17 marzo 2014

ODESSA. SPLENDORE E TRAGEDIA DI UNA CITTA'


Un celebre fotogramma della  Coraz­zata Potë­m­kin



Il rapporto fra ucraini e russi è sempre stato conflittuale soprattutto per quanto riguarda il controllo della costa del mar Nero. Lo testimonia la storia della Crimea e ancora di più di Odessa.
Fabrizio Scrivano

Odessa, modello cosmopolita di una porta dell’Europa
Se si inter­roga un motore di ricerca/immagini, la prima foto di Odessa è quella del ter­mi­nal por­tuale. Come Seva­sto­pol in Cri­mea sarebbe dive­nuta sede della flotta mili­tare russa e sovie­tica, così Odessa fu piut­to­sto scalo com­mer­ciale della vasta regione meri­dio­nale che Cate­rina di Rus­sia, negli ultimi decenni del Set­te­cento, annesse all’impero per merito dell’ammiraglio Potë­m­kin, strap­pan­dola alle popo­la­zioni tar­tare e agli eser­citi otto­mani.
Evi­den­te­mente, la città ucraina è ancora porta di tran­sito di un’area geo­gra­fica di grande inte­resse. C’è poi un’altra imma­gine, pro­prio strana: la car­tina della bat­ta­glia di Odessa in cui si muo­vono le forze della Fede­ra­zione e quelle del prin­ci­pato di Zoan. È una defor­ma­zione fan­tasy di ciò che era acca­duto durante la seconda guerra mon­diale con l’avanzamento delle truppe rumene e nazi­ste. Una rie­vo­ca­zione in costume della vera bat­ta­glia del 1941 si cele­bra ogni anno.

Si può anche facil­mente sco­vare Odessa in fiamme, un film del 1942, regia di Car­mine Gal­lone a copro­du­zione italo-rumena, in cui la presa di Odessa viene inter­pre­tata come rivin­cita sui soprusi sovie­tici e anti­doto alla deca­denza dei costumi. Per asso­cia­zione, potrebbe venire in mente un libro/film di una certa fama, Dos­sier Odessa: ma atten­zione, si tratta solo di un ingan­ne­vole acro­stico che nulla c’entra con la città.
















Final­mente appare un’immagine fami­liare: la sca­li­nata Riche­lieu in una foto del 1935, dove ancora con­serva le fat­tezze che aveva nel 1925, quando S. M. Ejze­nš­tein vi girò la cele­ber­rima scena di Coraz­zata Potë­m­kin. Ed ecco che, riap­pa­rendo que­sto nome, può ter­mi­nare il breve sur­fing su quella buc­cia di super­fi­cia­lità dell’informazione che il Web sem­pre offre: almeno ora si pos­siede un cer­chio, che ha qual­che vali­dità di ste­reo­tipo, entro cui rac­co­gliere i quasi 230 anni di sto­ria della città.

Ma se si volesse avere qual­che riscon­tro di que­sta super­fi­ciale imma­gine di Odessa a soc­cor­rerci arriva un libro di gra­de­vo­lis­sima let­tura, accom­pa­gnato da ven­ti­nove imma­gini in b/n, appena uscito nella neo-collana «La Biblio­teca» di Einaudi: l’autore è Char­les King, il titolo Odessa Splen­dore e tra­ge­dia di una città di sogno (tra­du­zione di Cri­stina Spi­no­glio, pp. XIII-326, euro 30,00).

Il rac­conto sto­rico, che va dalla fon­da­zione alla fine della seconda guerra mon­diale, è inte­res­sante anche per un altro aspetto, mar­gi­nale al suo con­te­sto, ma pie­na­mente rico­no­sci­bile: per essere cioè uno stru­mento di ana­lisi dei con­te­sti inter­cul­tu­rali e di veri­fica della costru­zione degli ste­reo­tipi.
L’autore si muove da un’osservazione di Mark Twain, che arri­van­dovi nel 1867, regi­strava in un suo dia­rio di viag­gio, Inno­centi all’estero, un testo un po’ tra­scu­rato dall’editoria ita­liana più recente, una sen­sa­zione di fami­lia­rità. Da che pro­viene quest’aria di casa? Twain vi giunge una set­tan­tina d’anni dopo la sua fon­da­zione moderna e nep­pure a cinquant’anni da che pren­desse un aspetto simile a quel che lui poteva vedere.

Prima, su quella sponda com­presa tra l’estuario del Dnepr e la foce del Dne­str, c’era assai poco: Kha­d­ji­bey era un vil­lag­gio con una for­ti­fi­ca­zione turca. Quelle terre meri­dio­nali, agli occhi dei Russi dove­vano sem­brare una spe­cie di Fron­tiera, come il West: erano da colo­niz­zare e civi­liz­zare per sfrut­tarne le terre e per avere uno sbocco navale verso sud. Così nasce il pro­getto della Nuova Rus­sia. Ma a costruire la metro­poli ci pen­sa­rono in suc­ces­sione tre uomini: il mer­ce­na­rio napo­le­tano De Ribas, il nobile fug­gia­sco fran­cese Riche­lieu e final­mente il russo Voron­cov, però cre­sciuto ed edu­cato a Lon­dra.
Non c’è da stu­pirsi che Puš­kin, man­dato d’autorità a Odessa, dove scrisse gran parte dell’Evge­nij One­gin e dove amo­reg­giava con la moglie di Voron­cov, mani­fe­stasse disa­gio per que­sto «stile di vita euro­peo», dato che si aspet­tava di tro­vare lì un porto orien­tale. Ma lo «stile euro­peo» appar­te­neva alle classi domi­nati e alle archi­tet­ture, e model­lava l’aura cosmo­po­lita da cui la città fu cir­con­data per lun­ghi anni, ma che poi perse in modo tra­gico.

