29 ottobre 2014

LA BIOPOLITICA DI FOUCAULT


Esce oggi, presso DeriveApprodi, Foucault oltre Foucault. Una politica della filosofia di Sandro Chignola.  Tramite il sito presentiamo alcune pagine tratte dal primo capitolo,  dedicate al concetto di governamentalità e al suo rapporto col mercato.

Foucault oltre Foucault


di Sandro Chignola

La genealogia muove sempre dalla fine, vale forse la pena di ricordarlo. Ed essa è materialmente immersa nella storia, come sappiamo. Essa spezza linearità ed effetti di continuità propri alla rappresentazione volgare della storia. La genealogia non rintraccia origini, ma porta alla luce punti di innesto tra logiche eterogene che determinano deviazioni, rotture, nuovi inizi nella connessione tra saperi e poteri. Il genealogista, ricorda Foucault, ha bisogno della storia – degli archivi in cui si sedimentano pratiche, della memoria degli scontri e dei conflitti tra libertà e potere, del campo di battaglia che l’analitica del quotidiano rivela – proprio per scongiurare la chimera dell’origine[1].
 Di nuovo, quindi, il punto di partenza dell’analitica foucaultiana dei biopoteri dev’essere l’urgenza del presente. Il filosofo illuminista, colui che lavora nella lucida consapevolezza che un fuori della storia non c’è, è sull’oggi al quale appartengono il suo lavoro di riflessione e la sua parola, che deve prendere posizione. Fare la genealogia della governamentalità significa assumere a problema la trasformazione della politica che si determina con l’imporsi ad essa di un nuovo principio di realtà, con il suo appaesarsi nell’indisponibile «Umwelt» degli interessi sociali. Governamentalità è l’insieme delle istanze che adeguano l’esercizio del potere alla centralità dell’economia e non del diritto. Ma essa è anche la «linea di forza», così Foucault, che conduce alla preminenza di una funzione – il governo – rispetto ai meccanismi della sovranità e della disciplina; ed è infine il punto di vista che esorcizza lo spettro dello Stato, e l’effetto di «survalorisation» che lo investe tanto nella forma lirica del «mostro freddo» la cui presenza incombe sulle nostre relazioni, quanto in quella, paradossale perché apparentemente riduttiva, che di esso fa la sovrastruttura di processi di riproduzione che lo attraversano e che lo rendono tanto più importante da attaccare e da conquistare in quanto garante dell’assetto generale del dominio[2]. Per Foucault, lo Stato non ha mai avuto l’unità che gli viene attribuita. Né come «soggetto» della storia costituzionale, né come sintesi sovrana delle sue funzioni. Lo Stato è sempre stato un insieme di procedure e di tecnologie giuridiche ed extragiuridiche che solo l’incantamento filosofico-politico cui la modernità è soggiaciuta ha potuto imporre di pensare in termini unitari e di monopolio sovrano della decisione. Se qualcosa segna l’attualità «liberale» cui siamo assegnati, l’indicatore che permette di cogliere la tendenza che trascina il presente non è il processo di «statizzazione» del sociale del quale parla la teoria critica, l’invadenza di un potere esorbitante e totalitario capace di permeare ogni interstizio residuo della cooperazione e di ridurre monodimensionalmente la libertà degli individui, quanto piuttosto, e Foucault lo comprende benissimo, al punto di modificare integralmente la sua analitica del potere, la drastica limitazione della razionalità dello Stato che impone a quest’ultimo, a partire dall’acquisita centralità dei processi di mercato, di «governamentalizzare» i suoi dispositivi[3].
