28 ottobre 2014

RODARI E PASOLINI SULLA SCUOLA DI BARBIANA










Il primo ottobre ’67 è domenica, le scuole si aprono solo il giorno dopo, ma è quello il giorno dell’incontro – sulle pagine di Pese Sera - tra Rodari e don Milani – scomparso a giugno, negli stessi giorni della pubblicazione di “Lettera ad una professoressa”. Forse a Firenze o a Calenzano i due hanno avuto occasione di incontrarsi di persona, nei primi anni ’50, prima del confinamento del priore – nel ’54 - nella piccola canonica di Barbiana. È in ogni caso un incontro forte e straordinario, che vibra in parole che il priore avrebbe apprezzato con affetto e affettuosamente contestato nei passaggi leggermente critici. Le loro idee di scuola camminano in ogni caso nel medesimo solco, quello della libertà, della responsabilità, dell’amore per i giovani e per la cultura.

Rodari – nell’articolo intitolato “Ritorno a scuola” - lo ritiene il più bel libro mai scritto sulla scuola: “Una violenta denuncia della nostra scuola è contenuta in "Lettera ad una professoressa" in cui gli allievi di don Milani hanno narrato la loro esperienza scolastica e illustrato i frutti delle loro ricerche. Il libro è un po' un testamento del prete toscano, ma non spirituale, meglio dire di lotta. Un libro urtante, "cinese", addirittura, in certe affermazioni da "rivoluzione culturale". ... Non risparmia nessuno. Di una sincerità a volte brutale. ... Con tutto ciò, il più bel libro che sia mai stato scritto sulla scuola italiana, il più appassionante, il più vero. Vi si respira e misura la rivolta, l'aspirazione inarrestabile alla cultura, la volontà di cultura a tutti costi in cui si muta una profonda presa di coscienza dei propri diritti. Vorremmo consigliarlo a tutti gli insegnanti italiani, perché, nella sua durezza, è un appello alla grandezza della loro missione: anche nella critica ingiusta è un canto d'amore verso la scuola. Il libro è stato ampiamente discusso. Anche il ministro della pubblica istruzione Gui lo ha citato. ... ma il ministero dell'istruzione ne ha vietato l'acquisto per le biblioteche scolastiche e per quelle degli insegnanti. Il divieto non ha il minimo senso. Da quel libro abbiamo tutti da imparare: maestri, genitori, professori, giornalisti, uomini politici. Proprio perché è così poco "diplomatico", perché dice verità spiacevoli, perfino perché le esagera in qualche punto, con un’irruenza giovanile di cui invano si cercherebbero le tracce nei componimenti scolastici. La nostra scuola ha più bisogno di coraggio che di diplomazia.”


Un sentimento di entusiasmo che appartiene anche a Pier Paolo Pasolini, il quale commenta e argomenta per la televisione italiana, capace, in quel ’67, di interessarsi di cultura, una televisione non ancora travolta dalla tele-spazzatura. Queste le parole di Pasolini su “Lettera a una professoressa”: È un libro veramente bello, la vitalità - leggendolo - aumenta in modo vertiginoso, ed è questo il metodo pratico, essenziale, per giudicare la bellezza di un libro. Lettera ad una professoressa è scritta con grande grazia, grande precisione, con assoluta funzionalità, non soltanto, ma con grande spirito, quasi come un libro umoristico, fa ridere e nello stesso tempo, immediatamente dopo aver riso, viene un nodo alla gola, un groppo alla gola, addirittura le lacrime agli occhi, tanta è la precisione e la verità del problema che si pone, il problema della scuola italiana. Oltretutto c'è anche coscienza stilistica, perché vi è contenuta una delle più straordinarie definizioni di quello che deve essere la poesia: un odio e un senso di vendetta verso gli altri che - una volta approfondito e liberato - diventa amore. Dunque di “Lettera ad una professoressa” devo dire tutto il bene possibile, non mi è mai capitato di essere così entusiasta di qualcosa e di sentirmi obbligato e costretto a dire agli altri: leggetelo. È un libro che riguarda la scuola, nello specifico, ma nella realtà riguarda la società italiana, l'attualità della vita italiana.”

