Riprendiamo dal Corsera un articolo di Paolo Di Stefano che parla della corrispondenza inedita tra Anna Maria Ortese e Leonardo Sciascia iniziata
nel 1978. La scrittrice napoletana, in difficoltà economiche, chiese più volte aiuto al collega siciliano.
Carteggio Ortese-Sciascia: la nostra
povera Italia.
di Paolo Di Stefano
Difficile
immaginare scrittori più diversi, eppure tra Leonardo Sciascia e Anna Maria
Ortese si stabilì un' amicizia a distanza e una reciproca stima insospettate ai
più. Lo dimostra lo scambio epistolare che viene pubblicato nei vent' anni
della morte dello scrittore siciliano dal semestrale «Il Giannone», diretto da
Antonio Motta, che gli dedica un ricchissimo numero monografico. Si tratta di
un corpus lacunoso e un po' sbilanciato, che prende avvio all' indomani dell'
uscita de L' affaire Moro: due sono le lettere di Sciascia (conservate nell'
Archivio di Stato di Napoli), quindici quelle della Ortese (conservate nella
Fondazione Sciascia di Racalmuto). Già in Todo modo, del ' 74, a proposito del
rapporto con la realtà Sciascia aveva evocato un racconto della Ortese, Un paio
di occhiali, il racconto «della bambina di vista debolissima cui danno
finalmente gli occhiali; e la miseria del vicolo napoletano in cui vive le
balza improvvisamente incontro, le provoca vertigine e vomito». Un tributo
insolito, per uno scrittore che amava citare soprattutto i classici. Ma non è
escluso che la corrispondenza nascesse da un comune sentire attorno all'
assassinio del politico democristiano, a proposito del quale la stessa Ortese
aveva scritto sul «Secolo XIX» un vibrante j' accuse contro l' indifferenza
della classe politica. È possibile che la Ortese avesse deciso di esprimere la
propria solidarietà a Sciascia dopo aver letto su «Panorama» l' articolo in cui
l' autore del Giorno della civetta definiva lo Stato un «guscio vuoto». A una
prima lettera (perduta) della scrittrice napoletana (datata 7 luglio ' 78),
Sciascia risponde da Racalmuto il 4 novembre scusandosi per il ritardo («per
scrivere un libro, ogni anno, ho bisogno di un quasi assoluto isolamento»): «Le
sue domande sono anche le mie. E principalmente questa: che cos' è questo
Paese? Un Paese, sembra, senza verità; un Paese che non ha bisogno di
scrittori, che non ha bisogno di intellettuali. Disperato. Pieno di odio. E
nella disperazione e nell' odio propriamente spensierato, di una insensata,
sciocca vitalità. Sembra». Tuttavia, aggiunge Sciascia, sotto sotto si scopre
«come nascosto, come clandestino, un Paese serio, pensoso, preoccupato,
spaventato», costretto a «fare i conti con quell' altro Paese, quello del
potere, dei poteri: quello che non vuole la verità, che non ci vuole, che ci
costringe a quella che Moravia chiama estraneità dolorosa». En passant, lamenta
pure di essere «bersaglio degli imbecilli, degli invidiosi, dei servi, e per
aver scritto una verità che mi pare persino ovvia». E riprendendo parole della
Ortese sembra quasi farne una questione ontologica: «Sì, credo anch' io nel
"male". Nell' oggettività del "male". Nel male che torna a
invadere l' uomo che non sa più coltivare il bene: così come qui, intorno a me,
la campagna non più coltivata è ora invasa dalle erbe». Devono passare diversi
mesi perché la corrispondenza riprenda, ma d' ora in poi le testimonianze sono
quasi a senso unico. Nel maggio ' 79, Anna Maria Ortese esprime l' auspicio che
il suo interlocutore si allontani il più possibile dall' incandescenza dell'
attualità: «Sarebbe bello se Lei si mettesse a scrivere adesso, un altro libro
sigillato (non destinato a nessuno) lasciando tutto il resto (...) temo il
rumore del mondo». E dopo un mese ritorna sul tema: «Temevo soltanto per Lei -
per i Suoi libri - l' urto con la vecchia Italia (ma dovrei dire la nuova - la
prima non era meschina)». Lo invita a stare alla larga dal «mondo romano».