La popo­la­zione nel suo insieme rispon­deva di più a un’immagine mul­tiet­nica: a que­sta bru­li­cante uma­nità si devono la varietà dei com­merci, di lin­gue, colori e odori. Greci, tur­chi, ita­liani, inglesi, fran­cesi e, sen­titi come una nazione a parte, gli ebrei, che sin dalle ori­gini furono i quasi due terzi della popo­la­zione. Per tutto l’Ottocento Odessa fu imma­gi­nata un po’ come una nuova porta d’oriente, una nuova Istanbul.

Lo ste­reo­tipo più solido nasce pro­prio in que­sto con­te­sto meno eli­ta­rio: l’astuzia levan­tina, la fur­bi­zia oppor­tu­ni­stica ma anche la voca­zione alla cri­mi­na­lità, dal fur­ta­rello alla frode, diven­tano tratti inde­le­bili appic­ci­cati agli abi­tanti e alla città. L’immagine, sep­pur con valori diversi dall’esecrazione, si sarebbe raf­for­zato anche tra­mite Isaak Babel’, che nei suoi Rac­conti di Odessa non volle dis­si­mu­lare que­sti aspetti della città in cui era nato (molte pagine del libro di King sono dedi­cate al grande intel­let­tuale sovie­tico, ed ebreo come tanti odes­siti, che nel 1940 sparì miste­rio­sa­mente negli uffici della polizia).























Tra i tanti motivi che misero a rischio quella con­vi­venza, King sem­bra indi­care la cre­scita demo­gra­fica. In poco più di cento anni, la città crebbe fino a 650 mila abi­tanti, senza che fosse accom­pa­gnata da infra­strut­ture urbane (al punto che anche l’approvvigionamento dell’acqua pota­bile divenne un pro­blema), e accom­pa­gnata invece da fre­quenti epi­de­mie di peste, colera, feb­bri. La mala­vita e la malat­tia, due mar­chi non entu­sia­smanti per que­sta città, che tut­ta­via come in altre città del mondo, per esem­pio Napoli o Mar­si­glia, col tempo si sono diluiti nell’ironia nostal­gica dei musi­ci­sti e dei film (su que­sto inter­viene uno dei capi­toli finali del libro).

Il defla­grare del modello mul­tiet­nico e cosmo­po­lita forse non si deve tutto al cat­tivo governo della città. La sua stessa flo­ri­dezza eco­no­mica comin­cia a scric­chio­lare dopo la guerra di Cri­mea (1853), quando l’occidente non vede più nei flussi com­mer­ciali delle gra­na­glie quel grande tesoro da difen­dere. Nella seconda metà dell’Ottocento, la Rus­sia è inve­stita dal ter­rore: dei com­plotti e delle rivolte come della repres­sione cru­dele e del con­trollo fer­reo di ogni movi­mento poli­tico. In que­sto con­te­sto si scri­ve­rebbe la seconda parte della sto­ria di Odessa.

La com­pli­cata com­po­si­zione di quest’organismo urbano, secondo King fu ampia­mente sfrut­tata per con­te­nere e sedare le più diverse ten­sioni poli­ti­che e riven­di­ca­zioni: ora di un nazio­na­li­smo cre­scente, che ideo­lo­gi­ca­mente ten­deva a limi­tare e a pre­va­ri­care i diritti delle tante com­po­nenti cul­tu­rali e nazio­nali; ora in nome di mag­giore ugua­glianza, che con­fu­sa­mente iden­ti­fi­cava posi­zione economico-sociale e appar­te­nenza etnica. La parte di popo­la­zione che più sof­frì di que­sto clima di osti­lità fu quella di reli­gione ebraica. In circa trenta anni, il pogrom divenne sem­pre più fre­quente e tanto temuto da acce­le­rare la fuga di ebrei dalla città.

L’apice di que­ste vio­lenze si rag­giunse in un con­te­sto dav­vero ecce­zio­nale di insur­re­zioni e scio­peri e rivolte: è l’anno 1905, quello che sarebbe poi diven­tato per i Bol­sce­vi­chi l’anno della pic­cola rivo­lu­zione. Se è vero che è un mito, come King in tutti i modi si ado­pera a dimo­strare, Coraz­zata Potë­m­kin avrebbe con­tri­buito molto alla sua defi­ni­zione. Certo il film rie­sce a con­den­sare in una sola imma­gine l’eroicità e il sacri­fi­cio della rivolta popo­lare come l’audacia di sin­goli uomini: e tutto accade su quella sca­li­nata che in que­sto modo avrebbe iden­ti­fi­cato a sé Odessa e con la città lo spi­rito della rivo­lu­zione. Mito, forse sì, comun­que ispi­rato da un’idea di soli­da­rietà tra popoli e classi sociali che avrebbe anche potuto con­tri­buire ad atte­nuare le riva­lità inter­cul­tu­rali perseveranti.

L’autore non ha del tutto torto a con­cen­trare l’attenzione, nel finale del libro, sul destino degli ebrei di Odessa: quando nel 1941 le truppe rumene pren­dono il con­trollo della città, com­piono l’atto siste­ma­tico di con­cen­tra­zione, depor­ta­zione e sop­pres­sione della popo­la­zione ebraica e chi soprav­vive è in fuga. Una tra­ge­dia che per for­tuna non si è amal­ga­mata con l’immagine della città, pur essen­done neces­sa­rio il ricordo. Almeno que­sto epi­so­dio non soprav­vive in nes­suno stereotipo.
Il Manifesto/Alias – 14 novembre 2013
Char­les King
Odessa. Splen­dore e tra­ge­dia di una città di sogno
Einaudi, 2013
euro 30,00  

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