Esce oggi, presso DeriveApprodi, Foucault oltre Foucault. Una politica della filosofia di Sandro Chignola. Tramite il sito presentiamo alcune pagine tratte dal primo capitolo, dedicate al concetto di governamentalità e al suo rapporto col mercato.
Foucault oltre Foucault
di Sandro Chignola
La genealogia muove sempre dalla fine,
vale forse la pena di ricordarlo. Ed essa è materialmente immersa nella
storia, come sappiamo. Essa spezza linearità ed effetti di continuità
propri alla rappresentazione volgare della storia. La genealogia non
rintraccia origini, ma porta alla luce punti di innesto tra logiche
eterogene che determinano deviazioni, rotture, nuovi inizi nella
connessione tra saperi e poteri. Il genealogista, ricorda Foucault, ha
bisogno della storia – degli archivi in cui si sedimentano pratiche,
della memoria degli scontri e dei conflitti tra libertà e potere, del
campo di battaglia che l’analitica del quotidiano rivela – proprio per
scongiurare la chimera dell’origine[1].
Di nuovo, quindi, il punto di partenza
dell’analitica foucaultiana dei biopoteri dev’essere l’urgenza del
presente. Il filosofo illuminista, colui che lavora nella lucida
consapevolezza che un fuori della storia non c’è, è sull’oggi al quale
appartengono il suo lavoro di riflessione e la sua parola, che deve
prendere posizione. Fare la genealogia della governamentalità significa
assumere a problema la trasformazione della politica che si determina
con l’imporsi ad essa di un nuovo principio di realtà, con il suo
appaesarsi nell’indisponibile «Umwelt» degli interessi sociali.
Governamentalità è l’insieme delle istanze che adeguano l’esercizio del
potere alla centralità dell’economia e non del diritto. Ma essa è anche
la «linea di forza», così Foucault, che conduce alla preminenza di una
funzione – il governo – rispetto ai meccanismi della sovranità e della
disciplina; ed è infine il punto di vista che esorcizza lo spettro dello
Stato, e l’effetto di «survalorisation» che lo investe tanto nella
forma lirica del «mostro freddo» la cui presenza incombe sulle nostre
relazioni, quanto in quella, paradossale perché apparentemente
riduttiva, che di esso fa la sovrastruttura di processi di riproduzione
che lo attraversano e che lo rendono tanto più importante da attaccare e
da conquistare in quanto garante dell’assetto generale del dominio[2]. Per
Foucault, lo Stato non ha mai avuto l’unità che gli viene attribuita.
Né come «soggetto» della storia costituzionale, né come sintesi sovrana
delle sue funzioni. Lo Stato è sempre stato un insieme di procedure e di
tecnologie giuridiche ed extragiuridiche che solo l’incantamento
filosofico-politico cui la modernità è soggiaciuta ha potuto imporre di
pensare in termini unitari e di monopolio sovrano della decisione. Se
qualcosa segna l’attualità «liberale» cui siamo assegnati, l’indicatore
che permette di cogliere la tendenza che trascina il presente non è il
processo di «statizzazione» del sociale del quale parla la teoria
critica, l’invadenza di un potere esorbitante e totalitario capace di
permeare ogni interstizio residuo della cooperazione e di ridurre
monodimensionalmente la libertà degli individui, quanto piuttosto, e
Foucault lo comprende benissimo, al punto di modificare integralmente la
sua analitica del potere, la drastica limitazione della razionalità
dello Stato che impone a quest’ultimo, a partire dall’acquisita
centralità dei processi di mercato, di «governamentalizzare» i suoi
dispositivi[3].
Al centro dell’attenzione va posta di
nuovo una separazione, una frattura. Non solo quella definita
dall’ambiente operativo dei biopoteri – dei quali l’economia politica,
autentica Kritik in senso kantiano, analizza condizioni di possibilità e limiti di esercizio[4]
– rispetto al codice autorizzativo delle legge, ma, ancor più
radicalmente, quella costituita dagli agenti di mercato, il cui calcolo
di utilità, unico e libero motore dello scambio, rappresenta
un’esteriorità inaggirabile per gli apparati del potere e l’oggetto di
pratiche di governo che non possono decidere di istruirlo, dettandone le
condizioni e le possibilità di esercizio, da un punto di vista sovrano.
