Cucchi Aldo
Il mito di Stalin nell’Europa orientale
Dom, 19/10/2014 - Luca-Menichetti
Non ha tutti i torti il professor Andrea
Ungari quando, nella prefazione a “Il mito di Stalin nell’Europa
orientale”, scrive: “il clima di sospetto e il sangue versato per la
Rivoluzione vengono descritti senza concessioni letterarie, attraverso
la descrizione dei personaggi incontrati, molti dei quali
successivamente ‘scomparsi’ nell’universo concentrazionario sovietico, e
delle situazioni vissute quando ancora Cucchi aveva libero accesso nei
paesi oltrecortina. Ma proprio questo distacco e questa stringente
descrizione rendono la scrittura di Aldo Cucchi coinvolgente e
affascinante, portando per mano il lettore in un viaggio attraverso gli
errori e gli orrori di quella che fu, a tutti gli effetti, una prigione
dei popoli” (pag. 10). Certo è gli aspetti stilistici passano in secondo
piano rispetto il valore documentario degli articoli dell’ex deputato
del PCI, presto scomunicato dal suo partito per aver capito e
soprattutto per aver raccontato cosa realmente stava avvenendo nei paesi
del socialismo reale: “La danza funebre per Tito” (13.11.1961); “Ogni
uomo al tuo fianco era una spia” (13.11.1961); “L’anticristo dei
Polacchi” (14.11.1961); “Finestre e forche in Cecoslovacchia”
(18.11.1961); “I russi: un popolo di schedati” (19.11.1961); “Un colpo
alla nuca per una battuta di spirito”(22.11.1961); “Gli anni di sangue a
Leningrado” (24.11.1961).
Ungari scrive che Cucchi non rinnegò mai
il suo passato, rimase convinto della validità dell’ideale socialista
ma non si riconciliò mai più con un PCI che lo aveva trattato come
traditore. Il suo peccato capitale evidentemente era stato aver
raccontato Stalin per quello che era: “Ha finito per essere più che un
capo socialista, un grande zar […] Il suo non è un regime socialista ma
piuttosto un regime collettivista di tipo faraonico” (pag. 15).
Il piccolo libro edito dal Canneto
raccoglie quanto pubblicato dalla medaglia d’oro della Resistenza sul
“Resto del Carlino” dell’amico Spadolini: erano passati ormai dieci anni
da quando Cucchi e Valdo Magnani furono costretti a lasciare il PCI e
Togliatti li congedò da par suo come “pidocchi nella criniera di un
nobile cavallo da corsa”.
In quel 1951, cinque anni prima dei
fatti d’Ungheria, il mito di Stalin era tale che qualsivoglia critica
diventava pura eresia. Un fanatismo che nelle pagine di Cucchi appare
qualcosa di terribile ed anche di grottesco: società malate dove il
culto di un dittatore sanguinario non risparmiava nessuno e dove i
persecutori del giorno prima diventavano improvvisamente agenti
capitalisti da giustiziare senza pietà. L’uccisione di Rudolf Slánský, già fedele interprete delle direttive staliniste,è
paradigmatica e viene ricordata da Cucchi nell’articolo “Finestre e
forche in Cecoslovacchia”: “fu il primo anello di quella catena
antisemita che doveva portare al processo dei medici ebrei di Mosca.
Gottwald, l’artefice del massacro, morì alcuni mesi dopo, di un morbo
imprecisato” (pag. 45). Ma non soltanto esecuzioni: i tanti esempi di
retorica stalinista mostrano una mancanza di senso di ridicolo che
ancora oggi sembra caratterizzare i regimi presenti nelle isole
caraibiche, Sudamerica, Europa ed Estremo oriente. In merito non
possiamo non citare il racconto di Cucchi alle prese con lo stalinista
Kowalski e alle sue richieste di dossieraggio: “Il soliti italiani!
Prima amici e poi comunisti! Dov’è la vigilanza rivoluzionaria?” (pag.
27). Uno zelo quello di Kowalski che però non gli procurò molta fortuna,
anche se la sua fine risultò in linea con i tanti epuratori a sua volta
epurati da qualcuno al momento più “puro”: “Compagni delegati il nostro
pranzo d’addio è finito. Prima di lasciarci brindiamo insieme al grande
compagno Stalin, al vittorioso condottiero, all’incomparabile maestro
del marxismo leninismo, alla guida dei proletari di tutto il mondo.
Gloria al grande Stalin […] Alcuni mesi dopo mi viene mostrato un
giornale comunista con la notizia che l’agente imperialista Kowalsky era
stato scoperto ed arrestato. Forse qualcuno, col suo sistema delle
biografie incrociate, lo aveva liquidato, o forse distratto dalla bella
moglie francese, si era dimenticato qualche volta di incitare: Viva
Stalin!” (pag. 36).
Articoli a dir poco lungimiranti quelli
di Aldo Cucchi, che ancora oggi hanno molto da insegnare, salvo rendersi
conto che certi miti resistono al di là di ogni evidenza ed ogni
crimine.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE:
Aldo Cucchi, (Reggio Emilia, 1911
– Bologna, 1983), medico, vice-comandante partigiano della divisione
"Bologna", medaglia d'oro della Resistenza, deputato del PCI, fu tra i
fondatori del movimento Unione Socialista Indipendente (USI) e del
settimanale "Risorgimento Socialista".
Aldo Cucchi, “Il mito di Stalin nell’Europa orientale”, Il Canneto (collana Aptamì), Genova 2014, pag. 80.
Luca Menichetti. Lankelot, ottobre 2014
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