L’amico Bernardo Puleio, collaboratore
di nuovabusambra, ha postato nel suo
diario di fb una delle più belle novelle di Pirandello che, con la sua ironia
dissacrante, ci lascia una straordinaria parodia della tronfia retorica che
caratterizzava le adunate fasciste:
C'È QUALCUNO CHE RIDE
C'È QUALCUNO CHE RIDE
Serpeggia una voce in mezzo alla riunione:
— C'è qualcuno che ride.
Qua, là, dove la voce arriva, è come se si drizzi una
vipera, o un grillo springhi, o sprazzi uno specchio a ferir
gli occhi a tradimento.
Chi osa ridere?
Tutti si voltano di scatto a cercare in giro con occhi
fulminanti.
(Il salone enorme, illuminato sopra la folla degli invitati
dallo splendore di quattro grandi lampadarii di cristallo,
rimane in alto, nella tetraggine della sua polverosa
antichità, quasi spento e deserto; solo pare allarmata,
da un capo all'altro della volta, la crosta del violento affresco
secentesco che ha fatto tanto per soffocare e confondere
in un nerume di notte perpetua le truculente frenesie
della sua pittura; si direbbe non veda l'ora che ogni
agitazione cessi anche in basso e il salone sia sgombrato.)
Qualche faccia lunga, forzata con pietoso stiracchiamento
a un afflitto sorriso di compiacenza, forse, a guardar
bene, si trova; ma nessuno che rida, propriamente.
Ora, sorridere di compiacenza sarà lecito, sarà credo
anzi doveroso, se è vero che la riunione – molto seria –
vuole anche aver l'aria d'uno dei soliti trattenimenti cittadini
in tempo di carnevale. C'è difatti sulla pedana coperta
da un tappeto nero un'orchestrina di calvi inteschiti
che suona senza fine ballabili, e coppie ballano per dare
alla riunione un'apparenza di festa da ballo, all'invito e
quasi al comando di fotografi chiamati apposta. Stridono
però talmente il rosso, il celeste di certi abiti femminili
ed è cosí ribrezzosa la gracilità di certe spalle e di
certe braccia nude, che quasi quasi vien fatto di pensare
quei ballerini non siano stati estratti di sotterra per l'occasione,
giocattoli vivi d'altro tempo, conservati e ora ricaricati
artificialmente per dar questo spettacolo. Si sente
proprio il bisogno, dopo averli guardati, di attaccarsi
a un che di solido e rude: ecco, per esempio, la nuca di
questo vicino aggrondato che suda paonazzo e si fa vento
con un fazzoletto bianchissimo; la fronte da idiota di
quella vecchia signora. Strano intanto: sulla squallida tavola
dei rinfreschi, i fiori non sono finti, e allora fa tanta
malinconia pensare ai giardini da cui sono stati colti
questa mattina sotto una pioggerella chiara che spruzzolava
lieve pungente; e che peccato questa pallida rosa
già disfatta che serba nelle foglie cadute un morente
odore di carne incipriata.
Sperduto qua e là tra la folla, c'è anche qualche invitato
in domino, che sembra un fratellone in cerca del funerale.
La verità è che tutti questi invitati non sanno la ragione
dell'invito. È sonato in città come l'appello a un'adunata.
Ora, perplessi se convenga meglio appartarsi o
mettersi in mostra (che non sarebbe neanche facile tra
tanta folla) l'uno osserva l'altro, e chi si vede osservato
nell'atto di tirarsi indietro o di cercare di farsi avanti, appassisce
e resta lí; perché sono anche in sospetto l'uno
dell'altro e la diffidenza nella ressa dà smanie che a
stento riescono a contenere; occhiate alle spalle s'allungano
oblique che, appena scoperte, si ritraggono come
serpi.
— Oh guarda, sei qua anche tu?
— Eh, ci siamo tutti, mi pare.
Nessuno intanto osa chiedere perché, temendo di essere
lui solo ad ignorarlo, il che sarebbe colpa nel caso
che la riunione sia stata indetta per prendere una grave
decisione. Senza farsene accorgere, alcuni cercano con
gli occhi quei due o tre che si presume debbano essere
in grado di saperlo; ma non li trovano; si saranno riuniti
a consulto in qualche sala segreta, dove di tanto in tanto
qualcuno è chiamato e accorre impallidendo e lasciando
gli altri in un ansioso sbigottimento. Si cerca di desumere
dalle qualità di chi è stato chiamato e dalla sua posizione
e dalle sue aderenze che cosa di là possa essere in
deliberazione, e non si riesce a comprenderlo perché,
poco prima, è stato chiamato un altro di qualità opposte
e d'aderenze affatto contrarie.