Un interesse, per dirlo in altro modo, è qualcosa di radicalmente
diverso da un diritto.
Lo spostamento dal biopotere alla
biopolitica, denota la specificità di questo passaggio in Foucault. Da
un lato il biopotere, l’insieme dei meccanismi attraverso i quali
l’umanità, per quanto attiene alle sue funzioni biologiche e vitali,
entra, a partire dal XVIII secolo, nel campo di intervento del potere
che la oggettiva come «popolazione» (le scienze di polizia, la
cameralistica, la statistica; il loro riferirsi al territorio di
competenza del sovrano non soltanto in termini spaziali, perimetrati
alla vigenza della legge, ma, appunto, in termini economici,
demografici, attuariali; la risemantizzazione della scienza politica a
partire dai saperi funzionali allo sviluppo della prosperità e del
benessere dei sudditi[5]);
dall’altro la biopolitica, la comparsa, nell’antropologia politica su
cui l’economia si fonda, di un soggetto la cui cooperazione, a desinenza
strettamente egoistica e quindi sempre potenzialmente entropica nello
scambio sociale complessivo, intreccia reti di valorizzazione che si
indirizzano allo Stato solo indirettamente, per chiedere ad esso di
garantire le condizioni di libertà sulle quali rilanciare le dinamiche
acquisitive e proprietarie, e che esprimono istanze e bisogni mai
formalizzabili, antivedibili o totalizzabili dal punto di vista di
quest’ultimo[6].
Che il luogo di «veridizione» si sposti dallo Stato al mercato[7]
– dalla legge del sovrano come discrimine tra legale e illegale che
precostituisce la possibilità dell’azione, ad un’azione di scambio
libera e «spontanea» tra gli individui, invece, che chiede tutt’al più
di essere regolata per ritrovare ad ogni ciclo le stesse premesse e le
stesse condizioni – non significa soltanto, nella transizione tra
liberalismo classico ed ordoliberalismo austriaco analizzata nel Corso
foucaultiano del 1978-79, che viene invertendosi la logica complessiva
del rapporto tra società e Stato e che i meccanismi disegualitari della
concorrenza detteranno il ritmo dell’adattamento istituzionale al
sistema di variabili economiche assunte come fondamentali[8], ma anche che il soggetto, molto più di quanto non accadesse in precedenza, tende a costituirsi al di fuori
delle tradizionali meccaniche disciplinari, assestandosi piuttosto su
di un’autonomia che cavalca le ragioni dell’interesse valorizzando una
libertà che deve essergli costantemente restituita.
Se lo spazio delle discipline è uno
spazio di piena visibilità, il «territorio» chiuso su cui si irradia
unidirezionalmente lo sguardo panottico dei dispositivi di sorveglianza,
l’«ambiente» biopolitico è invece un circuito intrasparente di
interessi e di scambi che rende letteralmente impossibile il
punto di vista del sovrano; un dato che consolida il sistema di
riferimenti indisponibili su cui verificare l’utilità sociale delle
stesse funzioni di governo[9].
Foucault fa un passo ulteriore,
tuttavia. Dentro questa transizione si dissolve un altro degli
«universali» con i quali lavorano la storia e la teoria politica. Anche
quella «critica». La «società» degli individui, una volta tradotta in
mercato, non può essere pensata come il limite invalicabile per lo
Stato, come nelle teorie liberali classiche, né può essere evocata, come
nelle retoriche della cittadinanza, per integrarne le dimensioni
istituzionali. Essa, almeno a partire dall’ordoliberalismo tedesco, si
rivela piuttosto un concetto specifico della tecnologia governamentale
per pensare l’indicizzazione del diritto sulle dinamiche dello scambio[10].