Al centro dell’attenzione va posta di nuovo una separazione, una frattura. Non solo quella definita dall’ambiente operativo dei biopoteri – dei quali l’economia politica, autentica Kritik in senso kantiano, analizza condizioni di possibilità e limiti di esercizio[4] – rispetto al codice autorizzativo delle legge, ma, ancor più radicalmente, quella costituita dagli agenti di mercato, il cui calcolo di utilità, unico e libero motore dello scambio, rappresenta un’esteriorità inaggirabile per gli apparati del potere e l’oggetto di pratiche di governo che non possono decidere di istruirlo, dettandone le condizioni e le possibilità di esercizio, da un punto di vista sovrano. Un interesse, per dirlo in altro modo, è qualcosa di radicalmente diverso da un diritto.
 Lo spostamento dal biopotere alla biopolitica, denota la specificità di questo passaggio in Foucault. Da un lato il biopotere, l’insieme dei meccanismi attraverso i quali l’umanità, per quanto attiene alle sue funzioni biologiche e vitali, entra, a partire dal XVIII secolo, nel campo di intervento del potere che la oggettiva come «popolazione» (le scienze di polizia, la cameralistica, la statistica; il loro riferirsi al territorio di competenza del sovrano non soltanto in termini spaziali, perimetrati alla vigenza della legge, ma, appunto, in termini economici, demografici, attuariali; la risemantizzazione della scienza politica a partire dai saperi funzionali allo sviluppo della prosperità e del benessere dei sudditi[5]); dall’altro la biopolitica, la comparsa, nell’antropologia politica su cui l’economia si fonda, di un soggetto la cui cooperazione, a desinenza strettamente egoistica e quindi sempre potenzialmente entropica nello scambio sociale complessivo, intreccia reti di valorizzazione che si indirizzano allo Stato solo indirettamente, per chiedere ad esso di garantire le condizioni di libertà sulle quali rilanciare le dinamiche acquisitive e proprietarie, e che esprimono istanze e bisogni mai formalizzabili, antivedibili o totalizzabili dal punto di vista di quest’ultimo[6].
 Che il luogo di «veridizione» si sposti dallo Stato al mercato[7] – dalla legge del sovrano come discrimine tra legale e illegale che precostituisce la possibilità dell’azione, ad un’azione di scambio libera e «spontanea» tra gli individui, invece, che chiede tutt’al più di essere regolata per ritrovare ad ogni ciclo le stesse premesse e le stesse condizioni – non significa soltanto, nella transizione tra liberalismo classico ed ordoliberalismo austriaco analizzata nel Corso foucaultiano del 1978-79, che viene invertendosi la logica complessiva del rapporto tra società e Stato e che i meccanismi disegualitari della concorrenza detteranno il ritmo dell’adattamento istituzionale al sistema di variabili economiche assunte come fondamentali[8], ma anche che il soggetto, molto più di quanto non accadesse in precedenza, tende a costituirsi al di fuori delle tradizionali meccaniche disciplinari, assestandosi piuttosto su di un’autonomia che cavalca le ragioni dell’interesse valorizzando una libertà che deve essergli costantemente restituita.
 Se lo spazio delle discipline è uno spazio di piena visibilità, il «territorio» chiuso su cui si irradia unidirezionalmente lo sguardo panottico dei dispositivi di sorveglianza, l’«ambiente» biopolitico è invece un circuito intrasparente di interessi e di scambi che rende letteralmente impossibile il punto di vista del sovrano; un dato che consolida il sistema di riferimenti indisponibili su cui verificare l’utilità sociale delle stesse funzioni di governo[9].
 Foucault fa un passo ulteriore, tuttavia. Dentro questa transizione si dissolve un altro degli «universali» con i quali lavorano la storia e la teoria politica. Anche quella «critica». La «società» degli individui, una volta tradotta in mercato, non può essere pensata come il limite invalicabile per lo Stato, come nelle teorie liberali classiche, né può essere evocata, come nelle retoriche della cittadinanza, per integrarne le dimensioni istituzionali. Essa, almeno a partire dall’ordoliberalismo tedesco, si rivela piuttosto un concetto specifico della tecnologia governamentale per pensare l’indicizzazione del diritto sulle dinamiche dello scambio[10]. La «società» esiste soltanto come petizione e domanda di un «governo», le cui funzioni sono contemporaneamente necessarie ma trattenute al minimo.
