23 marzo 2014

IL SUD OLTRE PIZZICA E TARANTA





La “pizzica” è finita. Il Sud è in grazia di Dio


La pizzica è finita, gli amici se ne vanno… Per il nuovo film di Edoardo Winspeare, In grazia di Dio, si potrebbe parafrasare il celebre brano di Umberto Bindi. Non sono da meno, anzi, i versi di Vittorio Bodini: «Qui non vorrei vivere dove vivere / mi tocca, mio paese / così sgradito da doverti amare» (da La luna dei Borboni, 1952). Risuonano sullo schermo come una spina nel cuore della trama, recitati dal personaggio di un’aspirante attrice. Siamo ancora una volta nel Salento terragno e metafisico caro al nostro regista. E ancora una volta, a dispetto dei cantori dell’«attrattività territoriale», non si tratta di una piccola patria sottratta al mondo e consegnata alla nostalgia. Macché! Nel cinema di Winspeare la Puglia del Tacco è una concrezione/rarefazione della Storia, pervasa puntualmente dai fattacci della cronaca (il crimine, i migranti), sebbene sia sospesa fra il verde degli ulivi e un’«azzurra lontananza» alla Hesse.
Stavolta gli orti sul mare della perduta civiltà contadina tornano a essere una promessa contro la miseria. La terra scongiura la recessione in atto. Addirittura si rivede il baratto: frutta e verdura in cambio di benzina, galline e uova per ottenere altri generi alimentari, lezioni private offerte per simpatia o per amore.
La stessa realizzazione «a chilometro zero» del film – girato tra Giuliano, Castrignano del Capo e Tricase – si è avvalsa di sponsor locali che vi hanno contribuito «in natura». In grazia di Dio è una produzione di Rai Cinema e della «Saietta Film» allestita dal regista con Alessandro Contessa e Gustavo Caputo (quest’ultimo anche attore nel ruolo dell’impiegato buono di Equitalia), con il sostegno della Apulia Film Commission e dell’assessorato regionale alle Politiche agricole. Il film arriverà nelle sale il 27 marzo  forte dei consensi ricevuti all’anteprima nel «Panorama» del festival di Berlino, distribuito dalla «Good Films» dei fratelli Ginevra e Lapo Elkann.
L’antropologia culturale meridiana cara a Ernesto De Martino, Franco Pinna, Diego Carpitella, poi rinnovellata nel corso del tempo dai Barbano, Durante, Spedicato, Rosaleva e da Winspeare medesimo, resta l’orizzonte delle elegie di questo autore alle soglie dei cinquanta. Nato a Klagenfurt nel 1965, rampollo di una famiglia nobile per metà inglese e per metà austroungarica, Edoardo lu figghiu te lu barone è cresciuto e continua a vivere nel castello di famiglia in quel di Depressa (Tricase). È un esempio di artista che più glocal non si potrebbe: ispirazione locale, afflato globale, in opere  come Sangue vivoIl miracolo e Galantuomini. Stavolta di scena ci sono le storie quotidiane di  quattro donne di tre generazioni differenti. In grazia di Dio è quasi del tutto  recitato in dialetto leccese, con sottotitoli in italiano. I possibili modelli? Diremmo Ermanno Olmi e Abbas Kiarostami, ovvero il cinema delle pause, degli sguardi, delle immagini nitide e delle parole autentiche.
Ma la vera «notizia» è la fine dell’energia espansiva della pizzica o taranta che proprio Winspeare – una sorta di giovane Zorba il Salentino – contribuì a lanciare quasi vent’anni fa con il film d’esordio, Pizzicata (autocitato in In grazia di Dio), e fondando l’Officina Zoè. Rito ancestrale e danza bellicosa o erotica,trance ed esorcismo, la pizzica è ormai un ramo dionisiaco della World Music all’apice ogni agosto nella «Notte della taranta» di Melpignano. Il fenomeno, come sappiamo, si presta a incarnare extra moenia una Puglia «mitica» che nella musica nasconde o edulcora i suoi conflitti e le sue ferite. Per esempio il dramma dell’Ilva di Taranto, dove l’estate scorsa si tenne una fallimentare anteprima della «Notte della Taranta». Ebbene, di tale «narrazione» o  ideologia della pizzica non v’è traccia nel nuovo Winspeare: i personaggi magari cantano, però non ballano. Niente tamburelli scatenati e catarsi sudaticcia. Quando si affaccia, l’allegria è intima, non esibita, assai pudica.
Così il profondo Sud prova di nuovo a essere un Sud profondo, pensoso e amareggiato fino all’ira come la corrusca protagonista Adele (Celeste Casciaro, nella vita moglie di Edoardo). C’è lei al centro della trama matriarcale: separata da un uomo simpatico e canagliesco di nome Crocifisso, abita con la madre vedova sessantacinquenne innamorata di un fattore (le sequenze più intense e sobrie nelle due ore e passa della storia), con la sorella aspirante attrice che – appunto – declama Bodini e manca a un provino leccese per Ozpetek, con la figlia adolescente ribelle e ignorante destinata a un bel guaio…
Adele era titolare di una minuscolo laboratorio tessile chiuso per colpa della concorrenza cinese, insieme al fratello che perciò è emigrato in Svizzera. Costretta a svendere la casa pur di ripianare parte dei debiti verso Equitalia, con le altre si trasferisce in campagna, in un pezzo di terra di residua proprietà. Vanno avanti fra molti problemi e qualche aiuto in un tugurio senza elettricità, che tuttavia presto emana e riflette una vaga luminosa speranza, più poetica che politica, senza traccia retorica – per fortuna – della «decrescita felice» di Latouche e compagni. Magari ricominciare è possibile «nel sud del sud dei santi» (Carmelo Bene) mai in grazia di Dio. Magari.

 Questo pezzo è uscito sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
Ripreso  il  22 marzo 2014 · da   http://www.minimaetmoralia.it/ (La foto è di Cosimo Cortese)

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