La «società» esiste soltanto come petizione e domanda di un «governo»,
le cui funzioni sono contemporaneamente necessarie ma trattenute al
minimo.
Ciò che il soggetto di interesse chiede allo Stato è di essere trattenuto nello s-legame che gli impone il proprio calcolo di utilità. E proprio per questo,
ben al di là di quanto non appaia, questa operazione è possibile solo
se esiste il governo. L’insieme di relazioni che la tecnologia
governamentale percorre e tiene in tensione definisce un sistema
estremamente fragile: da un lato l’elemento intangibile (in relazione
all’esercizio di potere) dell’interesse, del quale il singolo è il solo
depositario, dall’altro, una «soziale Umwelt» alla quale l’interesse
individuale è costitutivamente intessuto (il gioco della libera
concorrenza, frutto di un «contrat social à l’enverse», come lo chiama
Foucault, che include tutti i soggetti senza che essi lo abbiano chiesto
e che può funzionare solo a condizione che nessuno se ne chiami
anticipatamente fuori inceppandone il meccanismo[11])
che deve essere mantenuta nelle condizioni ottimali perché l’intreccio
degli scambi possa proseguire senza tuttavia essere finalizzato ad un
bene collettivo che non può essere l’obiettivo del mercato [12].
La connessione tra biopotere e
biopolitica va perciò rilevata proprio a quest’altezza. Il rapporto di
governo è un rapporto che si riferisce ad un ambiente e non a un
territorio, come invece la sovranità. L’ambiente sociale delle relazioni
di mercato è descritto da variabili (il gioco della domanda e
dell’offerta, le dinamiche dello scambio, la valorizzazione o la
svalutazione delle risorse umane disponibili, la competizione degli
interessi) del tutto indipendenti da qualsiasi prospettiva di
pianificazione politica. L’homo oeconomicus che lo abita è un «élément intangible» per il potere; deve, letteralmente, essere lasciato fare[13]. La sua è un’azione libera che consuma
libertà e che libertà pertanto richiede gli venga continuamente
assegnata e garantita da un «governo» capace di un’azione che sia nello
stesso tempo efficace e indiretta. Questa libertà è l’oggetto specifico
della cura governamentale.
L’azione di governo è perciò un’azione
critica. Che si produce come ottimizzazione delle condizioni di
esercizio della libertà d’azione di un soggetto indisponibile (perché
non prodotto come assoggettato dal diritto sovrano, non ristretto in un
territorio giuridico, tendenzialmente irriducibile allo schema formale
della persona) e tuttavia «malleabile», perché sensibile, come
lo è la sua libertà, alle variazioni delle costanti ambientali in cui
quest’ultima viene esercitandosi. La ragione governamentale – non
pianificazione di un processo, ma «programmazione strategica» delle
coordinate complessive per la libera competizione degli interessi
individuali, in cui lo stesso lavoro salariato viene neoliberisticamente
ritrascritto in termini di attività di impresa o la mobilità dei
migranti in investimento soggettivo sulle proprie capacità di
autovalorizzazione[14] – si trova sempre sospesa, mi sembra possibile dire, tra una carenza ed un eccesso[15]. Il governo deve agire (perché il free rider
possa liberamente perseguire il proprio interesse in un gioco
concorrenziale aperto a tutti alle stesse condizioni, per quanto questo
comporti, nelle politiche neoliberali che Foucault è tra i primi a
cogliere nella loro specificità, lo smantellamento del compromesso
fordista, delle protezioni sindacali, l’apertura, appunto, dei mercati
della sanità, dell’istruzione, dell’energia…[16]), ma non deve agire troppo
(rischiando di invadere uno spazio che non gli appartiene, che gli è
del tutto eterogeneo e che, secondo la caratteristica inversione che
Foucault analizza negli scritti degli economisti americani ed austriaci
degli anni ’30, non può essere «liberato» da un’autolimitazione dello
Stato, come nelle dottrine della giuspubblicistica continentale del
primo Novecento, ma va direttamente assunto invece come luogo di
un’autoregolazione giuridico-politica immanente).
