“Un caffè con contorno di Jazz”
Speciale Tutto Gramsci. Di recente la rivista Il Cagliaritano
ha pubblicato un numero monografico (n. 2/2014) interamente dedicato a
Gramsci. Uno speciale dall’accattivante titolo “Un caffè con contorno di
Jazz”. Allegato alla rivista c’è un cd musicale, Gramsci in concert,
che contiene il concerto di Sant’Anna Arresi del 31 agosto del 2008
eseguito nell’ambito della ventitreesima edizione del festival Ai confini tra Sardegna e jazz.
Qui le note del trombone di Giancarlo Schiaffini e del contrabasso di
Adriano Orrù accompagnano e si alternano con le voci di Giorgio Baratta e
Clara Murtas. Le registrazioni sono state realizzate da Paolo Zucca e
Pierpaolo Meloni, il mixaggio del suono è di Tommaso Coccia, mentre le
foto che accompagnano il disco sono di Luciano Rossetti.
Ma che c’entra Gramsci con il jazz? Non
sarà forse che la bulimia gramsciana scoppiata a livello globale negli
ultimi anni stia impastando in un unico calderone tutto ciò che pare e
piace? No, non è così. Fu proprio Antonio Gramsci in una Lettera
alla cognata Tania Schuch, datata 27 febbraio 1928,
a coniare l’espressione «un caffè con contorno di jazz». E lo fece in un
contesto molto interessante per chi ha cuore i meccanismi che muovono
le rivoluzioni culturali e artistiche, quale è stato il jazz per tutto
ventesimo secolo e oltre. In questa lettera Gramsci riferisce a Tania il
tenore di una piccola discussione carceraria con un tale, un
evangelista o un metodista, che aveva una paura matta che i piccoli
commercianti extracomunitari (cinesi) facessero un innesto dell’idolatria asiatica nel ceppo del cristianesimo europeo. Per rincuorarlo, Gramsci gli fa notare che il buddismo non è un’idolatria
e che la sua influenza sulla civiltà occidentale ha radici molto più
profonde di quanto potesse sembrare. La vita di Budda – gli
spiega Gramsci – circolò in Europa fin dal medioevo come la vita di un martire cristiano, santificato dalla Chiesa.
Il vero pericolo per l’Europa è il jazz. Gramsci era convinto che il pericolo per la mentalità
europea di allora, permeata com’era di ideologia coloniale e
imperialista, fosse piuttosto rappresentato dalla musica dei neri. Il
jazz – si legge nella lettera indirizzata a Tania – ha conquistato lo strato colto della popolazione europea, creando intorno ad esso un vero fanatismo. Trattandosi di una musica che si sviluppava intorno alla ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno attorno ai loro feticci danzando, che cioè si esprimeva nel linguaggio più universale, il jazz era per Gramsci destinato ad avere risultati ideologici.
Il povero evangelista – racconta Gramsci – alla fine si convinse che
mentre temeva di diventare un asiatico, senza accorgersene stava
diventando un negro e che il processo era terribilmente avanzato, almeno fino alla fase di meticcio, tanto da non potere più rinunziare al caffè con contorno di jazz.
Cinquanta pagine fitte fitte.
Nella rivista troviamo scritti di Enrico Berlinguer, Giuseppe Podda,
Sergio Atzeni, Teresina Gramsci, Giovanni Lai, Claudia Zucca e Giorgio
Baratta. Si tratta di scritti già pubblicati in passato dalla stessa
rivista, la maggior parte in occasione del quarantesimo anniversario
della morte di Antonio Gramsci, nel 1977. Claudia Zucca ha assemblato,
curato e abilmente tradotto in inglese tutto il materiale. Il risultato
è accattivante. Soprattutto offre un’importante occasione di riflessione
sulla politica, quella attuale e quella del secolo appena trascorso.
«Il comunismo italiano non era il comunismo sovietico» si legge
nell’incipit della prefazione curata dalla stessa Claudia Zucca.
Spiccano alcune perle. Di grande interesse gli articoli della raccolta che testimoniano l’inaugurazione del Piano d’uso collettivo
che lo scultore Gio Pomodoro dedicava a Gramsci per il quarantennale
della sua morte. Era il primo maggio del 1977, l’inaugurazione avvenne
ad Ales qualche giorno dopo la visita di Berlinguer. Parlarono in
quell’occasione Maria Fenu, sindaco di Ales, Pietrino Soddu, Presidente
della Giunta regionale sarda. Parlò infine Pietro Ingrao, Presidente
della camera dei deputati, che più di tutti seppe cogliere l’essenza
profonda di quell’opera artistica. Così risuonarono le sue parole:
«l’artista non ha detto: ecco la mia opera. Ha capito la storia, i
bisogni e le tradizioni di questo paese. E, dentro questo paese con gli
scalpellini, i giovani, il Comune e con altri artisti, ha collocato la
sua opera, ch’è bella, ma più bello è il processo intellettuale che gli
ha dato vita e la farà vivere come lotta, come conquista della coscienza
della gente. Queste cose ci sono chiare perché c’è stato Gramsci:
questa grande forza creativa che, anche nelle sue lettere tragiche, non
chiedeva mai di essere compianto. Quando Gramsci morì sembrava un uomo
irrimediabilmente sconfitto. Oggi risultano condannati dai fatti e dalla
storia i suoi carcerieri».
La testimonianza di Teresina.
Non meno appassionata e ricca di acute osservazioni è la testimonianza
di Teresina, l’amata sorella di Gramsci, raccolta da Giuseppe Podda
(pagina 22 della rivista). Veniamo a sapere che Nino cantava alla sarda. Aveva una voce nasale, potente. E raccontava tante storie, anche un po’ spinte, di frati e di preti.
Gli articoli di Sergio Atzeni ed Enrico Berlinguer. Nell’articolo intitolato E se tornasse Radames?
Sergio Atzeni ci parla dell’importanza della musica per Gramsci
all’interno del tema più generale della cultura, degli intellettuali e
della conquista dell’egemonia. Per l’intellettuale sardo – ricorda a
questo proposito Sergio Atzeni – l’opera lirica è l’unica forma d’arte che ha unito il popolo italiano. Enrico
Berlinguer rende invece un tributo al pensiero gramsciano,
analizzandolo sotto plurimi aspetti. Con lucida costruttività mette in
risalto l’unicità dell’apporto gramsciano al pensiero comunista
mondiale.
Le immagini. Le
cinquanta pagine della rivista sono correlate da un apparato fotografico
di eccellenza, rigorosamente in bianco e nero. Si riconosce un giovane
Pinuccio Sciola mentre ascolta attentamente il poeta Antonio Sini che
parla con Enrico Berlinguer del Piano d’Uso collettivo.
Il valore della raccolta. Il
corpus di scritti raccolti da Claudia Zucca offre un’importante
testimonianza della vitalità e produttività del pensiero di Gramsci. Le
parole di chiusura della sua prefazione lo riassumono con grande
efficacia: «la filosofia gramsciana è per le masse, comprensibile ad
esse, possibile da mettere in pratica. Questo emerge in modo lampante
dalle celebrazioni per i 40 anni della sua morte e dalla attività
popolare che ne è scaturita. Il popolo sardo era in piazza unito da
un’idea che lo rendeva protagonista proprio in accordo con la filosofia
della praxis».
Articolo pubblicato oggi su http://unaltrasestu.com/2014/10/29/un-caffe-con-contorno-di-jazz/
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