Fabian Ludueña Romandini è filosofo, ricercatore al CONICET e professore alla Universidad de Buenos Aires. Tra i suoi libri La comunidad de los espectros I (Buenos Aires 2010) e H.P. Lovecraft. La disgiunzione nell'essere, di prossima pubblicazione in Italia presso Quodlibet. L' articolo seguente è stato pubblicato oggi su http://www.leparoleelecose.it
Papa Francesco e l’avanguardia omosessuale
All’attenzione di un “joyful man”
I.
Scrivere sulla Chiesa dal punto di vista
di una filosofia pratica che resti estranea alla sua fede significa
riconoscere che la predicazione apostolica ecclesiastica non riguarda
solo la vita dei cattolici perché, come istituzione politica, essa
presenta la vocazione di operare su scala planetaria nello spazio
pubblico dell’ordine geopolitico, anche se come attore molto
particolare. Riconoscere quest’azione della Chiesa non significa
accettare la sua dogmatica teologica, ma al contrario analizzare la sua
pastorale come una forma di intervento sociale e culturale che deve
essere sottomessa a giudizio anche da parte di chi rivendica posizioni
proprie del repubblicanesimo laico. A volte, in origine, la Chiesa
cristiana aveva saputo mantenere una miscela di pratiche democratiche
associate con la struttura delle figure proprie dell’impero. Oggi, i
concili e i sinodi conservano, in modo archeologico, alcuni resti di
questo passato. Si assiste in questi giorni al Sinodo della Famiglia a
Roma. Come è noto i sinodi non cambiano i dogmi: hanno una funzione
esclusivamente consultativa per il sommo pontefice. Essi però
riflettono, per la loro stessa natura, uno stato del dibattito nel seno
della Chiesa cattolica.
Nel passato dell’Occidente l’istituzione
ecclesiastica ha rappresentato, assieme a una parte concomitante di
barbarie, un motore di civilizzazione incomparabile che ha modellato il
mondo per almeno più di un millennio. Dal periodo delle rivoluzioni
moderne, però, la Chiesa ha ridotto poco a poco il suo carattere di
creatrice di ecosistemi culturali e si è trasformata in uno strumento di
mera conservazione di dogmi che erano stati disegnati per congiunture
passate, che non avevano nulla a che vedere con i nuovi tempi della
scienza e della politica che i moderni hanno condotto nell’arena
pubblica. In questo modo essa si è convertita in uno strumento della
retroguardia culturale, che rincorre le incomparabili trasformazioni del
capitalismo trionfante (che, paradossalmente, essa stessa ha
contribuito a creare).
Lontana da ogni audacia culturale, la
Chiesa ha dissociato le problematiche del corpo e della famiglia proprie
di una società del basso medioevo per trasportarle in una cultura
ipermoderna la cui metafisica politica risponde alle domande di una
scienza positiva per la quale i corpi e i desideri rivestono un
significato completamente nuovo. Da questo punto di vista, l’anacronismo
politico della Chiesa contemporanea nel suo volto di ortodossia
istituzionale è la base del suo conservatorismo intrinseco, costruito
sulla base di uno spirito antimoderno esplicito. Gli Stati, dunque, che
hanno costruito le loro politiche sociali e di diritto della famiglia
con relativa indipendenza rispetto alle esigenze ecclesiastiche, hanno
semplicemente cercato di rispondere alle esigenze che erano alla base
della loro creazione. L’uguaglianza di diritti per le donne, il
divorzio, l’unione di fatto, il matrimonio omosessuale sono alcune delle
ultime conseguenze ineluttabili dell’etica moderna laica.
Da questo punto di vista, l’attuale
Sinodo della Famiglia non riveste alcuna importanza come motore della
mutazione sociale. Come succede da secoli, la Chiesa si limita, nel
migliore dei casi, a ratificare simbolicamente i cambiamenti di una
cultura la cui accelerazione non essa può né provocare né comprendere.
Ciononostante, alcuni gesti di apertura del Sinodo, del resto piuttosto
tiepidi, risultano interessanti rispetto allo stato della cultura
globale con cui si confrontano i fedeli della chiesa cattolica. Si può
vedere con chiarezza che la Chiesa non genera nessun cambiamento sociale
ma si adatta, e ancora in modo molto insufficiente, alle trasformazioni
che si sono prodotte fuori dal suo seno, nel mondo. Di tutti i temi in
questione nel Sinodo (che per definizione, come ricordavamo, non avrà
alcun impatto sull’evoluzione dei dogmi) ci soffermeremo un momento
sulla questione delle diversità sessuali in generale e degli omosessuali
in particolare per la concezione della chiesa.