 Ciò che il soggetto di interesse chiede allo Stato è di essere trattenuto nello s-legame che gli impone il proprio calcolo di utilità. E proprio per questo, ben al di là di quanto non appaia, questa operazione è possibile solo se esiste il governo. L’insieme di relazioni che la tecnologia governamentale percorre e tiene in tensione definisce un sistema estremamente fragile: da un lato l’elemento intangibile (in relazione all’esercizio di potere) dell’interesse, del quale il singolo è il solo depositario, dall’altro, una «soziale Umwelt» alla quale l’interesse individuale è costitutivamente intessuto (il gioco della libera concorrenza, frutto di un «contrat social à l’enverse», come lo chiama Foucault, che include tutti i soggetti senza che essi lo abbiano chiesto e che può funzionare solo a condizione che nessuno se ne chiami anticipatamente fuori inceppandone il meccanismo[11]) che deve essere mantenuta nelle condizioni ottimali perché l’intreccio degli scambi possa proseguire senza tuttavia essere finalizzato ad un bene collettivo che non può essere l’obiettivo del mercato [12].
 La connessione tra biopotere e biopolitica va perciò rilevata proprio a quest’altezza. Il rapporto di governo è un rapporto che si riferisce ad un ambiente e non a un territorio, come invece la sovranità. L’ambiente sociale delle relazioni di mercato è descritto da variabili (il gioco della domanda e dell’offerta, le dinamiche dello scambio, la valorizzazione o la svalutazione delle risorse umane disponibili, la competizione degli interessi) del tutto indipendenti da qualsiasi prospettiva di pianificazione politica. L’homo oeconomicus che lo abita è un «élément intangible» per il potere; deve, letteralmente, essere lasciato fare[13]. La sua è un’azione libera che consuma libertà e che libertà pertanto richiede gli venga continuamente assegnata e garantita da un «governo» capace di un’azione che sia nello stesso tempo efficace e indiretta. Questa libertà è l’oggetto specifico della cura governamentale.
 L’azione di governo è perciò un’azione critica. Che si produce come ottimizzazione delle condizioni di esercizio della libertà d’azione di un soggetto indisponibile (perché non prodotto come assoggettato dal diritto sovrano, non ristretto in un territorio giuridico, tendenzialmente irriducibile allo schema formale della persona) e tuttavia «malleabile», perché sensibile, come lo è la sua libertà, alle variazioni delle costanti ambientali in cui quest’ultima viene esercitandosi. La ragione governamentale – non pianificazione di un processo, ma «programmazione strategica» delle coordinate complessive per la libera competizione degli interessi individuali, in cui lo stesso lavoro salariato viene neoliberisticamente ritrascritto in termini di attività di impresa o la mobilità dei migranti in investimento soggettivo sulle proprie capacità di autovalorizzazione[14] – si trova sempre sospesa, mi sembra possibile dire, tra una carenza ed un eccesso[15]. Il governo deve agire (perché il free rider possa liberamente perseguire il proprio interesse in un gioco concorrenziale aperto a tutti alle stesse condizioni, per quanto questo comporti, nelle politiche neoliberali che Foucault è tra i primi a cogliere nella loro specificità, lo smantellamento del compromesso fordista, delle protezioni sindacali, l’apertura, appunto, dei mercati della sanità, dell’istruzione, dell’energia…[16]), ma non deve agire troppo (rischiando di invadere uno spazio che non gli appartiene, che gli è del tutto eterogeneo e che, secondo la caratteristica inversione che Foucault analizza negli scritti degli economisti americani ed austriaci degli anni ’30, non può essere «liberato» da un’autolimitazione dello Stato, come nelle dottrine della giuspubblicistica continentale del primo Novecento, ma va direttamente assunto invece come luogo di un’autoregolazione giuridico-politica immanente).
