20 ottobre 2014

LA SCUOLA SICILIANA SECONDO CESARE SEGRE





I Siciliani
La grande poesia d'amore: prima edizione completa, Meridiani Mondadori
 
di CESARE SEGRE

Che «i Siciliani» abbiano costituito la prima scuola poetica italiana è nozione comune, convalidata anche dall'opinione di Dante, che nel suo geniale trattato De vulgari eloquentia ricorda la funzione fondativa di questa Scuola. Eppure, sembra incredibile, chi avesse voluto prendere agevolmente contatto con questi poeti doveva sinora ricorrere ad antologie, come quella preparata da Gianfranco Contini per i Poeti del Duecento
(1960). Una raccolta completa dei 337 testi, filologicamente accertata, commentata minuziosamente, l'abbiamo solo ora, ed è un avvenimento. Parlo dei tre volumi, di oltre 3600 pagine complessive, appena usciti nei «Meridiani» Mondadori ( I poeti della Scuola siciliana. Edizione promossa dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani). Essi costituiscono certo il culmine, dal punto di vista della complessità organizzativa e dell'impegno filologico, raggiunto, grazie a Renata Colorni, da quella collana già normalmente di alto livello. Ognuno dei volumi esce sotto la responsabilità e con l'introduzione di un filologo (Roberto Antonelli, Costanzo Di Girolamo, Rosario Coluccia, rispettivamente delle università di Roma, Napoli e Lecce); e mentre i testi del primo volume sono tutti curati dal responsabile, per gli altri due il lavoro è stato fatto in équipe, da una dozzina di curatori.
Per chi s'interessi della nostra letteratura, sarà avvincente ripercorrere nelle introduzioni l'elaborazione in Provenza (all'alba del XII secolo), di una concezione e di un galateo dell'amore, cui diedero parole e musica i trovatori, mettendo a punto una prosodia e una metrica raffinate. La poesia trobadorica fu entusiasticamente imitata in varie lingue, dal francese al tedesco al galego-portoghese. Si pone sulla stessa scia la Scuola siciliana, con caratteristiche condizionate dalla sua origine. Fu infatti Federico II di Svevia, re di Sicilia e poi imperatore, a promuovere questo movimento poetico, così come aveva fatto, un secolo prima di lui, il duca Guglielmo IX d'Aquitania per la Provenza. Ma Federico, poeta lui stesso (ce ne rimangono cinque canzoni), invece che a giullari e menestrelli, si rivolse soprattutto ai suoi funzionari: così, molti dei suoi poeti si dichiaravano notai, e anzi il primo e più fecondo e più famoso, Giacomo da Lentini, è indicato di solito come «il notaro». Siamo intorno al 1230; nel 1250 Federico muore.
Antonelli, curatore appunto del volume I, che contiene le poesie di Giacomo, mentre quelle degli altri Siciliani stanno nel secondo, valuta molto originalmente le «quotazioni » e i riconoscimenti di eccellenza di lui e dei compagni e di singoli componimenti, in base all'ordine con cui le poesie sono state riportate nel principale codice che ce le trasmette, il manoscritto 3793 della Biblioteca Vaticana, messo insieme ai primi del Trecento, a Firenze, con attenzione ai valori e alle precedenze. Va comunque sottolineata la funzione determinante, per la conoscenza di questa poesia, della toscanizzazione cui questi testi, scritti in un siciliano nobilitato da latinismi e gallicismi, furono sottoposti. Con vantaggio dei lettori, che non avrebbero potuto comprendere facilmente il dialetto di origine. Ed è interessante constatare, con Antonelli, la maturazione di concezioni e canoni diversi attraverso la poesia dei poco più giovani poeti toscani, e le valutazioni di Dante. Quanto al canone, esso culmina dapprima con Monte Andrea e con un altro caposcuola, Guittone d'Arezzo; poi, svalutati Guittone e i suoi seguaci, con Guinizzelli, con Dante e con gli stilnovisti. In pochi anni, il gusto poetico ebbe due svolte decisive. E l'avventura letteraria iniziata con i Siciliani continuerà almeno sino a Petrarca e ai petrarchisti del Cinquecento.
