La democrazia non è l’Occidente
di Mauro Piras
Si sente già il suono che cresce, il
brontolio in lontananza, che diventerà sempre più vicino, forte,
ossessivo. Già conosciamo queste voci. L’Islam invade l’Europa. La
civiltà europea è rammollita dalla ricerca del benessere, si fa
sopraffare da chi crede veramente nei propri valori. La democrazia è
minacciata. L’Occidente è minacciato. La democrazia è minacciata, ergo l’Occidente è minacciato. L’Islam è incompatibile con la democrazia. Il fanatismo è dentro l’Islam. E così via.
Conosciamo queste voci. Ci hanno
frastornato per anni dopo l’undici settembre. Ci hanno fatto perdere la
lucidità, e hanno fornito il collante ideologico che ha sostenuto una
guerra insensata, che ha solo aggravato e moltiplicato i problemi. Hanno
giustificato l’uscita dallo stato di diritto (leggi speciali sulla
sicurezza, tortura ecc.). Alimentano quotidianamente la destra (Le Pen,
Salvini) che scarica sull’odio per il nemico esterno le inadempienze del
sistema sociale. Sono coltivate amorevolmente da intellettuali di
sinistra che o vogliono mostrarsi apocalittici (un intellettuale non
apocalittico annoia, e non vende) o vogliono cullarsi nel senso della
decadenza, guardando il mondo dal loro Grand Hotel Abisso. E così tutto
sembra coerente.
Del resto lo hanno fatto capire bene
anche “loro”. Hanno attaccato un giornale, satirico, proprio perché
faceva satira. Quindi hanno voluto attaccare la democrazia: la libertà
di espressione, la libertà religiosa, la tolleranza, la critica. La
serie di altri attentati simili, benché meno gravi, dei mesi passati lo
conferma: una scuola, un parlamento, un centro culturale. Obbiettivi
diversi rispetto a quelli dei grandi attentati di Al Qaeda degli anni
duemila. Lì, in primo luogo, è stato colpito un simbolo del capitalismo
globale, del dominio globale sul mondo esercitato dal capitalismo delle
multinazionali, dagli Stati Uniti. E poi, nelle stazioni, è stata
colpita la vita ordinaria del benessere occidentale. Qui, invece, si
colpiscono istituzioni democratiche, in modo esplicito. Quindi la guerra
contro la nostra civiltà è la guerra contro la democrazia. Bisogna
essere accecati dal buonismo per non rendersi conto che l’Islam si sta
scagliando contro i “nostri” valori. Che è una guerra tra noi e loro.
Descritta così, questa guerra è già
stata vinta da loro. Così come era già vinta dai nazisti la guerra
contro gli ebrei quando gli ebrei erano costretti a rinchiudersi
unicamente nella loro identità ebraica, sotto l’attacco feroce del
fanatismo nazista, che li perseguitava in quanto ebrei, togliendo loro
la libertà di essere altro, cittadini liberi, agnostici, scettici,
nichilisti, indifferenti, edonisti, o qualsiasi altra cosa. Se io
adesso, per difendere la democrazia, devo essere schiacciato sulla mia
“identità” occidentale, sui miei “valori” occidentali, perdo la libertà
di essere altro. E quindi “loro”, in questa arcaica e grottesca logica
amico-nemico, hanno già vinto la guerra: la loro interpretazione diventa
anche la mia. Io perdo la libertà di mantenere separati gli ambiti, la
lucidità di ragionare con cautela e distinguere. La civiltà europea è
minacciata, quindi bando alle esitazioni dell’intelligenza e affrontiamo
con coraggio il nemico, armiamoci e difendiamo i “nostri” valori.
Propongo invece una moratoria, una
specie di disinfestazione del pensiero. Dovremmo bandire dal vocabolario
politico e sociale alcune parole: “Occidente”, “occidentale”; “valori”;
“noi”; “loro”. E poi vedere che cosa si può dire di quello che accade
con le parole che restano.
