14 marzo 2014

FILOSOFIA E STORIA IN WALTER BENJAMIN





Walter Benjamin (1892-1940) è stato uno dei pensatori più significativi del secolo scorso, il suo marxismo critico (insieme a quello di Gramsci) rappresenta uno dei pochi utensili ancora utilizzabili per la ri/costruzione di un pensiero radicalmente altro del presente. Esemplari a questo titolo sono le sue tesi sulla filosofia della storia di cui presentiamo qui un estratto:


Walter Benjamin

TESI DI FILOSOFIA DELLA STORIA (1940)


I.
Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere, ad ogni mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli assicurava la vittoria. Un fantoccio in veste di turco, con una pipa in bocca, sedeva di fronte alla scacchiera, poggiata su un’ampia tavola. Un sistema di specchi suscitava l’illusione che questa tavola fosse trasparente da tutte le parti. In realtà c’era accoccolato un nano gobbo, che era un asso nel gioco degli scacchi e che guidava per mezzo di fili la mano del burattino. Qualcosa di simile a questo apparecchio si può immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il fantoccio chiamato «materialismo storico». Esso può farcela senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è noto, è piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.

II.
[…] Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa esigenza non si lascia soddisfare facilmente. Il materialista storico lo sa.

III.
Il cronista che enumera gli avvenimenti senza distinguere i piccoli e i grandi, tiene conto della verità che nulla di ciò che si è verificato va dato perduto per la storia. Certo, solo all’umanità redenta tocca interamente il suo passato. Vale a dire che solo per l’umanità redenta il passato è citabile in ognuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi attimi vissuti diventa una «citation à l’ordre du jour» - e questo giorno è il giorno finale. […]

VI.
Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «come propriamente è stato». Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo. solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere. […]

VIII.
La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea della storia da cui proviene non sta più in piedi.

                Paul Klee, Angelus Novus
 
IX.
[...] C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, e le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine cresce davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. […]
 

XIII.
[...] La teoria socialdemocratica, e più ancora la prassi, era determinata da un concetto di progresso che non si atteneva alla realtà, ma presentava un’istanza dogmatica. Il progresso, come si delineava nel pensiero dei socialdemocratici, era, anzitutto, un progresso dell’umanità stessa (e non solo delle sue capacità e conoscenze). Era, in secondo luogo, un progresso interminabile (corrispondente a una perfettibilità infinita dell’umanità). Ed era, in terzo luogo, essenzialmente incessante (tale da percorrere spontaneamente una linea retta o spirale). Ciascuno di questi predicati è controverso, e da ciascuno potrebbe prendere le mosse la critica. Ma essa, se si vuole fare sul serio, deve risalire oltre questi predicati e rivolgersi a qualcosa di comune a essi tutti. La concezione di un progresso del genere umano nella storia è inseparabile da quella del processo della storia stessa come percorrente un tempo omogeneo e vuoto. La critica dell’idea di questo processo deve costituire la base della critica all’idea del progresso come tale.

XIV.
L’origine è la meta. (Karl Kraus, Worte in Versen I. )
La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di «attualità». Così, per Robespierre, la Roma antica era un passato carico di attualità, che egli faceva schizzare nella continuità della storia. La Rivoluzione francese s’intendeva come una Roma ritornata. Essa richiamava l’antica Roma esattamente come la moda richiama in vita un costume d’altri tempi. La moda ha il senso dell’attuale, dovunque esso viva nella selva del passato. Essa è un balzo di tigre nel passato. Ma questo balzo ha luogo in un’arena dove comanda la classe dominante. Lo stesso balzo, sotto il cielo libero della storia, è quello dialettico, come Marx ha inteso la rivoluzione.


XV.
La coscienza di far saltare il continuum della storia è propria delle classi rivoluzionari nell’attimo della loro azione. La grande rivoluzione ha introdotto un nuovo calendario. Il giorno in cui ha inizio un calendario funge da acceleratore storico. Ed è in fondo lo stesso giorno che ritorna sempre nella forma dei giorni festivi, che sono i giorni del ricordo. I calendari non misurano il tempo come orologi. Essi sono monumenti di una coscienza storica di cui in Europa, da cento anni a questa parte, sembrano essersi perdute le tracce. Ancora nella Rivoluzione di Luglio si è verificato un episodio in cui si è affermata questa coscienza Quando scese la sera del primo giorno di battaglia, avvenne che in molti luoghi di Parigi, indipendentemente e nello stesso tempo, si sparasse contro gli orologi delle torri. Un testimonio oculare, che deve forse la sua divinazione alla rima, scrisse allora: «Qui le croirait! on dit, qu’irrités contre l’heure De nouveaux Josués au pied de chaque tour Tiraient sur les cadrans pour arrêter le jour».

XVI.
Al concetto di un presente che non è passaggio, ma in bilico nel tempo e immobile, il materialista storico non può rinunciare. Poiché questo concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive storia. Lo storicismo postuma un’immagine «eterna» del passato, il materialista storico un’esperienza unica con esso. Egli lascia che altri sprechino le proprie forze con la meretrice «C’era una volta» nel bordello dello storicismo. Egli rimane signore delle sue forze: abbastanza uomo per far saltare il continuum della storia.

XVII.
Lo storicismo culmina in linea di diritto nella «storia universale». Da cui la storiografia materialistica si differenzia – dal punto di vista metodico – forse più nettamente che da ogni altra. La prima non ha un’armatura teoretica. Il suo procedimento è quello dell’addizione; essa fornisce una massa di fatti per riempire il tempo omogeneo e vuoto. Alla base della storiografia materialistica è invece un principio costruttivo. Al pensiero non appartiene solo il movimento delle idee, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si arresta di colpo in una costellazione carica di tensioni, le impartisce un urto per cui esso si cristallizza in una monade. In questa struttura egli riconosce il segno di un arresto messianico dell’accadere o, detto altrimenti, di unachance rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso. Egli la coglie per far saltare un’epoca determinata dal corso omogeneo della storia; come per far saltare una determinata vita dall’epoca, una determinata opera dall’opera complessiva. Il risultato del suo procedere è che nell’opera è conservata e soppressa l’opera complessiva, nell’opera complessiva l’epoca e nell’epoca l’intero decorso della storia. Il frutto nutriente dello storicamente compreso ha dentro di sé il tempo, come il seme prezioso ma privo di sapore.


[Tesi di filosofia della storia (1940), in: Benjamin, Angelus novus. Saggi e frammenti, trad. it. di R. Solmi, Torino, Giulio Einaudi editore, pp. 75–86.]

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