 Produrre libertà – e non fabbricare soggetti o disciplinare corpi, come avviene nei dispositivi analizzati in precedenza da Foucault – significa non predisporre le condizioni di insieme perché libertà, che già c’è, vi sia, ma lavorare, e con alacrità incessante, a mantenere aperte le possibilità per il suo esercizio individuale. Significa individuare lo spazio economico in ogni soggetto e governare i rischi che la libertà comporta non con il riferimento a schemi giuridici universali, ma singolarizzandone la responsabilità d’esercizio. Vale senz’altro la pena, a questo proposito, notare come nemmeno la nozione di interesse permetta di ancorare ad un riferimento oggettivo l’azione di governo. L’interesse che il neoliberalismo assume a propria nozione fondamentale è pensato in termini di «volontà» («une forme de volonté à la fois immédiate et absolument subjective», scrive Foucault[17]) e sfugge agli schemi rappresentativi dell’equivalenza. La disuguaglianza (di volta in volta degli interessi in gioco, delle prestazioni individuali, degli scopi singolari) è il motore della concorrenza, e questo comporta che, dismessa la propria universalità perequativa, il diritto agisca solo come tutela di uno spazio differenziale, ritrascritto a partire dalla soggettività.
 Ciò vuol dire che la stessa «società» cui si rivolgono le tecnologie governamentali non può essere perimetrata riconoscendo e ricomponendo gli interessi in essa presenti in una tradizionale meccanica dell’equilibrio resa possibile dallo scambio e dall’uniformità della merce, ma che essa deve essere prodotta come sistema di multiplo di «imprese» individuali indicizzate sulla differenziazione delle opzioni e delle scelte soggettive[18]. «La società non esiste», pare dicesse del resto Margareth Thatcher. La superficie normativa sulla quale si interfacciano individuo e governamentalità è fatta di processi gestionali e amministrativi, di ottimizzazione delle prestazioni in vista della crescita, di riduzione della complessità di una «soziale Umwelt» rischiosa perché attraversata da tendenze entropiche (tanto sul lato del soggetto, che può cedere sulla propria capacità di impresa, quanto su quello collettivo, quando rallentino gli scambi, si creino monopoli, si socializzino le perdite), che richiede governo, ma che, proprio per questo, definisce il sistema di rapporti che giudica continuamente dell’efficienza della sua azione e delle sue procedure. La razionalità governamentale è una razionalità assicurativa. Che scarica i costi sul soggetto assumendolo come responsabile dell’uso egli che fa della propria libertà – attraverso processi marcati da una diffusività che inverte la tradizionale traiettoria centripeta delle discipline e che tuttavia investe abitudini al consumo e attitudini psicologico-affettive del singolo con una pervasività mai raggiunta in precedenza[19]– e dell’autovalorizzazione del «capitale umano» di cui è dotato. La governamentalità neoliberale passa direttamente per il soggetto. L’idea dello Stato sociale viene decostruita a partire dall’idea di un rischio che è socializzabile solo nella forma del costo e che viene pertanto riassegnato – in forza di interventi di governo molto più sottili, ma altrettanto pervasivi di quelli tradizionali – al singolo soggetto che di esso dovrà farsi carico.
 Il singolo come imprenditore di sé ed un ambiente sociale in grado di autoregolare i propri rapporti sinché venga mantenuto libero da ingerenze sono il referente delle tecnologie governamentali. Questa libertà – esattamente come l’individuo capace di sostenerla – non sono un dato, ma il prodotto di relazioni «governate» rese possibili da un potere che non ne dispone, ma che cresce dentro di esse, riproducendone le condizioni di possibilità.
