Nell'invitare tutti a partecipare alla presentazione dell'ultimo libro di Matteo Di Gesù, può essere utile rileggere questa recensione:
Italia o Italie?
Mario Minarda
Codificare’, ‘canonizzare’, ‘imitare’ e, perché no? 'riscrivere’ sono verbi del tutto consueti e forse abusati se riferiti al sistema letterario italiano. Lo diventano ancora di più quando si legano, in prospettiva educativa, a dinamiche identitarie e a conglobati retorici che finiscono inevitabilmente per incidere nell’immaginario collettivo, cristallizzandolo in pose ideologiche e auto-narrazioni statiche. Al contrario il nuovo libro di Matteo Di Gesù (Una nazione di carta. Tradizione letteraria e identità italiana, Carocci, Roma, pp.192, 2013), partendo da questi stessi noti assunti, dinamizza e smonta in modo proficuo il rapporto diadico tra letteratura e identità nazionale secondo interessanti diramazioni plurali che tengono conto dei vari paradigmi critici avvicendatisi nel corso degli ultimi anni: dagli studi culturali, a quelli postcoloniali, alla recente, valida geocritica.
Propositiva cartina di tornasole di tale itinerario in movimento è, senza indugiare in deplorevoli lamentazioni, la consapevolezza di un progressivo deperimento degli studi letterari e umanistici nel mondo della scuola e, con capillare propagazione, anche in ambito accademico. Ma, scrive con perplessa fiducia l’autore, «proprio l’indebolimento delle prerogative pedagogiche-nazionali dello studio della letteratura italiana, e in generale degli studi umanistici, potrebbe offrire inoltre un’occasione propizia per ripensare i loro statuti epistemologici, per un’apertura ad approcci sovranazionali, a metodologie pluridisciplinari, ad un’idea meno ingessata e istituzionale di humanities». L’invito è quindi quello di una lettura della nostra tradizione letteraria sensibile ai mutamenti, alle contaminazioni, ai meticciati e alle preziose impurità provenienti dal mondo esterno. È chiaro, ricordandosi dell’«Italia mia» di petrarchesca memoria, che il possessivo “nostra”, sempre riferito al “Bel paese”, è una banale provocazione tutta da decostruire per la comunità futura: con opportuna negoziazione dei significati, si intende.
Nel volume vengono così ripercorsi cronologicamente luoghi e figure, immagini e temi, generi e circolazioni della storia letteraria italiana, da Dante e Petrarca fino a Pasolini e Manganelli, passando per i trattatisti cinquecenteschi e i saggisti del Settecento, a torto trascurati (Baretti, Bettinelli, Calepio, Denina, solo per citarne alcuni), non senza documentare appurate precisazioni filologiche e puntuali rigori critici. Sono rintracciati sovrasensi, laddove non sensi primari, negli stessi testi catalogati come più “popolari” o considerati “minori”: il Pinocchio collodiano, il Guerrin meschino, I Reali di Francia. Tant’è che il libro potrebbe essere considerato (e per certi aspetti lo è) uno splendido e icastico manuale sui manuali che studiano il suddetto tema, o chissà, un funambolico libro alla rovescia che riflette alcuni gangli interpretativi e ri-legge inveterati stereotipi. Inteso: una tradizione che va certo vagliata, ma con più apertura e flessibiltà.
Si scopre così che sia il Dante del primo canto dell’Inferno, ma anche la pre-risorgimentale ode manzoniana Marzo 1821, oppure , ancora, la canzone di Leopardi La Ginestra (per marcare i luoghi più celebri) possono essere letti con angolature ibride, plurime e non settariamente localistiche o identitarie.
Infine l’epilogo polemico di Una nazione di carta abbozza una proposta combattiva e militante, rivolta non solo ad addetti ai lavori, ma anche e soprattutto alla comunità di migliaia di giovani studiosi e studenti negli atenei, indicando loro mappe interpretative a ‘grado zero’ e fornendo al contempo i pastelli critici per colorarle insieme. Disegnando ogni volta rotte alternative e resistenti alle incipienti omologazioni.
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NOTA
Articolo pubblicato con il titolo “Parole e versi dell’identità nazionale” su “Il manifesto” del 20-03-2014.
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