Arriva l'acqua potabile a Aracataca,
il villaggio colombiano, meglio noto come Macondo, in cui il 6 marzo
del 1928 nasceva Gabriel Garcia Marquez. Dove i passeri cadevano in
volo, stremati dall'afa e dove finora il progresso aveva portato solo
catastrofi.
Filippo Fiorini
Cent'anni di
solitudine e sete
Molti anni dopo, davanti
al plotone d’esecuzione, il colonnello Aureliano
Buendia avrebbe ricordato quel pomeriggio remoto,
in cui suo padre lo portò a vedere il ghiaccio. Allora,
Macondo era solo un villaggio di venti case di fango
e canne, costruite sulla riva di un fiume dalle acque chiare,
che caracollavano per un letto di pietre lisce,
bianche e grandi come uova di dinosauro».
Gli esperti che vedono
nella letteratura una selva di significati
ulteriore al piacere di leggere, ci spiegano che
con un inizio così, Gabriel Garcia Marquez ha voluto
dire fin da subito che in Cent’anni di solitudine c’è
da aspettarsi una storia di andirivieni nel tempo
e accadimenti sensazionali. La scena,
infatti, si svolge nel futuro, ma Aureliano pensa al passato
e ricorda il prodigio di una cosa banale quale è il
ghiaccio, se mostrata in un luogo caldissimo come
Macondo.
Quello che però
sicuramente non i critici (visto che non ne hanno
mai scritto), probabilmente non i lettori
e forse nemmeno Gabo Marquez avevano osservato,
è che questa frase inaugurale svelava oltre
a ciò che era voluto, anche un sortilegio di cui
quel villaggio non si è ancora del tutto liberato:
l’acqua, che nel libro scorrerà spesso e a lungo (salvo
poi scomparire per epoche altrettanto enormi, in
cui i passeri moriranno in volo per il gran caldo),
sarà per sempre un bene scarso, incastrando i suoi
abitanti, persone o personaggi che siano,
nella perenne schiavitù di una risorsa assente
o eccessivamente presente.
Macondo, che in realtà
di nome fa Aracataca e viene detto Cataca dal
vicinato, è un villaggio montano della
Colombia settentrionale, fondato in riva al
fiume omonimo e noto al mondo per due soli fatti
rilevanti, accaduti, secondo una concezione
fantastica delle cose, nel corso dello stesso anno. Il
6 marzo del 1928, nacque in una casa grande di questo
paesello il Premio Nobel per la letteratura
Gabriel Garcia Marquez e, di lì a qualche mese,
i soldati del despota locale, general Carlos
Cortez Vargas, firmarono con le loro
mitragliatrici l’episodio che gli storici
colombiani chiamano la Strage di Aracataca e che
consistette nell’uccisione indiscriminata
di centinaia di operai della bananera United
Fruit, in sciopero da quasi quattro settimane.
In realtà, i biografi
di Gabo, come Dasso Saldivar, hanno da tempo scoperto
(e suo fratello Luis Enrique lo ha confessato),
che il grande scrittore è nato nel 1927 e ha passato
la vita a dire di essere di classe ’28, per il vezzo di
dichiararsi figlio di quel sacrificio di braccianti
a cui dedica 4 pagine del suo romanzo più riuscito.
D’altra parte, dopo aver sparato sulla folla, degnamente
immobile nella piazza di Cataca, Cortez Vargas
avrebbero fatto sapere che le vittime della mattanza
di cui ancor oggi è difficile stabilire il
numero reale, erano state solo 9: una per ognuno dei reclami che
i loro sindacati avevano presentato
alla United Fruit. Mettendo queste due
falsificazioni a confronto, è facile
capire per noi posteri, come nella zona di Macondo sia permesso
ritoccare i numeri, se questo serve a creare una
coincidenza degna d’esistere.
Chi ci abita lo tiene
sempre bene a mente, così come ha imparato
a ricordare che spesso c’è più realtà in una finzione
letteraria, che in una verità di Stato. Tra gli
esempi che più si accomodano al primo caso, c’è di
certo il fatto che nel libro di Garcia Marquez
i fondatori di Macondo siano un gruppo di pellegrini
che viaggia in cerca del mare e, rassegnati
all’impossibilità di trovare l’acqua, decidano di
piantare le tende in riva a un fiume. In quanto al secondo,
si possono citare le sei volte in cui si è iniziato
a costruire l’acquedotto di Aracataca e le
altrettante volte in cui i lavori sono naufragati
nelle nebbie della corruzione caraibica.