Giacomo da Lentini elabora in modo molto personale le idee dei trovatori, e infatti avrà amichevoli dispute con altri poeti; nel contempo maneggia con sapienza gli schemi metrici provenzali, e soprattutto inventa una forma metrica che rimarrà viva sino ad oggi, il sonetto, accolto anche in altre letterature europee. La sua tenacia nell'approfondire i problemi dell'amore, sempre sulla linea dei trovatori (e talora le sue poesie traducono o rifanno canzoni provenzali) è condivisa dai suoi colleghi siciliani; e cesserà solo quando questa poesia, trasferita in Toscana, sarà messa in parte al servizio di una polemica politica, specchio degli antagonismi dei comuni ormai autonomi. Sia chiaro comunque che sarebbe ingenuo cercare in tanti discorsi d'amore i segni di vicende vissute: come e più che i trovatori, i poeti siciliani descrivono gioie e pene d'amore con atteggiamento quasi sperimentale. Nessuna monotonia comunque, dato che questi poeti alternano forme illustri e toni giullareschi (Cielo d'Alcamo), atteggiamenti controllati e attitudini popolaresche, come accade nelle poesie a voce femminile di Rinaldo d'Aquino e di Giacomino Pugliese.
Dominiamo dunque, o quasi, tutta la storia di quella scuola. Ma che cosa c'era in precedenza? A parte alcuni testi arcaici, tra i quali domina il «Cantico delle creature» di san Francesco (1224?), il primo a scrivere versi in una parlata italiana fu un trovatore provenzale, Raimbaut de Vaqueiras (fine sec. XII), che in due suoi componimenti popolareggianti inserisce strofe in un dialetto sostanzialmente ligure. Ma recentemente sono venuti fuori frammenti che documentano l'esistenza nel Nord, diciamo tra Ravenna e Piacenza, di una poesia di tipo cortese nei primi anni del Duecento, dunque poco prima, o contemporaneamente, alla Scuola siciliana. Sono primi riflessi di testi siciliani anteriori a quelli noti? O invece sono tracce di un movimento autoctono, e sempre di stampo provenzale, rimasto latente? Di questo parla Di Girolamo, nell'introduzione al volume II, notando anche il fatto che gran parte di questi testi portano pure le indicazioni musicali, mentre i grandi canzonieri, come il Vaticano, di musica non hanno tracce. Segno, dice Di Girolamo, che questa tradizione sino a poco fa sconosciuta mantiene il nesso parole-musica proprio dei provenzali, mentre (forse) i Siciliani lo abbandonarono, più o meno nettamente. Infine, Coluccia, introducendo il volume III, che contiene tutti i poeti toscani che seguirono lingua e stile della Scuola, si domanda se la scoperta di testi cortesi settentrionali con tratti siciliani non confermi l'ipotesi di una linea di diffusione «adriatica», attraverso la Puglia, diversa da quella, sinora nota, che collega, attraverso il meridione peninsulare, Sicilia e Toscana.
Così, proprio al momento di sistemare questo grande episodio poetico, vien fatto d'interrogarsi sui suoi precedenti e sull'ambiente culturale che li ha elaborati. Sinora le proposte restano vaghe; speriamo in altre scoperte. In cambio, per la Scuola siciliana, abbiamo adesso questo strumento completo, agevole e informato, con bibliografie, indici dei capoversi, persino indici delle derivazioni da un poeta a un altro. Mettiamoci alla lettura, o al lavoro.