Produrre libertà – e non fabbricare
soggetti o disciplinare corpi, come avviene nei dispositivi analizzati
in precedenza da Foucault – significa non predisporre le condizioni di
insieme perché libertà, che già c’è, vi sia, ma lavorare, e con alacrità
incessante, a mantenere aperte le possibilità per il suo esercizio
individuale. Significa individuare lo spazio economico in ogni soggetto e
governare i rischi che la libertà comporta non con il riferimento a
schemi giuridici universali, ma singolarizzandone la responsabilità
d’esercizio. Vale senz’altro la pena, a questo proposito, notare come
nemmeno la nozione di interesse permetta di ancorare ad un riferimento
oggettivo l’azione di governo. L’interesse che il neoliberalismo assume a
propria nozione fondamentale è pensato in termini di «volontà» («une
forme de volonté à la fois immédiate et absolument subjective», scrive
Foucault[17])
e sfugge agli schemi rappresentativi dell’equivalenza. La
disuguaglianza (di volta in volta degli interessi in gioco, delle
prestazioni individuali, degli scopi singolari) è il motore della
concorrenza, e questo comporta che, dismessa la propria universalità
perequativa, il diritto agisca solo come tutela di uno spazio
differenziale, ritrascritto a partire dalla soggettività.
Ciò vuol dire che la stessa «società»
cui si rivolgono le tecnologie governamentali non può essere perimetrata
riconoscendo e ricomponendo gli interessi in essa presenti in una
tradizionale meccanica dell’equilibrio resa possibile dallo scambio e
dall’uniformità della merce, ma che essa deve essere prodotta come
sistema di multiplo di «imprese» individuali indicizzate sulla
differenziazione delle opzioni e delle scelte soggettive[18].
«La società non esiste», pare dicesse del resto Margareth Thatcher. La
superficie normativa sulla quale si interfacciano individuo e
governamentalità è fatta di processi gestionali e amministrativi, di
ottimizzazione delle prestazioni in vista della crescita, di riduzione
della complessità di una «soziale Umwelt» rischiosa perché attraversata
da tendenze entropiche (tanto sul lato del soggetto, che può cedere
sulla propria capacità di impresa, quanto su quello collettivo, quando
rallentino gli scambi, si creino monopoli, si socializzino le perdite),
che richiede governo, ma che, proprio per questo, definisce il sistema
di rapporti che giudica continuamente dell’efficienza della sua azione e
delle sue procedure. La razionalità governamentale è una razionalità assicurativa.
Che scarica i costi sul soggetto assumendolo come responsabile dell’uso
egli che fa della propria libertà – attraverso processi marcati da una
diffusività che inverte la tradizionale traiettoria centripeta delle
discipline e che tuttavia investe abitudini al consumo e attitudini
psicologico-affettive del singolo con una pervasività mai raggiunta in
precedenza[19]–
e dell’autovalorizzazione del «capitale umano» di cui è dotato. La
governamentalità neoliberale passa direttamente per il soggetto. L’idea
dello Stato sociale viene decostruita a partire dall’idea di un rischio
che è socializzabile solo nella forma del costo e che viene pertanto
riassegnato – in forza di interventi di governo molto più sottili, ma
altrettanto pervasivi di quelli tradizionali – al singolo soggetto che
di esso dovrà farsi carico.
Il singolo come imprenditore di sé ed
un ambiente sociale in grado di autoregolare i propri rapporti sinché
venga mantenuto libero da ingerenze sono il referente delle tecnologie
governamentali. Questa libertà – esattamente come l’individuo capace di
sostenerla – non sono un dato, ma il prodotto di relazioni «governate»
rese possibili da un potere che non ne dispone, ma che cresce dentro di esse, riproducendone le condizioni di possibilità.