Nello stesso posto in cui
è successo tutto questo, è comparso pochi
giorni fa Luis Felipe Henao, ministro per la Casa e le
Questioni Locali del presidente colombiano Manuel
Santos, nonché, con soli 33 anni, uomo giovane del
suo gabinetto di destra. In barba ai precedenti di
fallimenti e magia che vanta la località in
questione e parlando dalla casa-museo dello stesso
Gabo Marquez, Henao ha detto che nel corrente mese di marzo
2014 arriverà finalmente l’acqua ad Aracataca,
concludendo quella che ha definito «una vicenda
macondiana», frutto di «anni di mal governo colombiano».
Se fosse vero, i locali passeranno dall’umiliante
condizione di avere solo quattro ore di acqua non
potabile la settimana, al decoroso sevizio
di 12 ore al giorno di acqua chiara, bevibile e continua.
Ma c’è da crederci?
Se fossimo abitanti di quel posto in cui José Arcadio
Buendia, «l’uomo più intraprendente del paese»,
aveva disposto le case «in modo che tutti gli abitanti
potessero arrivare facilmente al fiume e rifornirsi
d’acqua senza alcuno sforzo», dovremmo per forza tener conto degli
avvertimenti scritti nei Cent’anni di solitudine
e diffidarne. Sarà anche una lettura
semplicistica, ma quando lo stesso José Arcadio
uccide Prudencio Aguilar, accecato dall’insulto
sulla sua presunta impotenza che questo gli rivolge
dopo aver perso un combattimento di galli, il
fantasma del morto torna poi a perseguitarlo,
cercando e non trovando mai un po’ d’acqua per
bagnare la pugnalata al collo che gli fu fatale. E quando
il capostipite dei Buendia esasperato,
decide di abbandonare Macondo, la moglie Ursula
impietosita dalla dannazione del fantasma,
sparge per la casa decine di ciotole piene.
Più avanti, poi,
l’orfanella Rebeca arriva stanca e affamata a casa
di José Arcadio, tace, mangia la terra in segreto
e rifiuta il cibo offerto, tanto, che si arriva all’estremo di
crederla sorda. Una prospettiva che viene
scongiurata però quando le si chiede se ha sete e lei
alza lo sguardo e annuisce. D’altro canto, quando lo
zingaro e superstite di una prima vita finita
a Singapore, Melquiades, torna a Macondo
e cura tutti dalla peste, ottenendo così il permesso
di restare, si pronuncia una frase marmorea:
«Somos del agua». Siamo dell’acqua, dice il nomade autore delle
pergamene che sveleranno la condanna dei
Buendia a un intero secolo d’isolamento, e poi muore
affogato.
Ma oltre a questo,
c’è un ragionamento che supera la mera questione
dell’acqua e che Gabriel Garcia Marquez inserisce
tra le righe dei Cent’anni: l’azione dell’uomo sulla natura,
solo porta alla catastrofe. Lo hanno notato le ricercatrici
Delamuta, Engel e Adoue nel loro lavoro comparativo
tra il romanzo e la realtà della Strage di Aracataca.
La compagnia americana United Fruit aveva
portato progresso tecnologico nei monti di
Macondo, un’evoluzione che si manifesta con la comparsa
del treno e a cui fanno da controparte le
meccaniche delle mitragliatrici di Cortez
Vargas.
Nelle pagine del libro,
quando José Arcadio Segundo perde i sensi nella
sparatoria in piazza e si sveglia da unico
superstite (oltre al bimbo che aveva tenuto in spalla) in quello
stesso convoglio che aveva portato a Macondo
centinaia di operai e ora li riporta indietro
tutti e tremila, morti per mano del loro datore di lavoro,
incomincia un diluvio che durerà più di 40 giorni.
Sotto le lacrime che gli innocenti riuscirono a non
piangere davanti ai loro assassini e che un cielo
impietosito ora piange per loro, il placido gemello
che aiutava in parrocchia dovrà camminare
3 ore e a lungo poi dovrà brigare per non vivere coi
vestiti bagnati.
Nella realtà, le grandi
piogge del 1932 causarono alluvioni in varie zone
della Colombia, ma ad Aracataca toccò la parte
peggiore. Per irrigare, la United Fruit aveva fatto
deviare il fiume che dava il nome al paese, oltre al San Joaquin
e all’Aji, situazione che portò a una catastrofe
climatica, a una nuova tragedia umana e al
ritiro della compagnia da quelle terre.
Ora che a Macondo
arriva l’acquedotto vien da chiedersi se le implicite
profezie di Gabo Marquez, che questa settimana
compie 87 anni secondo l’anagrafe di posto e 86 per la
sua personale visione dei fatti, non debbano essere
considerate valide. In fondo, la Colombia è il
sesto Paese al mondo per risorse idriche, ma il 50% delle sue
acque sono di cattiva qualità. Lo dice il Ministero
dell’Ambiente e il suo più grande scrittore dice: «La
stirpe condannata a cent’anni di solitudine,
non avrà altra opportunità su questa terra».
Speriamo abbia torto, in fondo sono tutte finzioni.
il Manifesto – 5
febbraio 2014
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