Ha ragione Tullio De Mauro nel ritenere che il creare una scuola (don Milani), il sentirsi fratello delle donne e degli uomini delle borgate (Pasolini), l'inventare favole (Rodari), siano vissuti concreti e quotidiani e proprio in questa concretezza, nella capacità di un pensiero profondo e autentico, chiaro e percorribile, dentro questioni di tutti i giorni, che ci toccano quotidianamente, sia da ricercare la particolare sensibilità, l'intelligenza, la straordinaria modernità e la forza rivoluzionaria dei pensieri di Rodari, di Pasolini e di Milani, che De Mauro avvicina e affianca nella premessa dei testi rodariani raccolti in “Il cane di Magonza”, editati nell’82 da Editori Riuniti. 

Così scrive De Mauro: “Sia Rodari sia, prima di lui, Milani e Pasolini, sono stati personalità creative di natura particolare. Tutti e tre sono stati trasgressori e critici non a chiacchiere, ma rebus, con e nelle cose, con e nel modo di vivere e lavorare. E tutti e tre, oltre le profonde differenze, hanno avuto qualcosa di comune. La loro critica, il loro trasgredire non si è configurato additandoci mete ardue remote, straordinarie esperienze, mondi possibili inaccessibili o difficilmente accessibili a chi non sia o creda d'essere un superuomo, una superdonna. La loro trasgressione, la loro capacità di protesta creativa, si è invece esercitata sul terreno della più ovvia quotidianità. … A questo terreno pestato dai piedi di noi tutti rinviano gli scritti, gli interventi, le invenzioni, le invettive e le speranza delle tre persone di cui stiamo discorrendo e su questo terreno essi suggeriscono che possiamo trovare e percorrere sentieri nuovi, migliori, più umani …” 

Possiamo dire che Rodari e Pasolini si riconoscano nella carica etica di don Milani, nelle infuocate e intemperanti esternazioni del maestro di Barbiana, nelle pagine più accese dei suoi scritti: “Spesso gli amici mi chiedono come far scuola e che cosa insegnare, con quali metodi, sbagliano domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come fare scuola, ma di come essere per fare scuola, bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici, bisogna essere schierati.” O ancora: “A ballare ci vanno i vecchietti, alla vostra età – ragazzi - si deve andare al sindacato o al partito, altrimenti si cade vittima delle mode e dell’omogeneizzazione della lingua e del pensiero.” È Milani certo, ma potrebbero essere tanto Pasolini, quanto Rodari. È questo un insegnamento assolutamente attuale, vivo, noi cerchiamo di raccoglierlo, portandolo oggi lungo le strade del mondo, per una diversa scuola e una diversa società.

Quarant’anni fa, nella Milano del ’67, un altro uomo eccezionale, un prete partigiano, un membro dell’ordine dei serviti, un poeta prestato alla fraternità evangelica, padre Davide Maria Turoldo, sfidando, in amore con la libertà, i divieti di una chiesa miope che su don Milani chiedeva silenzio, organizza la prima presentazione di “Lettera ad una professoressa”. La sua voce tuona brani, vibra, mentre legge come don Milani assimili gli insegnanti ai preti e alle puttane, aggiungendo che gli insegnanti dovrebbero provare ad essere un po’ meglio, come don Milani preferisca il contratto dei metalmeccanici alla cosmogonia greca quale materia di scuola, dica – sempre don Milani – “La media unica è spiaciuta alle destre? È un fatto positivo.” Dice ancora don Milani, “niente vi è di più ingiusto che fare parti eguali tra diseguali”. Proprio per questo sentiamo tutto il desiderio di ribellarci, in Italia, in Europa, nel mondo, oggi così vicino e globale eppure così ingiusto, così diseguale, a tutte quelle forme che perpetuano uno sfruttamento e una prevaricazione degli uni sugli altri. Quella sfida, quel coraggio, quella forza ribelle, ci sono da esempio. L’obbedienza per noi, secondo l’insegnamento sempre di don Milani, non è una virtù, ma la più subdola delle tentazioni.

Davide Rossi








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