Il corso della storia ha mirato, dalla
prima decade del XXI secolo, verso il riconoscimento del matrimonio per
le coppie dello stesso sesso. Il nuovo corso sembra ineluttabile e,
sebbene abbia bisogno di molto più tempo, la sua estensione su scala dei
principali paesi laici dell’Occidente risulta inevitabile. Ovviamente
le lotte per i diritti di individui e coppie LGBTIQ su scala mondiale
dovrà continuare perché la persecuzione quotidiana, fino all’assassinio
per la condizione sessuale sono minacce permanenti che possono trovarsi,
sotto congiunture completamente differenti, in diversi paesi del globo.
È necessario, pertanto, che non si arresti l’azione degli attivisti e
delle organizzazioni che debbono far fronte a situazioni che vanno dai
paesi con leggi criminali contro la diversità sessuale fino a condizioni
di severe ingiurie quotidiane per i membri delle minoranze LGBTIQ nei
paesi sviluppati.
Riconoscendo tutto questo, desideriamo
però adottare in questo contesto il punto di vista del divenire
macrostorico nella sua direzione moderna. Questo vettore mira, senza
dubbio, all’ottenimento del riconoscimento universale dei diritti
LGBTIQ, almeno in tutto il mondo occidentale e oltre (con varianti e
sfumature che ovviamente non possiamo analizzare qui). La prima relatio post disceptationem che
dà conto dei risultati della prima discussione del Sinodo della
Famiglia rivela già le divisioni di una Chiesa nel cui seno abitano
fazioni politiche desiderose semplicemente che la Chiesa riconosca
simbolicamente alcuni cambiamenti presenti in un mondo culturale che non
potrà rovesciare. Il realismo politico può essere anche un sintomo
dell’impotenza verso i cambiamenti che non solo non sono sorti dal
nucleo di un’istituzione ma che minacciano il suo stesso capitale
simbolico. Ovviamente, l’ala conservatrice ha trasformato le prime
dichiarazioni in una dimostrazione di ottimismo che più tardi, ancora
una volta, è stata raffreddata considerabilmente. Questi sono i tempi
ecclesiastici e le norme della politica vaticana. Ma le fratture che si
sono prodotte e le dispute interne sono divenute visibili. È facile
prevedere che, nel futuro, la crepa si allargherà inesorabilmente fino a
che la Chiesa si vedrà forzata ad ammettere di diritto quello che già
accade di fatto (o anche di diritto) in molti paesi laici, ovvero che la
pastorale ecclesiastica non può regolare la famiglia moderna o la
sessualità umana ma adattarsi semplicemente a quello che gli stati laici
hanno provocato nel loro seno a partire dalle onde culturali dominanti.
Ma la Chiesa che durante secoli modellò
le forme della sessualità e della famiglia non è l’unica e nemmeno la
più colpita da questi mutamenti epocali. Più interessante della stessa
Chiesa è il fatto che questi cambiamenti sociali stanno colpendo, sin da
ora, i movimenti stessi che li hanno provocati. In politica, bisogna
riconoscerlo, ogni attivista è molto più preparato per la lotta utopica
che per il trionfo della sua causa. Ma da un po’ di tempo la
constatazione è inevitabile: la causa LGBTIQ ha ottenuto dei sonori
successi e si può prevedere che, al di là dell’importanza dei calcoli
temporali, quello che prima si presentava come un’illusione non solo ha
avuto seguito, ma, con ogni probabilità, si assicurerà un futuro nel
nuovo ordine mondiale. Questo futuro dipenderà, come sempre, dalle
vicissitudini della politica (fatta di progressi e di regressi), ma il
vettore generale continuerà a essere favorevole, ci sembra, alle domande
delle minoranze sessuali, a meno che disastri ecosistemici o catastrofi
politiche (che non possono mai essere escluse) conducano il mondo verso
una nuova età oscura.