2 commenti:

  1. le rivoluzioni importantissime sono due: 1) esistenza di codici e circolazione di poesie siciliane in Lombardia prima o contestualmente a quelle circolate in Toscana: 2) se i testi << vengono direttamente dalla Sicilia (e il passo riportato da Segre mostra diverse varianti rispetto al testo di Jacopo come lo conoscevamo attraverso i toscani) vuol dire che i siciliani adoperavano una lingua che non è stata poi <> dai toscani ma che è direttamente l'anticamera del linguaggio degli stilnovisti, ante incluso. Non è cosa da poco: perché c'era pervenuto un solo testo che sembrava originale di Stefano Protonataro <>, molto più << degli altri testi. Ora emerge una sorta di bilinguismo: anche in Sicilia si adoperava una lingua << che eravamo abituati a definire toscana e poi anche espressioni decisamente più dialettali. Insomma i testi <> dei poeti siciliani li consideravamo una traduzione operata dai toscani mentre a quanto pare non è così: è un fatto veramente eclatante: linguisticamente e culturalmente. Sono semplicemente sconvolto!

    Bernardo Puleio

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  2. Confesso che non mi aspettavo il clamore suscitato dall'articolo di Cesare Segre, risalente peraltro a qualche anno fa. Sul mio diario di facebook si è aperto un vivace dibattito. Di seguito ripropongo alcuni di questi interventi:

    Massimo Scalabrino: Ma il padre della lingua italiana non era Ciullo o Cielo d'Alcamo?!

    Antoniamaria Arcuri: Grazie al Cielo,Si!

    Bernardo Puleio: con un po' di orgoglio posso dire che in alcuni saggi ho insistito sempre sugli averroisti, la cultura laica federiciana e le implicazioni su Dante.

    Matteo Troiano: La letteratura italiana,ai miei tempi al liceo, iniziava con "sao ke kelle terre...." ,qualche altro documento e poi la scuola poetica siciliana e poi.....Dove stà la novità?

    Bernardo Puleio: la novità è questa: si credeva che i testi della scuola poetica siciliana (tranne uno) nn fossero originalg ma toscanizzati attraverso rimaneggiamenti di codici toscani (in Sicilia nn abbiamo testi originali di quella stagione). Ora in Lombardia si sono scoperti dei codici antecedenti quelli toscani con testi di Jacopo da Lentini assai simili ma con alcune differenze rispetto ai codici toscani: la lingua è la stessa. Ne deriva che i siciliani nella loro stesura originale hanno inventato la lingua letteraria italiana. È presumibile che adoperassero un bilinguismo: poesie spiccatamente siciliane (Pir miu cori alligrarh di Stefano Protonotaro) e i testi più italiani (siciliani e nn toscani!). Siccome anche Dante adotta la stessa lingua ne deriva che Dante scrive siciliano o alla maniera dei siciliani. Alla faccia dei razzisti che hanno escluso che i poeti siciliani adoperassero orìianariamente la lingua in cui li leggiamo.

    Francesco Virga: Mi sembra ineccepibile la puntualizzazione dell'amico Bernardo.

    Nicola Sinopoli: Grazie, Bernardo

    Joannes Carolus Rossi: Mi dev'essere sfuggito qualcosa nell'evoluzione recente della storia letteraria: fui formato quasi sessant'anni fa dal Sapegno, dal Russo e dal Flora. o per meglio dire dai loro testi, e non ho mai dubitato dell'origine siciliana del nostro volgare, la cui nascita poetica era attribuita alla Rosa aulentissima.

    Francesco Virga: L'ironia dell'amico Rossi è raffinata ...Ad ogni modo aggiornarsi non guasta mai! Cesare Segre, peraltro, non era tipo da prendere facilmente abbagli

    Joannes Carolus Rossi: Allora, a parte tardivi aggiornamenti, posso rimanere nei miei fondamentali ed attribuire a Ciullo il primato? E posso fantasticare, ora come allora, pensando che se avesse vinto lo Stupor Mundi e non il papa, la storia d'Europa sarebbe stata assai più bella e luminosa?

    Francesco Virga: Assolutamente, caro Joannes! E, come dovresti ormai sapere, su tante cose la penso esattamente come te!

    Joannes Carolus Rossi: Però è triste costatare che da noi, salvo rari momenti di requie o di speranza, le sorti sono quasi sempre micragnose e regressive...

    Francesco Virga: Su questo punto è difficile contraddirti. D'altra parte, come ben sai, anche il sicilianismo più becero non ha mancato di dare una mano alle mafie...

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