Il soggetto, questo uno dei principali risultati dell’indagine foucaultiana, non è libero, ma viene prodotto
come libero. Viene cioè pensato, formato, disciplinato come
circoscritto da dispositivi securitari che governano il sistema in cui
egli agisce adeguando singolo e mercato a ciò che essi devono essere
l’uno in rapporto all’altro. Il soggetto imprenditore di sé non è il
soggetto libero delle retoriche liberali classiche a stretta desinenza
giusnaturalistica, ma il soggetto reso libero da tecnologie che gli
restituiscono la possibilità di esserlo in un ambiente altrimenti
rischioso, complesso come quello degli interessi concorrenziali e delle
reti della valorizzazione, e che non può essere completamente
addomesticato, assoggettato, dalla legge come può esserlo invece il lupo
trasformato in cittadino da Hobbes, perché descritto dalle traiettorie
incomprimibili di un’azione rispetto alla quale egli deve comunque
essere lasciato libero di agire.
Governare – è questa la caratteristica
decisiva del concetto – non significa disporre del soggetto, imporgli
una coazione. Nemmeno quella, tipicamente democratica e in cui si
ricapitola l’intera storia della sovranità[20],
di una volontà generale formalizzata in termini procedurali come
effetto di un contratto di ciascuno con tutti. Governare significa condurre,
orientare. Ed, in particolare, indirizzare alla finalità che loro
conviene comportamenti, attitudini, condotte liberi, regolandone aspetti
singolari e coordinate generali.
Di questa funzione di governo, Foucault rintraccia una precisa genealogia che non passa – se non in termini estremamente parziali – per la Grecia[21].
Il governo, inteso come cura di un sistema di rapporti che sono allo
stesso tempo generali (la popolazione, intesa come il riferimento
specifico della genealogia del governo) e individualizzati in ognuno dei
singoli (la condotta, il «governo di sé», che la disciplina
governamentale influenza nella forma di un’impalpabile direzione di
coscienza autoriflessiva), è, egli ci dice, un’idea orientale e biblica.
È l’idea propria ad un potere pastorale che si trasmette – attraverso
la Chiesa, le scienze camerali e gli apparati della Police, i paradigmi economici della fisiocrazia – al keynesismo e alle istituzioni del Welfare State. Ordoliberalismo tedesco e anarcocapitalismo americano ne pongono in crisi la logica generale[22].
E tuttavia il ritorno ad un «libéralisme frugal» che essi propongono –
Stato minimo, massima apertura alla libertà dei singoli, responsabilità
di quest’ultimi in rapporto al suo esercizio – sviluppa schemi di
regolazione altrettanto invasivi.
L’intera vita dei soggetti è sussunta
al mercato. E questo significa che la condotta di ciascuno di essi deve
essere formata, ed in seguito iniziata, ad una prassi dello scambio e
della valorizzazione. La società liberale, esattamente come ognuno degli
individui che la compongono, richiede governo. Deve essere percorsa da
un intervento che la ponga in condizione, attraverso ogni singolo nodo
individuale, di attingere le finalità che le sono proprie. La
governamentalità, proprio per questo, procede sempre, con una ritmica
particolare che è propria solo all’oikonomia, omne et singulatim.
Se qualcosa identifica il «liberalismo» – falso universale storico anche questo, per Foucault[23]
– questo qualcosa è la fatica di dover riconoscere la necessità di
un’armonizzazione che, per potersi determinare, richiede non l’adozione
di un punto di vista esterno al sociale, impossibile, una volta che di
quest’ultimo venga assunta l’intrasparenza, il suo essere definito
dall’insondabile gioco degli interessi individuali, ma il suo passare
per tutti i punti della relazione, e solo a condizione che in ciascuno
di essi venga massimizzata l’inclinazione a soddisfare i criteri della
razionalità complessiva che tiene in tensione lo scambio e il mercato.
