'età. Ha solo urtato il suono inatteso della risata e alcuni si sono voltati come per una sconvenienza, diciamo pure impertinenza, tracotanza là, se si vuole, ma perdonabile, via: un riso da bambina, del resto subito troncato, vedendosi osservata. Scappata via da quell'angolo, curva, comprimendosi, con tutte e due le mani sulla bocca, ha fatto senso – questo sí – udirla ancora ridere di là, in un prorompimento convulso, forse a causa della compressione che fuggendo s'era imposta. Bambina? Ora si viene a sapere che ha, a dir poco, sedici anni, e due occhi che schizzano fiamme. Pare che vada fuggendo da una sala all'altra, come inseguita. Sí, sí, è inseguita difatti, è inseguita da un giovinotto molto bello, biondo come lei, che ride anche lui come un pazzo inseguendola; e di tratto in tratto si ferma sbalordito dall'improntitudine di lei che si ficca da per tutto; vorrebbe darsi un contegno ma non ci riesce; si volta di qua e di là come sentendosi chiamare, e certo si morde cosí le labbra per tenere a freno un impeto d'ilarità che gli gorgoglia dentro e gli fa sussultare lo stomaco. Ed ecco che ora hanno scoperto anche il terzo, un certo ometto elastico che va ballonzollando e battendo i due corti braccini sulla pancetta tonda e soda come due bacchette sul tamburo, la calvizie specchiante tra una rossa corona di capelli ricciuti e una faccia beata in cui il naso gli ride piú della bocca, e gli occhi piú della bocca e del naso, e gli ride il mento e gli ride la fronte, gli ridono perfino le orecchie. In marsina come tutti gli altri. Chi l'ha invitato? Come si sono introdotti nella riunione? Nessuno li conosce. Nemmeno io. Ma so che è lui il padre di quei due ragazzi, signore agiato che vive in campagna con la figlia, mentre il figlio è agli studii qua in città. Saranno capitati a questa finta festa da ballo per combinazione. Chi sa che cosa, venendo, si saran detta tra loro, che intese e scherzi segreti si saran tra loro da tempo stabiliti, burle note soltanto a loro, polveri in serbo, colorate, da fuochi d'artificio, pronte a esplodere a un minimo incentivo, sia pure d'uno sguardo di sfuggita: fatto si è che non possono stare insieme: si cercano però con gli occhi da lontano e, appena si sbirciano, voltano la faccia e sotto le mani sbruffano certe risate che sono veramente scandalose in mezzo a tanta serietà. L'ossessione di questa serietà è cosí su tutti incombente e soffocante, che nessuno riesce a supporre che quei tre ne possano esser fuori, lontani, e possano avere in sé invece una innocente e magari sciocca ragione di ridere cosí di nulla; la ragazza, per esempio, solo perché ha sedici anni e perché è abituata a vivere come una puledra in mezzo a un prato fiorito, una puledra che imbizzarrisca a ogni alito d'aria e salti e corra felice, non sa lei stessa di che: si può giurare che non s'accorge di nulla, che non ha il minimo sospetto dello scandalo che sta sollevando insieme col padre e col fratello cosí anch'essi festanti, alieni e lontani d'ogni sospetto. Sicché quando, riuniti alla fine tutt'e tre su di un divano della sala di là, il padre in mezzo tra il figlio e la figlia, contenti e spossati, con un gran desiderio di abbracciarsi per il divertimento che si son presi, sgorgato dalla loro stessa gioja in tutte quelle belle risate come in un fragorío d'effimere spume, si vedono venire incontro dalle tre grandi porte vetrate, come una nera marea sotto un cielo d'improvviso incavernato, tutta la folla degli invitati, lentamente, lentamente, con melodrammatico passo di tenebrosa congiura, dapprima non capiscono nulla, non credono che quella buffa manovra possa esser fatta per loro e si scambiano un'occhiata, ancora un po' sorridenti; il sorriso però va man mano smorendo in un crescente sbalordimento, finché, non potendo né fuggire e nemmeno indietreggiare, addossati come sono alla spalliera del divano, non piú sbalorditi ma atterriti ora, levano istintivamente le mani come a parar la folla che, seguitando a procedere, s'è fatta loro sopra, terribile. I tre maggiorenti, quelli che, proprio per loro e non per altro, s'erano riuniti a consulto in una sala segreta, proprio per la voce che serpeggiava del loro riso inammissibile a cui han deliberato di dare una punizione solenne e memorabile, ecco, sono entrati dalla porta di mezzo e sono avanti a tutti, coi cappucci del domino abbassati fin sul mento e burlescamente ammanettati con tre tovaglioli, come rei da punire che vengano a implorare da loro pietà. Appena sono davanti al divano, una enorme sardonica risata di tutta la folla degli invitanti scoppia fracassante e rimbomba orribile piú volte nella sala. Quel povero padre, sconvolto, annaspa tutto tremante, riesce a prendersi sotto braccio i due figli e, tutto ristretto in sé, coi brividi che gli spaccano le reni, senza poter nulla capire, se ne scappa, inseguito dal terrore che tutti gli abitanti della città siano improvvisamente impazziti.
 Luigi Pirandello


2 commenti:

  1. E se ci mettessimo a ridere tutti di fronte ai potenti d'oggi?

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  2. Penso davvero che sia arrivato il momento di riprendere a ridere in faccia ai potenti di turno...
    Da bambino ridevo durante le lezioni di catechismo e di fronte ad un maestro bacchettone che mi fece girare tutta la scuola con un cartello in cui c'era scritto: PRIMO ASINO DELLA CLASSE! ...Sì, avevo coscienza di classe fin da piccolo!

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