 Il soggetto, questo uno dei principali risultati dell’indagine foucaultiana, non è libero, ma viene prodotto come libero. Viene cioè pensato, formato, disciplinato come circoscritto da dispositivi securitari che governano il sistema in cui egli agisce adeguando singolo e mercato a ciò che essi devono essere l’uno in rapporto all’altro. Il soggetto imprenditore di sé non è il soggetto libero delle retoriche liberali classiche a stretta desinenza giusnaturalistica, ma il soggetto reso libero da tecnologie che gli restituiscono la possibilità di esserlo in un ambiente altrimenti rischioso, complesso come quello degli interessi concorrenziali e delle reti della valorizzazione, e che non può essere completamente addomesticato, assoggettato, dalla legge come può esserlo invece il lupo trasformato in cittadino da Hobbes, perché descritto dalle traiettorie incomprimibili di un’azione rispetto alla quale egli deve comunque essere lasciato libero di agire.
 Governare – è questa la caratteristica decisiva del concetto – non significa disporre del soggetto, imporgli una coazione. Nemmeno quella, tipicamente democratica e in cui si ricapitola l’intera storia della sovranità[20], di una volontà generale formalizzata in termini procedurali come effetto di un contratto di ciascuno con tutti. Governare significa condurre, orientare. Ed, in particolare, indirizzare alla finalità che loro conviene comportamenti, attitudini, condotte liberi, regolandone aspetti singolari e coordinate generali.
 Di questa funzione di governo, Foucault rintraccia una precisa genealogia che non passa – se non in termini estremamente parziali – per la Grecia[21]. Il governo, inteso come cura di un sistema di rapporti che sono allo stesso tempo generali (la popolazione, intesa come il riferimento specifico della genealogia del governo) e individualizzati in ognuno dei singoli (la condotta, il «governo di sé», che la disciplina governamentale influenza nella forma di un’impalpabile direzione di coscienza autoriflessiva), è, egli ci dice, un’idea orientale e biblica. È l’idea propria ad un potere pastorale che si trasmette – attraverso la Chiesa, le scienze camerali e gli apparati della Police, i paradigmi economici della fisiocrazia – al keynesismo e alle istituzioni del Welfare State. Ordoliberalismo tedesco e anarcocapitalismo americano ne pongono in crisi la logica generale[22]. E tuttavia il ritorno ad un «libéralisme frugal» che essi propongono – Stato minimo, massima apertura alla libertà dei singoli, responsabilità di quest’ultimi in rapporto al suo esercizio – sviluppa schemi di regolazione altrettanto invasivi.
 L’intera vita dei soggetti è sussunta al mercato. E questo significa che la condotta di ciascuno di essi deve essere formata, ed in seguito iniziata, ad una prassi dello scambio e della valorizzazione. La società liberale, esattamente come ognuno degli individui che la compongono, richiede governo. Deve essere percorsa da un intervento che la ponga in condizione, attraverso ogni singolo nodo individuale, di attingere le finalità che le sono proprie. La governamentalità, proprio per questo, procede sempre, con una ritmica particolare che è propria solo all’oikonomia, omne et singulatim.
 Se qualcosa identifica il «liberalismo» – falso universale storico anche questo, per Foucault[23] – questo qualcosa è la fatica di dover riconoscere la necessità di un’armonizzazione che, per potersi determinare, richiede non l’adozione di un punto di vista esterno al sociale, impossibile, una volta che di quest’ultimo venga assunta l’intrasparenza, il suo essere definito dall’insondabile gioco degli interessi individuali, ma il suo passare per tutti i punti della relazione, e solo a condizione che in ciascuno di essi venga massimizzata l’inclinazione a soddisfare i criteri della razionalità complessiva che tiene in tensione lo scambio e il mercato.
 Questa inclinazione è appunto il governo: condotta di condotte, adeguamento della libertà individuale alla libertà collettiva, riproposizione di un’esteriorità, di un potere in fondo pastorale, al cuore del rapporto che ogni singolo individuo intrattiene con sé. Se i greci non ne hanno l’idea, è perché essi hanno un’altra idea del processo che costituisce quella che solo con un’approssimazione ed una forzatura possiamo chiamare, in contesto antico, la «soggettività». Non dovrebbe perciò sorprendere – nessun ripiego, nessuna fuga, nelle ricerche «etiche» degli anni ‘80 – che gli ultimi corsi di Michel Foucault alla tarda antichità si rivolgano, proprio per comprendere, di quel processo di soggettivazione, rapportato altrimenti al «governo» di sé, l’inattuale, intransitiva, verità. Per poter immaginare una liberazione all’altezza del presente e capace del weberiano disincanto in grado di sostenerlo.

