17 marzo 2014

IN MEMORIA DI CESARE SEGRE



Ieri è morto il filologo Cesare Segre (1928-2014). Questo articolo è  uscito su «Alias - il manifesto» del 9 marzo 2014 e ripreso oggi dal sito   http://www.leparoleelecose.it/

L’opera critica di Cesare Segre

di Niccolò Scaffai
«Da una parte c’è l’attitudine oggi necessaria per affrontare la complessità del reale, rifiutandosi alle visioni semplicistiche. […] Dall’altra parte c’è il fascino del labirinto in quanto tale». Vengono in mente queste frasi di Italo Calvino (La sfida al labirinto, 1962), leggendo l’antologia degli scritti di Cesare Segre, Opera critica, a cura di Alberto Conte e Andrea Mirabile, con un saggio introduttivo di Gian Luigi Beccaria, Milano, Mondadori «I Meridiani», pp. 1696, euro 60,00. Infatti, se da un lato i saggi di Segre mostrano sempre una forte tensione razionale, spesso mediata dalla signoria dei toni esplicativi, dall’altro rivelano la reattività conoscitiva dell’autore, la sua «indomabile curiositas» (l’espressione è di Beccaria), l’erranza nella storia e nella geografia letteraria, fra i testi e le tradizioni. Per praticare critica testuale, scrive in queste pagine il filologo, occorre del resto un’«attitudine combinatoria», virtù che non mancava certo a Calvino.
Non servirebbe ricordare qui l’estensione e la ricchezza dei terreni intellettuali attraversati da Segre nella sua opera critica; ma è bene farlo, per riportare all’attenzione qualità e valori oggi sempre meno coltivati: la misura sperimentale e teoretica (contro gli entusiasmi confusivi e le depressioni apocalittiche), l’apertura verso letterature in lingue e di epoche diverse, incrociate lungo gli assi della storia e del metodo (contro l’angustia disciplinare e monolinguistica che fuori d’Italia minaccia la filologia romanza, la materia insegnata da Segre a Pavia, e la romanistica in genere; e che in Italia ostacola il riconoscimento delle prospettive inter- o multidisciplinari e comparative).
Proprio a Calvino, quello vertiginoso e combinatorio di Se una notte d’inverno un viaggiatore e delle Città invisibili, sono dedicati due dei saggi qui raccolti, che insieme a quelli su Gadda, Pavese, Fenoglio, Meneghello, Morselli, Pizzuto, Consolo (e su Machado, Kafka, García Márquez) danno una testimonianza consistente degli interessi novecenteschi di Segre. Gli studi medievali e rinascimentali – dalla Chanson de Roland al Convivio, dalRitmo cassinese alle Satire ariostesche – stanno all’altro capo del filo cronologico; filo che non si distende in modo continuo, ma che si riavvolge quasi in ognuna delle dodici sezioni di cui il libro si compone. La scelta infatti è stata quella di non ripubblicare nel «Meridiano» interi volumi, ma di selezionare e riaggregare gli scritti, in base all’affinità di metodo o contenuto, con altri originariamente usciti in sedi diverse. Così, ad esempio, sezioni più istituzionali (Un po’ di filologia) si alternano ad altre organizzate intorno a un genere (Le leggi della scena), a un tema (I mondi altri), a una demarcazione stilistica (La linea espressionistica), a un metodo analitico (Dinamica delle varianti d’autore). Queste ultime si collocano sotto l’insegna del principaleinventor dell’idea critica di espressionismo letterario e del metodo variantistico: Gianfranco Contini, di cui Segre, nella diversità e nell’autonomia dal modello, ha raccolto una quota cospicua dell’eredità scientifica e simbolica. D’altra parte, sezioni come Le rivelazioni delle fonti includono studi in cui l’incontro di sensibilità teorica e consapevolezza filologica ha permesso al critico di elaborare nuovi, decisivi termini analitici. Penso in particolare a Intertestualità e interdiscorsività nel romanzo e nella poesia: sviluppando e precisando attraverso Bachtin le implicazioni del concetto d’intertestualità introdotto da Julia Kristeva, Segre spiega come, in alternativa al rapporto diretto tra il testo e la singola fonte individuale, si instauri spesso un legame tra il testo e la serie di enunciati o discorsi registrati nella cultura da cui quel testo proviene.
Se, aprendo il «Meridiano», sulle prime dispiace notare la dissoluzione al suo interno di libri compositi ma canonici come Notizie dalla crisi o Fuori dal mondo, è pur vero che la riconfigurazione del macrotesto critico da parte dell’autore (e dei curatori: il romanista Alberto Conte e l’italianista e teorico Andrea Mirabile) è ispirata da buone ragioni: la praticabilità editoriale, innanzitutto, ma più ancora direi la volontà di costruire il racconto implicito di una vicenda intellettuale per l’interposto esempio dell’opera saggistica. La «mia critica – osserva lo stesso Segre nelle Ragioni di una scelta premesse al volume – ha assimilato acquisizioni metodologiche offerte dal progresso delle conoscenze e dei rapporti culturali, ha fruito a volte di ampliamenti dell’organizzazione mentale, ma spesso anche di curiosità e idiosincrasie: la mia critica è, insomma, il frutto della mia biografia». Una «specie di autobiografia» Segre l’aveva già pubblicata alcuni anni fa (Per curiosità, Einaudi 1999); ma credo che questo «Meridiano» adempia con più verità e generosità culturale l’istanza pur indiretta di autoriflessione. È la struttura stessa del volume a suggerirlo: l’avvicendarsi delle sezioni delinea infatti una specie di Bildung conoscitiva, che procede dai confini familiari della stilistica e della filologia verso i territori diversi in cui l’individuo precisa e realizza i propri valori nell’incontro con l’altro e nell’emersione di un sé più autentico. Emblematiche in questo senso sono soprattutto le due sezioni finali: Verso il linguaggio dell’immagine Etica e letteratura, che include il saggio omonimo – e solo quello – uscito nel 2005 in Tempo di bilanci. Se in molti degli studi precedenti la preoccupazione maggiore era quella di tenersi alla verità del testo scritto (che rimane comunque e sempre al centro dell’orizzonte), lasciando da parte i processi mentali e le connessioni casuali all’origine della fase creativa; se la critica e la filologia ispirano esercizi di dignità per situarsi nel «nostro mondo […] carico di lusinghe e di terrori, di voluttà e sofferenze» (Mondi possibili e mondi profetici nei romanzi di Kafka) e fare economia del caos attraverso l’immagine ramificata di uno stemma codicum o la storia circostanziata di una parola (testocronotopo); se queste sono le premesse necessarie, la conclusione del ‘romanzo’ critico di Segre guadagna un’ultima condizione sufficiente: l’uscita discreta dal testo e l’accorta rinuncia all’autorità del filologo, per concedere ai lettori la libertà «di riconoscere, tra gli elementi che fanno l’eccellenza di uno scrittore, anche la luce che le sue opere portano alla comprensione e alla futura soluzione dei problemi morali».

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