Jean Genet in una lettera a Jean-Paul
Sartre sosteneva che l’omosessualità era un rifiuto di prolungare il
mondo. L’enunciato rifletteva certamente una forma di percezione
politica che la stessa teoria queer, in un certo modo, ha fatto
poi sua, con le sfumature accademiche del caso. L’omosessualità (come
prima manifestazione di diversità sessuali ancora più complesse) è
diventata una delle forme per eccellenza dei margini politici, il che
equivale a dire, dell’avanguardia storica. L’outcast sessualmente
diverso poteva immaginarsi, nella sua stessa esclusione, come portatore
di un’azione contestataria rispetto alla società e, a fortiori,
come incarnazione di una forma di vita potenzialmente eversiva e
innovatrice. La nuova piega della storia propone, invece, una situazione
scomoda per gli attivisti e i teorici (non tutti, bisogna dirlo, anche
se la maggioranza) che sottoscrivono la visione della diversità sessuale
come avanguardia culturale e politica. Il trionfo politico in corso su
scala globale corre il rischio di sottrarre tutto il potenziale di
innovazione dai margini o la radicalità a tutto il movimento della
diversità sessuale.
Gli omosessuali – per citare solo un
esempio— sono preparati per il successo culturale e politico del
matrimonio egualitario e dei nuovi diritti della famiglia? Sarebbe
ingenuo pensare che il problema riguarda solo coloro che desiderano
sposarsi. Un errore grossolano. L’uguaglianza di fronte al matrimonio
giuridico fa si che ipso facto tutta la comunità omosessuale
(inclusi i suoi membri refrattari al matrimonio) si vedano trasformati
nella loro situazione di fatto e di diritto. Qualunque proposta di
diversità sessuale ora si iscrive in una risposta al dispositivo
giuridico che, legalmente, rende indifferenti eterosessuali e
omosessuali. Mutatis mutandis, qualsiasi atto di dissidenza
rispetto al modello matrimoniale non assegna agli omosessuali nessun
tratto essenzialmente diverso di quello che può avere un eterosessuale
che si comporta in modo contrario e non conforme al canone matrimoniale
dominante. L’amalgama di eguaglianza giuridica di eterosessuali e
omosessuali davanti alla legge porta effetti congiunti inevitabili di
eguaglianza politica tra i mores della società. Considerato da
questo punto di vista, un atto di dissidenza sessuale non si
differenzierà in sostanza per il suo carattere etero o omosessuale.
Nuove partizioni, probabilmente, sorgeranno.
Nonostante questo, resta la questione essenziale del futuro: come potranno la militanza e la teoria queer sopravvivere
al loro trionfo culturale e storico? Riusciranno ad assumere, con la
caduta del velo dell’originalità politica che questi fatti
presuppongono, il loro nuovo ruolo di difensori ed estensori di diritti
già esistenti rinunciando a quello di essere innovatori culturali della
radicalità? In altre parole, gli omosessuali sono pronti ad assumere il
lato amaro dei trionfi culturali dopo aver gustato le attrattive
romantiche del margine? Questo gesto implicherebbe una rassegnazione
alla funzione di consolidare, ricreare e favorire il diritto o i costumi
senza l’eredità, divenuta impossibile, di essere coloro che li mettono
in dubbio come ribelli intrinseci.
Alcuni diranno che il prossimo passo
sarà la messa in questione di molte figure del diritto in quanto tale,
cominciando proprio dal matrimonio per se. Questa sarebbe una
impresa lodevole, che senza ombra di dubbio, potrà trovare associati, in
un medesimo gesto, eterosessuali e omosessuali, facendo di questa
partizione sessuale primitiva un accidente interno a un progetto
politico più ampio. L’opzione sessuale cesserà dunque di essere la cifra
dell’avanguardia. Quest’ultima, sicuramente, si costruirà in altri
margini, con altri attori, per il momento totalmente inaspettati o
portatori di una novità probabilmente ancora irriconoscibile per chi,
come noi, ha formato le proprie aspettative politiche nel ventesimo
secolo (culturalmente già lontano). Per questo, le congiunture proprie
di questo Sinodo della Famiglia della Chiesa di Roma non rappresentano,
in nessun modo, una mutazione culturale maggiore o minore, ma solo (e
niente meno che) un segno dell’inizio del depotenziamento, per la
prossima lunga epoca culturale, di una delle avanguardie politiche più
vitali del secolo passato.
(traduzione di Emanuele Coccia)
27 ottobre 2014
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