IL BELL'ANTONIO
di Maria Ludovica Moro
Anni ’30. Il dramma di Antonio Mangano, avvenente giovane uomo catanese, adorato dalla famiglia, concupito indistintamente da tutte le donne in cui si imbatte - e perciò invidiato dagli amici - è quello di non riuscire a dimostrare di esser quel campione di virilità che tutti, fin da quando è nato, credono che sia. Anzi, è esattamente il contrario. Al “bell’Antonio”, di carattere docile e schivo, non resta che assecondare e alimentare la leggenda che sovrasta la sua persona. Così viene mandato dalla famiglia a Roma, a studiare Legge, a fare “conquiste” sul continente, ma per cinque lunghi anni nulla accade di quel che tutti credono sia la sua prima missione nella vita. Quello che continua invece ad accompagnarlo è un umiliante senso di debolezza e speranza, ogni volta delusa, che lo rivede a Catania, sposo promesso dal padre ad una bella ragazza di elevata estrazione sociale, Barbara, figlia di un notaio, di cui Antonio - dramma nel dramma - si innamora subito perdutamente. Il carattere di questa ragazza ingenua, anche se istruita a dovere per tutta la sua giovinezza, è debole, ma è proprio questo che le permetterà, nei tre anni che durerà il legame coniugale, in parte vissuto a Roma lontano dalle male lingue che hanno cominciato a sparlare dei due sposini - di sopportare la terribile situazione di un matrimonio non consumato con un uomo che lei ricambia di profondo amore.
Brancati riesce, con la sua vivida e ironica prosa, a rendere il racconto ricco di emozioni e spesso di situazioni umoristiche, in un continuo susseguirsi di scene familiari, chiacchiere, bisbigli e angosce nascoste, di piccoli colpi di scena, lunghe e dettagliate descrizioni psicologiche.
E Antonio è un pesce fuor d’acqua in questo acquaio formicolante di ormoni, fantasie, odori e aspettative quasi sempre disattese di una piccola borghesia catanese e romana, nelle quali si fondono in un unicum fascismo e gallismo e sguazzano maschi rozzi e repressi, baluardo di un modello di Italietta molto diffuso su tutto il “continente”.
La dannazione terrena di Antonio è esattamente agli antipodi di quella del letterario e mitico Don Giovanni: come in un contrappasso dantesco, anche se in questo caso non è lui a perseguirla, gli viene imposta e inculcata – in vita – l’ossessione per il sesso, che al contrario viene condannata e combattuta nell’altro, fino a trascinarlo – in morte – alla dannazione eterna.
Ma cosa nasconde, in realtà, tutta questa ossessione, negli anni di cui narra Brancati? Un vuoto enorme di valori, soprattutto di ideali di speranza nell’uomo, incapace di raffrontarsi con se stesso sul terreno dei sentimenti profondi.
Nel 1960 Mauro Bolognini realizza un film da questo romanzo (Antonio, Marcello Mastroianni – Barbara, Claudia Cardinale), ma trasposto negli anni ’50 e pervaso di una certa malinconia, più che dell’ironia che Brancati usa invece a profusione.
Da rileggere almeno ogni cinque anni, per vedere se la situazione è cambiata....
Maria Ludovica Moro
(Recensione da Italialibri.it, 2006)
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