Confessa di aver votato radicale per le politiche, ma socialista per il
Parlamento europeo. Antonio Motta fa giustamente notare quanto le
considerazioni della Ortese, consegnate a due saggi del febbraio-aprile 1980,
somiglino a quelle di Sciascia sull' Italia, percepita come un Paese estraneo
alla ragione, lontano e indifferente. La sfiducia della scrittrice non è
limitata alla politica. Le sue angosce in questi anni come in passato
riguardano la sua sfera privata, in particolare la drammatica condizione
economica e lo stato di prostrazione psicologica in cui si trova a vivere con
la sorella. Da Rapallo, in una lunga lettera del 24 agosto ' 81, rende
partecipe Sciascia della sua disperazione, chiedendo senza mezzi termini il suo
aiuto: «Sono a Rapallo dal ' 75. Vivo con mia sorella. Mia sorella - senza una
sua famiglia, solo me - ha artrosi, altri mali, e soprattutto un sistema
nervoso sconvolto (...). Stati di depressione e stati di agitazione sono continui,
malgrado le cure, la mia vita è a soqquadro, e un' angoscia, come davanti a un
mistero, mi domina». La casa in affitto, procuratale per interessamento del
presidente della Banca Commerciale, Innocenzo Monti, marito di Lalla Romano, «è
una casa del tempo di Garibaldi, con pavimenti rotti, senza balconi, solo
finestre, e il rumore delle macchine, tutte le volte che non piove, è una
mostruosità. Rumore, ma senza sole, e d' inverno niente riscaldamento». Né il
sindaco del paese né l' editore Rizzoli, sollecitato a venirle in soccorso,
intervengono: «Sempre silenzio. Imparai allora a dormire, quando mi sentivo
proprio male, con i pollici nelle orecchie». Il desiderio è quello di poter
«tornare a scrivere storie, e vedere un po' in pace mia sorella». L' appello a
Sciascia è di presentare «questa situazione desolata a qualcuno di Roma. Anche,
occorrendo, a Giovanni Spadolini». Spadolini è il presidente del Consiglio e
conobbe la Ortese quando era direttore del «Corriere». Ancora prima che arrivi
una risposta, Anna Maria Ortese esprime a Sciascia tutta la sua gratitudine e
la sua ammirazione: «Sono mortificata ma insieme tanto contenta di aver bussato
dov' era scritto il Suo nome: Grande Sicilia. Lei solo ha aperto». Soltanto la
bontà «può sollevare il mondo, oggi, lo so. Tutto il resto è sogno». E la
generosità di quell' uomo apparentemente ombroso che era Sciascia ripaga questi
gentili pensieri. Da una lettera del 27 novembre, si intuisce che l' intervento
di Sciascia, deputato nelle fila dei Radicali, presso Spadolini è andato a buon
fine: «Ho ricevuto una lettera dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri
(firmata credo da Francesco Compagna): mi si comunica l' assegnazione di un
premio di cultura, di 2 milioni. Può immaginare la mia gioia! È una sorpresa,
ma anche una provvidenza grande, perché mi consente di affrontare senza angosce
economiche l' anno nuovo (...). Ora sto meglio, davvero; e penso di doverlo a
Lei. Dio La benedica, caro Sciascia». Il 21 gennaio ' 83 Sciascia manda un
biglietto d' auguri dalla clinica di Montreux, in Svizzera, dove è ricoverato.
Le apprensioni della Ortese non scemano, anzi: l' obiettivo è sempre quello di
lasciare la casa di Rapallo. Chiede aiuto ai politici nazionali e alle autorità
locali ma nessuno le risponde. Si domanda: «È sparito il nostro Paese? Non ne
so più nulla». In quella che considera una «vicinanza nella quasi comune
passione del giusto», dopo Moro c' è un altro nome su cui i due amici
solidarizzano: Enzo Tortora. «Sono vicina al "caduto" di turno: Enzo
Tortora (io che non apro il televisore da anni). Ho alcune sue lettere (...).
Sono blocchi di dolore e disperazione - scritte da uno "scrittore"
naturale: non una incrinatura - specchio di carattere. Credo in Tortora.
Comunque, adesso è mio fratello. Come vorrei aiutarlo! Gli hanno detto che solo
fra due anni giudicheranno. Sembra di sognare. Se non c' è giudizio - come può
esserci pena? Fondata su un pre-giudizio, dunque?». Le ansie civili
accompagneranno sempre quelle private. Seguiranno altre lettere di disperazione
e richieste d' aiuto. Gli aiuti arriveranno: Anna Maria Ortese, grazie alla
Legge Bacchelli, nel giugno 1986 otterrà un vitalizio che le permetterà di
pagare il mutuo della nuova casa, ma la sua disperazione era una bestia che
aveva poco a che fare con il denaro, come mostrano anche le ultime lettere all'
amico Sciascia, al quale confesserà il proprio senso di colpa per godere di un
mensile che lo Stato nega a Mario La Cava, un altro scrittore povero. La
rivista Il numero del semestrale «Il Giannone» dedicato a Leonardo Sciascia nel
ventennale della morte sarà in libreria nei primi giorni di maggio. Il volume
contiene lettere, interviste, saggi critici, testimonianze e immagini inedite.
«Il Giannone», diretto da Antonio Motta, è pubblicato dall' Istituto di
Istruzione secondaria superiore Pietro Giannone di San Marco in Lamis (Foggia).
Di Stefano
Paolo
Corriere della Sera, 24 aprile 2009, pag. 41.
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