Si può dire questo. Alcuni fanatici
islamisti hanno massacrato delle persone inermi e pacifiche, solo perché
queste hanno criticato la loro religione. Questi fanatici probabilmente
vogliono mostrare anche che la libertà e la democrazia sono un male, e
vogliono distruggerle. (Avevano probabilmente in mente una intuizione di
questo genere: «la libertà di coscienza è il più diabolico dei dogmi,
perché significa che ciascuno deve essere lasciato libero di andare
all’inferno secondo la propria inclinazione». Una cosa detta qui in un
linguaggio un po’ vecchio, perché risale a qualche secolo fa, ed è stato
detto da un… ahi, come non dire qui “occidentale”? Mah, diciamo che era
europeo, che era francese, cristiano, calvinista: Théodore de Bèze,
1554. Ma insomma, non importa da dove viene questa idea, è un’idea che
ha avuto un suo successo, in molte forme.) Quindi, dicevamo, il nemico, a
quanto pare, è una società in cui si è liberi di pensarla come si
vuole, in cui tutto è dissacrabile, in cui un gruppetto di disegnatori e
giornalisti brillanti può mettere alla berlina Maometto, insieme a
tutto il resto (il Papa, il Presidente ecc.). Una società quindi in cui
non c’è autorità consacrata per definizione superiore agli individui in
carne e ossa. In cui possono convivere persone con sensibilità morali
molto diverse, coscienze religiose e caustici spiriti liberi, e riescono
a stare a fianco perché, è vero, hanno un po’ “buttato giù” le loro
credenze, hanno accettato l’idea che si può vivere anche se esistono al
mondo persone che quelle credenze le esecrano. E accettano di
incrociarle, queste persone diverse, di conviverci, di farci persino
delle cose insieme. Quindi una società in cui è possibile vivere anche
se il totem della propria identità non viene continuamente alimentato da
sacrifici umani. Forse, in questa pratica terra terra di bricolage
morale, di accomodamenti e compromessi, di vite buone inventate alla
meno peggio, anche provando le vie più contraddittorie, di ricerca del
benessere quotidiano, di paura di essere troppo duri e troppo
autoritari, dal momento che non si sa bene perché lo si dovrebbe fare, a
che fine, con quale vantaggio, beh, forse in questa società traluce un
sentimento di pietà per l’inettitudine umana, per la sua inadeguatezza,
per il suo bisogno di essere rispettata nell’instabilità del desiderio e
della sofferenza. E quindi questa pietà senza enfasi coltiva
l’illusione di un mondo più vivibile, meno spigoloso, in cui non ci si
debba scontrare furiosamente per affermare i grandi… ah, qui
bisognerebbe mettere “valori”, ma non si può, quindi metto “obbiettivi”,
più neutro. Ma perché un obbiettivo dovrebbe comportare il sacrificio
della vita di una persona?
Messo così, mi piace questo mondo. È il
mondo dell’aldiquà, ma senza chiedere a tutti di diventare atei.
Chiediamo semplicemente a tutti di non massacrarci gli uni con gli
altri. Ed è anche il mondo dell’equilibrio macchinoso, instabile,
difettoso, della democrazia liberale. Di questa congiunzione difficile
tra due parole, democrazia e liberalismo, che hanno chiesto il
sacrificio di cinquanta milioni di morti (almeno) per essere unite. La
democrazia è dimessa, è poco appetibile, è grigia, e poi è anche sempre
inadempiente. Le abbiamo capite queste cose, tutti i raffinati critici
della democrazia ce lo hanno ricordato in tutti i modi. E la libertà
individuale è atomizzante, favorisce il capitalismo e la ricerca
sfrenata del benessere ecc., abbiamo capito anche tutte queste belle
cose. Però quando ti confronti con i veri nemici di questo mondo (quello
che ho cercato di descrivere), e cioè con i veri nemici della
democrazia, cioè della vita vivibile nell’immanenza, nell’aldiquà in
attesa di sapere come finirà di là, ti rendi conto che queste critiche o
sono chiacchiere o sono fiancheggiatrici. E qui capisco che linguaggio
possiamo parlare, finalmente. Se ci sono dei nemici da combattere, con i
mezzi che la ragione (accesa dalla pietà per la vita, sì, ma sempre
ragione, lucida e analitica) ci consiglia, sono i nemici della
democrazia. Cioè i nemici di una società in cui l’istanza ultima sono
gli esseri umani dati, in carne e ossa, e non qualche idea generale che
si spaccia per qualcos’altro con nomi altisonanti. Questi nemici non
sono necessariamente islamici, né necessariamente religiosi.
L’intelligenza si vergogna di se stessa, dopo le esperienze storiche del
Novecento, a dover ancora ricordare questo.
Belle parole, mi si dirà, ma se ti
attaccano devi rispondere. D’accordo. “Porgi l’altra guancia” è un
principio morale molto discutibile. Soprattutto, non è un principio di
giustizia. Mentre è in nome di una idea di giustizia che vogliamo
difendere una società democratica e liberale. Però bisogna rispondere
sfuggendo alla logica amico-nemico, e alla contrapposizione noi-loro
(parole, appunto, che non avrei dovuto pronunciare). Se il nemico è chi
vuole distruggere la democrazia con la violenza e con l’imposizione di
un ordine etico coatto, le risposte, anche con l’uso della forza, sono
dettate dalla democrazia stessa: ciò che deve essere combattuto, nelle
pratiche, e dove occorre anche con la legge, con l’uso della forza
pubblica (all’interno degli stati), e con l’uso della forza militare
(all’esterno, nel diritto internazionale), non è la religione, non è
l’Islam, ma è ogni condotta che violi il principio dell’eguale rispetto
di individui liberi, intesi concretamente, come persone in carne e ossa.
Se i cittadini delle democrazie liberali, quelle più vecchie, ma anche
quelle più giovani che si stanno formando con grandi tensioni in parti
del mondo esterne al cosiddetto “Occidente”, prendono coscienza che
questa è la posta in gioco, allora cade la retorica della “debolezza
etica” della democrazia. Questo è il mondo etico che difendiamo: la vita
delle persone concrete, la convivenza confusa di vite diverse, e anche
la ricerca del benessere, di queste persone concrete. Se ci crediamo,
non ne facciamo una crociata. E non dividiamo di nuovo il mondo secondo
“culture”, “religioni” e “civiltà” (altra parola da bandire), non
cadiamo nella logica del nostro nemico, non ci facciamo imporre da lui
un’identità. Ma guardiamo il mondo nelle sua particolarità.
Articolo tratto da http://www.leparoleelecose.it/ pubblicato il 9 gennaio 2015
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