Senza il saper attendere non c'è vera conoscenza. Era il segreto
degli alchimisti (e di ogni autentica via iniziatica) che proprio sul
rifiuto della “via breve” fondavano ogni possibilità di
autoperfezionamento. La ricerca psicoanalitica conferma la validità di
questo antichissimo insegnamento.
Massimo Recalcati
Freud ha proposto le
metafore della “via breve” e della “via lunga” per
identificare due diversi processi dell’apparato psichico di fronte
alla esperienza di una soddisfazione disattesa o differita. Come
rispondiamo quando facciamo una esperienza frustrante? Quando non
possiamo realizzare immediatamente quello vorremmo poter realizzare?
Quando, insomma, ci troviamo esposti all’alterità spigolosa del
limite?
La “via breve” indica una risposta che non vuole accettare il limite, che non intende assumere la non-coincidenza tra le nostre aspettative e quello che accade nella realtà. Essa trova la sua massima e più drammatica espressione nel fenomeno dell’allucinazione che consiste nel rendere presente ciò che non è presente, nel realizzare, per “via breve”, quello che, in realtà, è impossibile realizzare. Si tratta di una scorciatoia poiché tollerare l’assenza, la perdita, il limite, differire la soddisfazione o la scarica pulsionale, sopportare il peso della frustrazione non è un compito facile.
Per questo la via breve
dell’allucinazione lo evade completamente illudendoci che tutto è
possibile. Si tratta di un modello pulsionale che cortocircuita il
tempo nell’istante estatico dell’appagamento che si vuole
imperiosamente immediato. È quello che avviene, per esempio, per il
tossicomane che non a caso Bion definisce come “colui che non sa
aspettare”: la scarica della pulsione non può essere differita ma
esige di raggiungere il suo oggetto in un presente continuo.
La seconda risposta – quella della “via lunga” – procede col registrare la non-coincidenza tra le aspettative del nostro desiderio e l’impatto con la realtà per poi cercare di raggiungere la soddisfazione in un tempo secondo, non schiacciato sull’urgenza imperiosa del bisogno. Il suo modello è quello della sublimazione: si può raggiungere la soddisfazione solo attraverso un lavoro psichico che suppone la rinuncia al soddisfacimento pulsionale immediato. Per incamminarsi lungo questa via è necessario tempo e fatica.
Il modello sublimatorio
della “via lunga” prevede la sospensione del cortocircuito
allucinatorio con l’oggetto del godimento. La sua è la via che
trova nel lavoro e nel desiderio le sue massime espressioni. Si
tratti di fabbricare un tavolo o di leggere un libro di filosofia, di
costruire un legame d’amore o di dar vita ad una impresa
collettiva, la soddisfazione non può mai essere immediata, ma
prevede sempre un differimento iniziale.
È superfluo chiedersi
quale tra le due vie prevalga nel nostro tempo. Il nostro tempo
sponsorizza ciecamente il modello allucinatorio di fronte a quello
sublimatorio. È un tempo che inneggia la “via breve” contro la
fatica della “via lunga”. Potremmo fare diversi esempi per
illustrare questa egemonia psicotica dell’allucinazione.
Mi limito a farne tre molto semplici. Il primo è quello della lettura che è un esercizio, come ricordava recentemente Stefano Bartezzaghi su queste pagine, che esige tempo, nel quale la soddisfazione è strettamente legata al movimento, necessariamente lento, del pensiero. In contrasto con questa lentezza necessaria l’attuale cultura dell’immagine sembra invece incentivare l’assimilazione avida e priva di pensiero; l’attività faticosa della lettura viene di colpo sostituita con la recezione passiva del flusso delle immagini. La televisione riempie chi ne fruisce senza esigere la fatica soggettivata dell’assimilazione.
Il secondo esempio riguarda il mondo del lavoro: l’economia finanziaria – tra i maggiori responsabili della crisi che sta colpendo l’Occidente – ha relegato il “lavoro” ad una sorta di scoria “improduttiva” dell’Ottocento. L’accumulazione rapida del profitto non può avvenire attraverso la faticosa impresa del lavoro, ma attraverso operazioni astratte che consentono una realizzazione del profitto immediata. Con la conseguenza che il carattere orgiastico di questa economia – demolendo la centralità etica del lavoro – ha fatto straripare i debiti.
Il terzo esempio è quello dei social network: mentre la costruzione di un legame – d’amore o d’amicizia che sia – implica tempo e cura – la dimensione artefatta dei legami che si moltiplicano con un clic possono dare l’illusione che tempo e cura non siano più necessari. L’amicizia diventa allora come quel pezzo di legno che una madre travolta dal lutto per la perdita del suo bambino culla (allucinatoriamente) tra le sue braccia chiamandolo con il nome del suo piccolo traumaticamente scomparso.
La Repubblica – 21
settembre 2014
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