Questa inclinazione è appunto il
governo: condotta di condotte, adeguamento della libertà individuale
alla libertà collettiva, riproposizione di un’esteriorità, di un potere
in fondo pastorale, al cuore del rapporto che ogni singolo individuo
intrattiene con sé. Se i greci non ne hanno l’idea, è perché essi hanno
un’altra idea del processo che costituisce quella che solo con
un’approssimazione ed una forzatura possiamo chiamare, in contesto
antico, la «soggettività». Non dovrebbe perciò sorprendere – nessun
ripiego, nessuna fuga, nelle ricerche «etiche» degli anni ‘80 – che gli
ultimi corsi di Michel Foucault alla tarda antichità si rivolgano,
proprio per comprendere, di quel processo di soggettivazione, rapportato
altrimenti al «governo» di sé, l’inattuale, intransitiva, verità. Per
poter immaginare una liberazione all’altezza del presente e capace del
weberiano disincanto in grado di sostenerlo.
Note
[1] M. Foucault, Dits et écrits, Gallimard, Paris, 2001, vol. 1, p. 1008.
[2] Ivi, vol. 2, pp. 655-656; Id., Sicurezza Territorio Popolazione (Corso al Collège de France 1977-1978), Milano, Feltrinelli, 2005, p. 111.
[3] Ivi, p. 112.
[4] M. Foucault, Nascita della biopolitica (Corso al Collège de France 1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2005, p. 286.
[5] Sul tema, cfr. almeno: P. Schiera, Dall’arte di governo alle Scienze dello Stato. Il cameralismo e l’assolutismo tedesco, Milano, Giuffrè, 1968; H. Maier, Die ältere deutsche Staats- und Verwaltungslehre, München, Beck, 1969; M. Scattola, La nascita delle scienze dello Stato. August Ludwig Schlözer (1735-1809) e le discipline politiche del Settecento tedesco, Milano, Angeli, 1994.
[6] Sull’analitica foucaultiana del discorso economico, cfr. A. Zanini, L’ordine del discorso economico. Linguaggio delle ricchezze e pratiche di governo in Michel Foucault, Verona, ombre corte, 2010. Ma dello stesso autore si veda anche: Filosofia economica. Fondamenti economici e categorie politiche, Torino, Bollati Boringhieri, 2005.
[7] M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., p. 31.
[8] Ivi, pp. 120-121.
[9] Ivi, pp. 47-48; pp. 285-286.
[10] Ivi, pp. 299-300.
[11] Ivi, p. 207.
[12] Cfr. Th. – Lemke – S. Krasmann – U. Bröckling, Gouvernamentalität, Neoliberalismus und Selbsttechnologien, in Gouvernamentalität der Gegenwart. Studien zur Ökonomisierung des Sozialen, hrsg. von Th. Lemke, S. Krasmann u. U. Bröckling, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 2000, pp. 7-40, in part. pp. 14 e ss.
[13] M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., p. 274.
[14] Ivi, pp. 232-233; p. 236.
[15] Sul tema: G. Burchell, Peculiar Interests: Civil Society and Governing ‘The System of Natural Liberty’, in G. Burchell – C. Gordon – P. Miller (Eds.), The Foucault Effect. Studies in Governamentality, Chicago, The University of Chicago Press, 1991, pp. 119-150; G. Burchell, Liberal Government and Techniques of the Self, in A. Barry – Th. Osborne – N. Rose (Eds), Foucault and Political Reason. Liberalism, Neo-Liberalism and Rationalities of Government, Chicago, Chicago University Press, 1996, pp. 19-36.
[16] Per un’analisi di insieme di questi processi: P. Dardot – Ch. Laval, La nouvelle raison du monde. Essai sur la société néolibérale, Paris, La Découverte, 2009, tr. it. La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, DeriveApprodi 2013.
[17] M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit. p. 277.
[18] Ivi, pp. 154-155.
[19] M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit. p. 46.
[20] Sul tema: G. Duso (a c. di), Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici, Roma, Carocci, 2004.
[21] M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit, 129; Dits et écrits, cit., vol 2, p. 719.
[22] Cui Foucault dedica la lezione del 31 gennaio 1979, cfr, Nascita della biopolitica, cit., pp. 77 e ss.
[23] Per una ricognizione d’insieme: M. Bonnafous-Boucher, Un libéralisme sans liberté. Du terme «libéralisme» dans la pensée de Michel Foucault, Paris, L’Harmattan, 2004.
il 29 ottobre 2014
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