Nella costernazione generale per questo mistero, l'orgasmo
va crescendo di punto in punto. Si sa un'inquietudine
come fa presto a propagarsi e come una cosa, passando
di bocca in bocca, si alteri fino a diventare un'altra.
Arrivano cosí da un capo all'altro del salone tali
enormità da far restare tramortiti. E dagli animi cosí tutti
in fermento vapora e si diffonde come un incubo, nel
quale, al suono angoscioso e spasimante di quell'orchestrina,
tra il brusío confuso che stordisce e i riverberi dei
lumi negli specchi, i piú strani fantasmi guizzano davanti
agli occhi di ciascuno, e come un fumo che trabocchi
in dense volute, dalle coscienze che covano in segreto il
fuoco d'inconfessati rimorsi, apprensioni traboccano e
paure e sospetti d'ogni genere; in tanti la smania istintiva
di correr subito a un riparo ha i piú impreveduti effetti:
chi sbatte gli occhi di continuo, chi guarda un vicino
senza vederlo e teneramente gli sorride, chi sbottona e
riabbottona senza fine un bottone del panciotto. Meglio
far vista di niente. Pensare a cose aliene. La Pasqua ch'è
bassa quest'anno. Uno che si chiama Buongiorno. Ma
che soffocazione intanto questa commedia con noi stessi.
Il fatto (se vero) che qualcuno ride
non dovrebbe far
tanta impressione, mi sembra, se tutti sono in
quest'animo.
Ma altro che impressione! Suscita un fierissimo
sdegno, e proprio perché tutti sono in quest'animo:
sdegno
come per un'offesa personale, che si possa avere il
coraggio di ridere apertamente. L'incubo grava cosí
insopportabile
su tutti, appunto
perché a nessuno par lecito
ridere. Se uno si mette a ridere e gli altri
seguono l'esempio,
se tutto quest'incubo frana d'improvviso in una
risata generale, addio ogni cosa! Bisogna che in
tanta incertezza
e sospensione d'animi si creda e si senta che la
riunione di questa sera è molto seria.
Ma c'è poi veramente questo qualcuno che seguita a
ridere, nonostante la voce che serpeggia ormai da
un
pezzo in mezzo alla riunione? Chi è? Dov'è? Bisogna
dargli la caccia, afferrarlo per il petto,
sbatterlo al muro,
e, tutti coi pugni protesi, domandargli perché ride
e di
chi ride. Pare che non sia uno solo. Ah sí, piú
d'uno? Dicono
che sono almeno tre. Ma come, di concerto, o
ciascuno
per sé? Pare di concerto tutt'e tre. Ah sí? venuti
dunque col deliberato proposito di ridere? Pare.
È stata prima notata una ragazzona, vestita di
bianco,
tutta rossa in viso, prosperosa, un po' goffa, che
si buttava
via dalle risa in un angolo della sala di là. Non
ci s'è
fatto caso in principio, sia perché donna, sia per
l'età. Ha
solo urtato il suono inatteso della risata e alcuni
si sono
voltati come per una sconvenienza, diciamo pure
impertinenza,
tracotanza là, se si vuole, ma perdonabile, via:
un riso da bambina, del resto subito troncato,
vedendosi
osservata. Scappata via da quell'angolo, curva,
comprimendosi,
con tutte e due le mani sulla bocca, ha fatto
senso – questo sí – udirla ancora ridere di là, in
un prorompimento
convulso, forse a causa della compressione
che fuggendo s'era imposta. Bambina? Ora si viene a
sapere
che ha, a dir poco, sedici anni, e due occhi che
schizzano fiamme. Pare che vada fuggendo da una
sala
all'altra, come inseguita. Sí, sí, è inseguita
difatti, è inseguita
da un giovinotto molto bello, biondo come lei, che
ride anche lui come un pazzo inseguendola; e di
tratto in
tratto si ferma sbalordito dall'improntitudine di
lei che si
ficca da per tutto; vorrebbe darsi un contegno ma
non ci
riesce; si volta di qua e di là come sentendosi
chiamare,
e certo si morde cosí le labbra per tenere a freno
un impeto
d'ilarità che gli gorgoglia dentro e gli fa
sussultare
lo stomaco. Ed ecco che ora hanno scoperto anche il
terzo,
un certo ometto elastico che va ballonzollando e
battendo
i due corti braccini sulla pancetta tonda e soda
come due bacchette sul tamburo, la calvizie
specchiante
tra una rossa corona di capelli ricciuti e una
faccia beata
in cui il naso gli ride piú della bocca, e gli
occhi piú della
bocca e del naso, e gli ride il mento e gli ride la
fronte,
gli ridono perfino le orecchie. In marsina come
tutti
gli altri. Chi l'ha invitato? Come si sono
introdotti nella
riunione? Nessuno li conosce. Nemmeno io. Ma so che
è lui il padre di quei due ragazzi, signore agiato
che vive
in campagna con la figlia, mentre il figlio è agli
studii
qua in città. Saranno capitati a questa finta festa
da ballo
per combinazione. Chi sa che cosa, venendo, si
saran
detta tra loro, che intese e scherzi segreti si
saran tra
loro da tempo stabiliti, burle note soltanto a
loro, polveri
in serbo, colorate, da fuochi d'artificio, pronte a
esplodere
a un minimo incentivo, sia pure d'uno sguardo di
sfuggita: fatto si è che non possono stare insieme:
si cercano
però con gli occhi da lontano e, appena si
sbirciano,
voltano la faccia e sotto le mani sbruffano certe
risate
che sono veramente scandalose in mezzo a tanta
serietà.