 Note
[1] M. Foucault, Dits et écrits, Gallimard, Paris, 2001, vol. 1, p. 1008.
[2] Ivi, vol. 2, pp. 655-656; Id., Sicurezza Territorio Popolazione (Corso al Collège de France 1977-1978), Milano, Feltrinelli, 2005, p. 111.
[3] Ivi, p. 112.
[4] M. Foucault, Nascita della biopolitica (Corso al Collège de France 1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2005, p. 286.
[5] Sul tema, cfr. almeno: P. Schiera, Dall’arte di governo alle Scienze dello Stato. Il cameralismo e l’assolutismo tedesco, Milano, Giuffrè, 1968; H. Maier, Die ältere deutsche Staats- und Verwaltungslehre, München, Beck, 1969; M. Scattola, La nascita delle scienze dello Stato. August Ludwig Schlözer (1735-1809) e le discipline politiche del Settecento tedesco, Milano, Angeli, 1994.
[6] Sull’analitica foucaultiana del discorso economico, cfr. A. Zanini, L’ordine del discorso economico. Linguaggio delle ricchezze e pratiche di governo in Michel Foucault, Verona, ombre corte, 2010. Ma dello stesso autore si veda anche: Filosofia economica. Fondamenti economici e categorie politiche, Torino, Bollati Boringhieri, 2005.
[7] M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., p. 31.
[8] Ivi, pp. 120-121.
[9] Ivi, pp. 47-48; pp. 285-286.
[10] Ivi, pp. 299-300.
[11] Ivi, p. 207.
[12] Cfr. Th. – Lemke – S. Krasmann – U. Bröckling, Gouvernamentalität, Neoliberalismus und Selbsttechnologien, in Gouvernamentalität der Gegenwart. Studien zur Ökonomisierung des Sozialen, hrsg. von Th. Lemke, S. Krasmann u. U. Bröckling, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 2000, pp. 7-40, in part. pp. 14 e ss.
[13] M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., p. 274.
[14] Ivi, pp. 232-233; p. 236.
[15] Sul tema: G. Burchell, Peculiar Interests: Civil Society and Governing ‘The System of Natural Liberty’, in G. Burchell – C. Gordon – P. Miller (Eds.), The Foucault Effect. Studies in Governamentality, Chicago, The University of Chicago Press, 1991, pp. 119-150; G. Burchell, Liberal Government and Techniques of the Self, in A. Barry – Th. Osborne – N. Rose (Eds), Foucault and Political Reason. Liberalism, Neo-Liberalism and Rationalities of Government, Chicago, Chicago University Press, 1996, pp. 19-36.
[16] Per un’analisi di insieme di questi processi: P. Dardot – Ch. Laval, La nouvelle raison du monde. Essai sur la société néolibérale, Paris, La Découverte, 2009, tr. it. La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, DeriveApprodi 2013.
[17] M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit. p. 277.
[18] Ivi, pp. 154-155.
[19] M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit. p. 46.
[20] Sul tema: G. Duso (a c. di), Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici, Roma, Carocci, 2004.
[21] M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit, 129; Dits et écrits, cit., vol 2, p. 719.
[22] Cui Foucault dedica la lezione del 31 gennaio 1979, cfr, Nascita della biopolitica, cit., pp. 77 e ss.
[23] Per una ricognizione d’insieme: M. Bonnafous-Boucher, Un libéralisme sans liberté. Du terme «libéralisme» dans la pensée de Michel Foucault, Paris, L’Harmattan, 2004.


 

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