Filosofo radicale,
psicanalista, economista: una biografia in Francia rivaluta un
pensatore influente e misconosciuto.
Massimiliano Panarari
Castoriadis, il
ribelle che ispirò i liberali francesi
Cornélius Castoriadis, chi era costui? A riscoprire una delle più interessanti (e misconosciute) figure di intellettuale del secondo Novecento (anche se lui per primo rigettava l’etichetta di intellò) ci pensa la sua prima biografia appena uscita in Francia. E anche il fatto che sia stato necessario attendere tanto tempo, persino nel Paese dove l’originale (e per certi tratti visionario) filosofo dell’«immaginario sociale» e del «fare pensante» ha vissuto e scritto, prima dell’uscita di un volume che ne ricostruisse integralmente esistenza e pensiero molto ci dice della sua «irregolarità».
A colmare tale lacuna, e a raccontare quanto, al di là delle apparenze, questo eccentrico pensatore di origini greche sia stato importante per la scena culturale transalpina, ci pensa nel suo Castoriadis. Une vie (La Découverte, pp. 532, euro 24) lo storico delle idee François Dosse.
Castoriadis (1922-1997) fu filosofo e psicanalista (disciplina che esercitò anche professionalmente), lavorò come economista al segretariato internazionale dell’Ocse ed ebbe (alla fine) riconoscimenti accademici rilevanti (negli anni Ottanta divenne directeur d’études all’École des Hautes Études di Parigi), ricevendo gli apprezzamenti di protagonisti importanti del mondo scena culturale come Edgar Morin (che lo definiva un «titano dello spirito») e Pierre Vidal-Naquet (che lo considerava un «genio»).
Ma rimase sempre
marginale perché troppo «fuori dalle righe»: quindi una sorta di
eminenza grigia (o, meglio, rossissima) della sinistra eterodossa,
la cui influenza fu sotterranea e carsica, e assai meno evidente di
quella dei filosofi-star della French Theory (da Foucault a Derrida,
passando per Lacan). E che, però, si rivelò durevole e,
soprattutto, trasversale, arrivando a toccare intellettuali
politicamente molto distanti dalla matrice delle sue concezioni. Che
era quella del socialismo di sinistra novecentesco e del filone
dell’autogestione e delle repubbliche dei consigli, ovvero quel
peculiare intreccio di marxismo libertario e anarchismo che aveva
messo al centro della propria teoria e (difficoltosissima) prassi
una certa nozione di autonomia, nella quale il pensiero di
Castoriadis troverà il proprio fulcro.
Ed era precisamente
quella che gli attirò appunto l’interesse, a partire dagli anni
Ottanta, della pattuglia di intellettuali liberali (e
social-liberali) che avrebbero riorientato la battaglia delle idee
in Francia, da François Furet a Pierre Nora, da Bernard Manin a
Marcel Gauchet, da Jacques Julliard a Luc Ferry e Alain Renaut. E,
in primis, del filosofo politico Claude Lefort che ebbe nel corso
degli anni una «conversione» liberaleggiante e con cui Castoriadis
aveva condiviso una giovanile militanza trotzkista e fondato, nel
1947, la rivista Socialisme ou barbarie, alla quale questo libro
attribuisce una rilevanza addirittura superiore, nella preparazione
del clima intellettuale del Sessantotto, a quella del situazionismo.
Il testo di Dosse si incarica innanzitutto di ricostruire le ragioni di questo mancato riconoscimento pubblico in seno a una nazione che ai suoi intellettuali «impegnati» ha sempre eretto monumenti (trasformandoli pure in merce di esportazione). E di svelare il «mistero» di un pensatore che, pur essendosi collocato su prospettive politiche assai lontane, entrò tuttavia in sintonia profonda e venne riconosciuto come riferimento a cui guardare proprio dagli artefici della revanche del liberalismo.
La ragione – secondo
lo studioso – consiste nella ricollocazione al centro del
dibattito (e delle discipline) di quella filosofia politica (seppur,
in qualche modo, rivisitata e contaminata) che il «Sessantotto
pensiero» e il post-strutturalismo avevano emarginato. Nonché, la
critica serrata e intransigente (da sinistra) di Castoriadis al
socialismo reale e al totalitarismo comunista, che si affiancò a
quella dei nouveaux philosophes e della deuxième gauche e circolò
moltissimo tra gli esponenti della rinnovata cultura politica
liberale, cementando, a suo modo, una «comunità di pensiero».
D’altronde, la stessa
idea di rivoluzione, così centrale nelle sue teorizzazioni, nulla
ha a che fare con la violenza politica, ma costituisce
l’accelerazione di quel progetto di «auto-trasformazione
esplicita» delle istituzioni da parte della società (e, dunque, in
nome dell’autonomia) che, a ben guardare e mutatis mutandis, non
poteva dispiacere al gruppo di intellettuali che avrebbe contribuito
all’affermazione del neoliberalismo in Francia.
Sliding doors, per così dire. Ben differenti da quelle, molto solide e tanto tipiche di un certo gusto architettonico, dell’appartamento di Castoriadis a rue de l’Alboni, nel XVI arrondissement della capitale, che, a inizio anni Settanta, Bernardo Bertolucci trasformò in set ambientandovi il suo celeberrimo Ultimo tango a Parigi.
La Stampa – 31 ottobre
2014
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