L'ossessione di questa serietà è cosí su tutti
incombente
e soffocante, che nessuno riesce a supporre che
quei tre ne possano esser fuori, lontani, e possano
avere
in sé invece una innocente e magari sciocca ragione
di
ridere cosí di nulla; la ragazza, per esempio, solo
perché
ha sedici anni e perché è abituata a vivere come
una puledra
in mezzo a un prato fiorito, una puledra che
imbizzarrisca
a ogni alito d'aria e salti e corra felice, non sa
lei stessa di che: si può giurare che non s'accorge
di nulla,
che non ha il minimo sospetto dello scandalo che
sta
sollevando insieme col padre e col fratello cosí
anch'essi
festanti, alieni e lontani d'ogni sospetto.
Sicché quando, riuniti alla fine tutt'e tre su di
un divano
della sala di là, il padre in mezzo tra il figlio e
la figlia,
contenti e spossati, con un gran desiderio di
abbracciarsi
per il divertimento che si son presi, sgorgato
dalla loro stessa gioja in tutte quelle belle
risate come in
un fragorío d'effimere spume, si vedono venire
incontro
dalle tre grandi porte vetrate, come una nera marea
sotto
un cielo d'improvviso incavernato, tutta la folla
degli invitati,
lentamente, lentamente, con melodrammatico
passo di tenebrosa congiura, dapprima non capiscono
nulla, non credono che quella buffa manovra possa
esser
fatta per loro e si scambiano un'occhiata, ancora
un po'
sorridenti; il sorriso però va man mano smorendo in
un
crescente sbalordimento, finché, non potendo né
fuggire
e nemmeno indietreggiare, addossati come sono alla
spalliera del divano, non piú sbalorditi ma
atterriti ora,
levano istintivamente le mani come a parar la folla
che,
seguitando a procedere, s'è fatta loro sopra,
terribile. I
tre maggiorenti, quelli che, proprio per loro e non
per altro,
s'erano riuniti a consulto in una sala segreta,
proprio
per la voce che serpeggiava del loro riso
inammissibile
a cui han deliberato di dare una punizione solenne
e memorabile,
ecco, sono entrati dalla porta di mezzo e sono
avanti a tutti, coi cappucci del domino abbassati
fin sul
mento e burlescamente ammanettati con tre
tovaglioli,
come rei da punire che vengano a implorare da loro
pietà.
Appena sono davanti al divano, una enorme sardonica
risata di tutta la folla degli invitanti scoppia
fracassante
e rimbomba orribile piú volte nella sala. Quel
povero
padre, sconvolto, annaspa tutto tremante, riesce a
prendersi sotto braccio i due figli e, tutto ristretto
in sé,
coi brividi che gli spaccano le reni, senza poter
nulla capire,
se ne scappa, inseguito dal terrore che tutti gli
abitanti
della città siano improvvisamente impazziti.
Luigi Pirandello
Luigi Pirandello
E se ci mettessimo a ridere tutti di fronte ai potenti d'oggi?
RispondiEliminaPenso davvero che sia arrivato il momento di riprendere a ridere in faccia ai potenti di turno...
RispondiEliminaDa bambino ridevo durante le lezioni di catechismo e di fronte ad un maestro bacchettone che mi fece girare tutta la scuola con un cartello in cui c'era scritto: PRIMO ASINO DELLA CLASSE! ...Sì, avevo coscienza di classe fin da piccolo!